Dichiarazione di voto
Data: 
Martedì, 11 Settembre, 2018
Nome: 
Gianluca Benamati

Sì, Presidente, grazie, anche io intervengo in fase di dichiarazione di voto e anch'io mi riallaccio alla considerazione che queste mozioni, che sono state discusse il 16 luglio, avrebbero meritato una conclusione nell'ambito del dibattito sul decreto dignità, quanto meno contestuale perché i temi che lì si affrontavano sono strettamente collegati allo spirito di queste mozioni. Le delocalizzazioni, che, come abbiamo già detto, sono un frutto amaro di quella globalizzazione che per tanti versi è stata positiva come apertura di mercati, come fuoriuscita dall'indigenza di popolazioni, ma che ha colpito noi, Occidente industrializzato, col fenomeno dello spostamento di alcune produzioni industriali; globalizzazione, quindi, delocalizzazione, da non confondere con internazionalizzazione, lo dico ancora una volta perché la delocalizzazione insegue una concorrenza sleale sul costo del lavoro, sulle regole del lavoro più blande, sulle regole dell'ambiente spesso cancellato. Un dumping negativo, che fa male al Paese, cari colleghi, ma fa male anche all'azienda che lo pratica a lungo termine.

Su questo volevamo una discussione ampia nel decreto dignità per evitare quelle inesattezze, quegli equivoci sull'internazionalizzazione, sulla delocalizzazione e sul tema di combattere solo con le penalizzazioni, come è stato già detto, lo spostamento delle attività produttive, perché, cari colleghi, dei dieci Paesi che sono ospiti di attività produttive italiane verso l'estero, i primi cinque sono gli Stati Uniti, la Spagna, la Germania, la Francia e la Cina, e questo non è un fenomeno legato al costo del lavoro, ma alle dinamiche costruttive del commercio mondiale che solidificano anche le aziende italiane.

Oggi c'è un movimento di ritorno, ce lo dicono i dati, per questo discutiamo queste mozioni; ce lo dicono i dati dell'Osservatorio per le ristrutturazioni industriali in Europa e ci dicono che l'Italia è leader di queste politiche di ritorno, è primo Paese in Europa sul campione studiato da questo sistema universitario e secondo nel mondo dopo gli Stati Uniti.

Produzioni che rientrano dal lontano Oriente, e non sono solamente, come si è detto e come ha detto anche il collega Bersani, collegate a produzioni classiche, l'abbigliamento, la pelletteria, ma produzioni industriali vere e proprie, diciamo di meccanica e di elettronica ed elettrotecnica. Bisogna aiutare questo fenomeno! Bisogna aiutare, capendo perché questo fenomeno avviene e utilizzando delle misure corrette.

Allora, nel capire questo fenomeno, nel cercare di intendere perché questo fenomeno avviene, noi dobbiamo pensare che una delle prime ragioni è il made in, il prodotto in Italia, la grande forza del marchio Italia. E in questo dobbiamo certamente continuare in Europa la battaglia per la tutela dell'origine del prodotto, ma dobbiamo anche utilizzare una nuova visione: mi permetta signor Presidente, mi permetta il Governo, una visione che mette al centro il consumatore, l'informazione al consumatore che, sapendo cosa compra, sa cosa scegliere; e il prodotto italiano nella chiarezza non è mai secondo a nessuno. Quindi tracciabilità volontaria, possibilità per le aziende di indicare prodotti, natura di costruzione e prodotti base.

Anche nei trattati però, anche nei trattati che spesso in quest'Aula sono discussi, c'è la difesa del prodotto italiano: perché il suono italiano, il nome che vagheggia l'italianità di un prodotto si combatte con le regole giuridiche dei Paesi in cui esso avviene, e quelle regole spesso sono chiamate ad essere ossequienti ai trattati internazionali del Paese.

Diciamo allora: questo tema, poi quello della qualità del lavoro, la formazione, la capacità dei nostri operai, dei nostri artigiani, dei nostri tecnici. Io, Presidente, vengo dal collegio di Bologna-Casalecchio, dove sono stato eletto, e in quel collegio c'è una delle più famose aziende italiane di pelletteria ed accessori. Ha riportato dalla Cina produzioni, perché la qualità del lavoro italiano non è comparabile, sull'alta gamma, a quella che si può ottenere all'estero.

