Mozione
Data: 
Lunedì, 21 Settembre, 2015
Nome: 
Marco Miccoli

Grazie Presidente, se oggi possiamo guardare con più fiducia alla ripresa economica del Paese, confortati dai dati che gli istituti e le associazioni di categoria ci forniscono e che l'Europa conferma, è anche perché le misure intraprese dai nostri Governi per la stabilizzazione finanziaria, la razionalizzazione e la competitività economica ne hanno sicuramente determinato le condizioni. 
Tra queste misure non vi è dubbio che il risultato determinante sia derivato dal congelamento dei trattamenti economici, quindi dal blocco della contrattazione nazionale del pubblico impiego. Va detto che i lavoratori del pubblico impiego hanno in prima persona pagato con un prezzo in tutti questi anni, sia sotto il profilo economico, che sotto quello dei diritti. 
Dal 2010, a partire dal decreto-legge n. 78 del 31 maggio, sono state via via prorogate disposizioni restrittive, modificando gli spazi delle relazioni sindacali così come venivano configurate dalla legge e dalla contrattazione collettiva. 
C’è da dire, invero, che la legge di stabilità 2015, pur confermando il blocco contrattuale, ha ripristinato, in alcune categorie, tra tutte le Forze di polizia, gli automatismi e gli effetti economici legati alle progressioni di carriera e gli assegni connessi al merito e all'anzianità di servizio. Dico ciò, lo sottolineo, perché è bene ricordare che il Governo in carica ha ereditato queste misure di blocco e di contenimento della contrattazione collettiva nel pubblico impiego. 
Si è, quindi, operato in un difficile contesto e ciò deve indurci a una prima riflessione, una riflessione che parte da alcuni dati: quelli più evidenti sono appunto quelli che negli ultimi cinque anni con il blocco del turnover abbiamo perso nella pubblica amministrazione circa 270 mila posti di lavoro, cioè il 7 per cento della forza totale, e il potere di acquisto del salario è sceso di circa l'8,4 per cento. 
Ora, però, questo Governo ha, invece, deciso di cambiare la pubblica amministrazione; lo ha fatto con diversi provvedimenti, intervenendo sulla semplificazione, l'innovazione, la riorganizzazione della stessa. Il disegno di legge Madia sulla pubblica amministrazione si inserisce in un contesto di ampio respiro, che punta a un rinnovamento complessivo della nostra Repubblica. I destinatari della riforma sono gli italiani tutti, non solo i lavoratori del settore pubblico, perché una amministrazione semplice, competente e trasparente è garanzia di democrazia per ogni cittadino, sia esso attore o fruitore dei servizi. 
Il provvedimento introduce una serie di misure che favoriscono l'accesso dell'utenza ai servizi pubblici, nonché tra i vari livelli dell'amministrazione stessa, in maniera digitale, perché uno Stato che accorcia le distanze disbosca enormi masse normative che gravano sulla funzionalità del sistema economico, si mostra più attrattivo e competitivo, requisito, questo, essenziale in una congiuntura economica così difficile, come quella che stiamo difficilmente, appunto, superando. 
Chiameremo, perciò, i lavoratori del pubblico impiego a operare con più incisività, con nuove misure di prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione, alla riorganizzazione dell'amministrazione statale sia centrale che periferica dentro una nuova revisione della disciplina in materia di dirigenza pubblica e di valutazione dei rendimenti dei pubblici uffici. Quindi, ci troveremo di fronte a una dirigenza selezionata per concorso, in base al principio dell'equilibrio di genere e in continuo obbligo di formazione. Scelte importanti, fondamentali; se ne potrebbero citare molte altre, per il miglior funzionamento della macchina amministrativa, che vanno a incidere in positivo sulla qualità della vita dei cittadini. 
Durante l’iter di approvazione di questo importante provvedimento c’è stata un'intensa discussione e c’è stata un'intensa discussione anche sulla vicenda dello sblocco della contrattazione. Il tema è stato posto sia nelle Commissioni competenti sia in Aula, anche attraverso la presentazione di emendamenti e la formulazione dei pareri in Commissione. Chi nel Partito Democratico ha voluto sollevare il problema all'interno di quella discussione voleva cogliere un'opportunità per coniugare la condivisione della stesura di quel provvedimento, utile al Paese, alla garanzia che i lavoratori si potessero ritenere artefici e partecipi di una giusta e utile riforma. 
La questione dello sblocco della contrattazione, intanto nella parte normativa, era proprio inerente a questo obiettivo, perché, se è utile condividere il progetto, è ancora più utile garantire il massimo sforzo di tutti per la sua applicazione sul campo. 
Poi, il 23 luglio del 2015 la Corte costituzionale è intervenuta, in relazione alle questioni di legittimità sollevate con due diverse ordinanze, e, con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza stessa, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico, così come risulta dalle norme impugnate e da quelle che le hanno prorogate, che rischiano di rendere strutturale tale blocco. 
