Dichiarazione di voto
Data: 
Mercoledì, 3 Dicembre, 2014
Nome: 
Vincenza Bruno Bossio

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Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, signor sottosegretario, l'Agenda digitale europea fissa obiettivi infrastrutturali sfidanti. Tra questi il più importante è che entro il 2020 il 50 per cento della popolazione sia effettivamente connessa a 100 megabit. Oggi in Italia l'80 per cento dei cittadini è connesso tra 2 e 10 megabit e solo lo 0,6 per cento con banda superiore a 30. In Europa, viceversa, abbiamo il 45 per cento connesso tra 10 e 30 e ben il 21 per cento oltre i 30 megabit. 
Vi è, dunque, una dicotomia relativa agli aspetti infrastrutturali, per cui l'Italia risulta quasi allineata sulla media europea per la banda larga, mentre si presenta una situazione allarmante di divario sulla banda ultralarga. 
Il livello, inoltre, di utilizzazione dei diversi servizi in rete è di norma inferiore alla metà del valore medio riscontrabile all'interno dell'Unione Europea e, di conseguenza, molto distante dagli obiettivi. Il Governo, recentemente, in attuazione dei piani previsti nell'Accordo di partenariato 2014-2020, ha recentemente presentato il Piano per la crescita digitale e il Piano per la banda ultralarga. In particolare, il Piano BUL prevede entro il 2020 la copertura per l'85 per cento ad almeno 100 Megabit, ma, come ho già detto, in Italia solo il 20 per cento della popolazione può navigare a 30 Megabit. 
Per realizzare, quindi, gli ambiziosi obiettivi, sarà necessaria una strategia che implicherà una regia nazionale. In particolare, si deve basare su due punti: incentivare la realizzazione delle infrastrutture e promuovere un'economia effettivamente digitale. Per quel che riguarda il primo punto, le reti di accesso di nuova generazione cablate, costituite in tutto o in parte in fibra ottica, sono in grado di fornire servizi d'accesso a banda ultralarga molto più avanzati rispetto alle reti in rame esistenti. 
Inoltre, le reti di nuova generazione contribuiscono fattivamente alla crescita economica nella misura dell'1,3 per cento di PIL per ciascuna quota aggiuntiva del 10 per cento nella diffusione della banda ultralarga. Vi è in particolare, poi, un'attenzione, una predisposizione degli italiani verso l'utilizzo del mobile, su tablet e smartphone, che prevede l'incremento di tre volte tanto sul traffico IP complessivo, che impone, quindi, uno sviluppo, e anche una diffusione, del wi-fi. 
Quindi, l'infrastruttura di nuova generazione rappresenta – anzi, le infrastrutture: accolgo la modifica del Governo – una priorità di investimento per contribuire a sviluppare l’«ecosistema digitale». Ma, se l'obiettivo del piano strategico è di rimediare a questo gap infrastrutturale e di mercato, rispetto a questo scenario, la mozione Romano e altri, che chiede il «ritorno dell'infrastruttura nazionale di telecomunicazione in mano pubblica, attraverso lo scorporo ovvero la separazione societaria della rete», è un'ipotesi percorribile ? E, soprattutto, lo scorporo consente di ottenere l'obiettivo fondamentale di garantire un'effettiva «migrazione» degli utenti dal rame alla fibra ottica ? 
Bisogna, innanzitutto, chiarire che lo scorporo, appunto, riguarderebbe l'intero perimetro. La recente indagine conoscitiva di Agcom e Agcm ha sottolineato che, nel caso di costituzione di una rete NGA di tipo FTTC, sarebbe riutilizzabile solo il 36 per cento delle infrastrutture civili esistenti della rete di accesso in rame; questo utilizzo del rame sarebbe totalmente o quasi totalmente azzerato, se ci si dovesse orientare verso FTTB o FTTH. 
La separazione societaria sarebbe, dunque, molto costosa e sostanzialmente inutile: forse in un'altra epoca, ma oggi ? Bisognerebbe comprare le reti da Telecom, ammesso che Telecom le volesse vendere; quindi, occorrono, prima di tutto, risorse per l'acquisto. Lo scorporo avrebbe per oggetto sia le reti in fibra che quelle in rame: ma che senso ha comprare oggi il rame per disattivarlo ? 