Quindi questo fenomeno va incentivato, questo fenomeno va aiutato con misure specifiche, come si diceva prima; ma anche, e questo è importante, offrendo alle aziende che ritornano un Paese attraente, un Paese amico per l'impresa, per la produzione, per il lavoro, non un Paese che è nemico e pone molti ostacoli. Burocrazia, infrastrutture, costo dell'energia, giustizia civile efficiente, una fiscalità per le aziende che premi la produttività, il prodotto, gli investimenti, la ricerca: queste sono misure che noi ci attendiamo. Serve una politica industriale, una politica fatta di scelte e una politica attiva per le imprese, per le imprese grandi e per le imprese piccole: perché dobbiamo cessare anche questo dualismo, che vede nel grande tutto bello o nel piccolo tutto bello, perché l'insieme delle grandi aziende e delle piccole aziende deve costituire la spina dorsale dell'Italia.

Su questo io richiamo allora dei nomi, richiamo dei titoli che i nostri Governi hanno posto in atto e che sono presenti nella nostra mozione. Si è già detto di Industria-Impresa 4.0, l'innovatività di questo procedimento, che stiano insieme il rinnovo delle attrezzature e la nuova digitalizzazione della manifattura e la formazione; ma le fiscalità di vantaggio, il credito di imposta sulla ricerca, il Patent box, la fiscalità sugli utili reinvestiti, gli investimenti, la Nuova Sabatini, il tema degli iper e super ammortamenti, il cuneo fiscale, la riduzione del carico fiscale sul lavoro. Qui si parla molto di flat tax: andiamo a parlare di riduzione del carico fiscale sul lavoro. La formazione professionale, il Fondo per la reindustrializzazione che è stato adesso citato: sono tutti titoli, sono tutte misure, sono tutte azioni già in essere o che debbono essere messe in essere, e che noi vogliamo trovare nelle azioni di questo Governo.

Vede, le azioni che sono state - e vado a concludere - poste in essere sino ad oggi ci lasciano perplessi: non sarei onesto da questi banchi non dicendo questo.

La situazione dell'Ilva, fortunatamente risolta dal nostro punto di vista, che ha avuto un decorso così complesso. Il tema di altre crisi industriali, non ultima quella della Breda Menarini. Il tema delle infrastrutture: si fanno, non si fanno, sì, ma, forse. Una politica, quella industriale, che non ha bisogno di slogan, non si adatta bene agli slogan: ha bisogno di scelte e di fatti.

E allora noi, signor Presidente, sappiamo quanto vale una mozione in quest'Aula: una mozione è un foglio di carta in cui spesso si enunciano tante buone intenzioni. Non ci formalizziamo quindi nemmeno sulla riformulazione di alcuni dei nostri impegni richiesta dal Governo, che valutiamo anche perché questo Governo è arrivato al contatto con la realtà, inizia a scrivere “a seconda dei limiti di bilancio”; ed è chiaro, perché è così: si mettono in atto azioni che sono scelte, secondo quelle che sono la possibilità di bilancio. E questo è positivo, da parte di un Governo che ci ha abituato ad avere impegni di spesa così immaginifici, per 100 miliardi. Però, come ha detto chi mi ha preceduto, queste riformulazioni, che hanno un senso comune, il buonsenso, quello di prevedere che si fanno le cose nei limiti delle possibilità economiche, e non si manda il Paese in rovina, hanno però - mi consentano, signor Presidente e Governo - la precipua… …funzione – concludo - di definire delle azioni: se si dice che Industria 4.0 prosegue anche nei limiti di bilancio, questa deve proseguire.

Noi valuteremo allora questi impegni (e concludo), lo stiamo facendo; con tutta la buona volontà, perché la nostra opposizione non è come quella che c'è stata riservata nella scorsa legislatura, ma noi cerchiamo sempre di vedere il buono, e quando c'è del buono non siamo mai contro.