La Corte ha ribadito la piena legittimità, già affermata in sentenze precedenti, dell'intervento del legislatore volto a fare fronte a esigenze eccezionali di riequilibrio del bilancio pubblico, riaffermando alcune peculiarità del settore pubblico rispetto a quello privato, che permangono anche dopo la cosiddetta contrattualizzazione dell'impiego pubblico, negando altresì che il blocco temporaneo abbia determinato una situazione di insufficienza della retribuzione alla stregua dell'articolo 36 della Costituzione, osservando che, prima del blocco, i livelli salariali del settore pubblico si erano già attestati su livelli superiori, a parità di contenuto della prestazione lavorativa, rispetto al settore privato. Nell'affermare l'illegittimità costituzionale sopravvenuta del blocco della contrattazione collettiva nel settore pubblico la Corte precisa che la riattivazione della negoziazione collettiva costituisce un dato essenzialmente procedurale, disgiunto da qualsiasi vincolo di risultato. 
Già antecedentemente alla sentenza della Corte costituzionale, in data 17 giugno 2015, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, rispondendo a un'interrogazione in merito alla sospensione e alla revoca, a partire dal secondo semestre 2015, del blocco della contrattazione nazionale del pubblico impiego ha riferito, di intesa con la Ministra Madia, che il Governo nella sua collegialità ha ritenuto di confermare il blocco della contrattazione collettiva economica per il pubblico impiego prorogato al 2015, ma parzialmente compensato da un periodo di bassa inflazione. 
È evidente, tuttavia, che il blocco dei contratti non può essere la normalità e per questo l'auspicio è di riaprire il prima possibile una normale contrattazione. Successivamente, durante il passaggio al Senato del disegno di legge delega approvato ad agosto in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, la stessa Ministra Madia ha preannunciato la volontà del Governo di superare il blocco della contrattazione, dopo 5 anni di fermo della parte economica dei contratti collettivi di lavoro, appunto nel pubblico impiego. 
Il rinnovo del contratto collettivo per 3 milioni e mezzo di lavoratrici e lavoratori del pubblico impiego è una scelta utile per l'economia e indispensabile per riconoscere il valore del lavoro pubblico. La valorizzazione dei lavoratori del pubblico impiego è condizione necessaria per la piena realizzazione degli obiettivi positivi di semplificazione, qualità e maggiore efficacia della pubblica amministrazione, perseguita proprio dalla legge 7 agosto 2015, n. 124. Si è, quindi, giunti a un punto cruciale della vicenda, anche perché siamo in prossimità della legge di stabilità. 
Credo che non dovremmo concepire l'idea dello sblocco economico solo in funzione della sentenza, ma anche in virtù di risultati economici che si stanno ottenendo. Gli aumenti retributivi a tre milioni e mezzo di lavoratrici e lavoratori vanno inseriti nelle misure che in una fase di ripresa portano ad un aumento dei consumi, specialmente nelle grandi città, innescando un ciclo virtuoso, che non può che far bene alla nostra economia, paragonabile agli effetti benefici sui consumi prodotti dagli 80 euro. 
Quindi, il Governo, a nostro parere, deve prevedere, nell'ambito della prossima manovra finanziaria, nel quadro delle compatibilità finanziarie individuate in quella sede, adeguate risorse da destinare al rinnovo dei contratti del pubblico impiego. 
Risulta indispensabile anche ripristinare le normali relazioni sindacali, per favorire quella riorganizzazione che il Governo si prefigge e che i provvedimenti hanno dettato. Qui c’è un altro punto di cui il Governo, a nostro modo di vedere, deve farsi carico. Con l'articolo 40 del decreto legislativo n. 165 del 2001, modificato dall'articolo 54 del decreto legislativo, n. 150 del 2009, si fa riferimento ad appositi accordi tra l'ARAN e le confederazioni sindacali rappresentative, a partire dall'obbligo di rinnovare gli attuali dodici contratti collettivi nazionali che riguardano l'intero mondo del pubblico impiego, raggruppandoli in quattro comparti, a cui corrispondono non più di quattro separate aree per la dirigenza. 
Ebbene, senza questa definizione del numero dei comparti e senza quell'accordo tra ARAN e confederazioni sindacali, non è possibile ricondurre in alcun modo alle previsioni normative il numero dei comparti quale premessa per la riapertura del tavolo contrattuale. Qui è l'altro punto, su cui secondo noi, il Governo deve impegnarsi: favorire la chiusura di quegli accordi al fine di una conclusione rapida entro il 2015, anche con soluzioni innovative, in coerenza con l'impianto della legge n. 124 del 2015. 
Noi crediamo, Presidente, che, se il Governo realizzerà gli obiettivi esposti, verrà aperta una nuova pagina della pubblica amministrazione nel nostro Paese. Si darebbe più forza alle riforme, iniziando anche a riparare ad un'ingiustizia, quella che ha privato così tante lavoratrici e così tanti lavoratori di diritti fondamentali. Il Governo – l'abbiamo detto – ha ereditato una situazione difficile e il Parlamento si è assunto delle responsabilità. I risultati ottenuti vanno ora messi a disposizione anche di chi in questo momento ha dato una mano, appunto, anche i lavoratori della pubblica amministrazione.