Occorrono i soldi per realizzare l'infrastruttura in fibra di nuova generazione, come stiamo dicendo tutti quanti, ma in più anche i soldi per pagare una rete in rame da disattivare. Quindi, mi sembra più utile il suggerimento, che proviene anche dall'indagine dell'Agcom, che invita a un più stretto coordinamento degli investimenti fino a oggi fatti e tra i piani di sviluppo delle infrastrutture dei principali gestori nazionali, così come è giusto avviare un catasto di ogni infrastruttura, del sotto e sopra suolo, funzionale alla realizzazione di reti a banda ultralarga, siano esse in titolarità di operatori di comunicazione elettronica, di organismi pubblici o di concessionari. 
In conclusione: l'obiettivo fondamentale è concentrare le risorse non sull'acquisizione della rete, ma sulla realizzazione di «autostrade informatiche a banda ultralarga», tra l'altro più sicure. La mancanza di sicurezza delle reti e dell'informazione può compromettere servizi essenziali. Da un serio e deciso approccio alla sicurezza dipende non solo il futuro dei singoli cittadini, ma anche il destino degli Stati nazionali.
L'altra questione è che promuovere e realizzare reti con elevate performance non basta, per realizzare gli obiettivi dell'Agenda digitale bisogna attivare tutte le risorse disponibili per il sostegno alla domanda e per la crescita dell'impresa. L'Agenda digitale non si deve presentare come una sorta di digitalizzazione dell'esistente. 
Uno dei problemi che il Governo dovrà affrontare, e risolvere, è la riorganizzazione delle burocrazie, insieme a quello della loro digitalizzazione. Un atto se è inutile non lo rendi utile digitalizzandolo. In questa direzione va il Piano strategico di crescita digitale del Governo e, soprattutto, è importante la scelta dello switch-off, ovvero il passaggio totale dall'analogico al digitale, che rappresenta l'unico modo per arrivare, finalmente, alla totale digitalizzazione delle comunicazioni interne alla PA, e tra queste e i cittadini e le imprese. 
L'Agenzia per l'Italia digitale ha il compito di aumentare, in modo misurabile, la produttività totale dei fattori utilizzati nella spesa pubblica, altrimenti l'Agenda digitale sarebbe soltanto una lista di costi aggiuntivi, che invece di generare risparmi, li determina. Ed è questa allora, invece, la vera, strutturale, spending review della Pubblica amministrazione. Il vero problema di oggi non è razionalizzare i miliardi di spesa pubblica in ICT, ma ripensare tutti i processi in modalità digitale, ovvero è necessario cambiare approccio, adottando effettivamente il principio del digital by default. 
Infine, l'Italia sconta una grave arretratezza su cultura e competenze digitali, sia per il lavoro, e non ultima, anche sulla e-leadership. Bisogna creare un sistema di cittadinanza digitale, anche attraverso azioni di accompagnamento dei digital champion in ogni comune, e di tutor digitale. In questo senso va l'obiettivo del piano strategico di creare «Italia login», ogni cittadino italiano avrà un profilo civico online dal quale si potrà collegare ai servizi della PA, attraverso un PIN, e accedere all'informazione in maniera personalizzata Si tratta di un cambiamento di paradigma che pone il cittadino al centro e l'amministrazione al suo servizio. Naturalmente, per la realizzazione di questo obiettivo dovranno essere in esercizio sia il Sistema pubblico di identità digitale, sia l'Anagrafe nazionale unica. Questa è la strategia dei prossimi anni, ma stiamo già andando in questa direzione ? È di ieri la notizia che il Consiglio dei ministri, il 1o dicembre, ha approvato l'Agenda nazionale per la semplificazione che prevede per il 2016 la messa in esercizio dell'Anagrafe nazionale unica. 
Di recente, anche nella legge di stabilità, nonché nel decreto «sblocca Italia», sono state introdotte misure per sostenere ed incentivare gli investimenti nelle reti, aiutare la domanda e superare il digital divide. Ancora vi sono molti ritardi da colmare, non ultimo anche l'adozione dei molteplici decreti attuativi. Bisogna raggiungere importanti e complessi obiettivi, per questo, accettando le riformulazioni, chiediamo essenzialmente al Governo di perseguire in modo forte e deciso questa strategia, aggiornandola in modo costante ai bisogni della collettività, all'esigenza di sviluppare sempre più servizi evoluti in grado di rispondere ad una domanda che rappresenta la bussola per orientare e coordinare le azioni. Sono convinta che su questa strada, da ultimi, potremmo diventare un modello per l'Europa.