Dichiarazione di voto
Data: 
Mercoledì, 18 Maggio, 2016
Nome: 
Luigi Dallai

Vai alla scheda della mozione

 

Grazie, signora Presidente. Votiamo oggi delle mozioni che, come è noto, contengono degli impegni per il Governo. Tra gli impegni che accomunano tutte le mozioni ci sono quelli relativi ad un progressivo aumento delle risorse per il sistema della ricerca, facilmente identificabile in Italia nel complesso delle università e degli enti pubblici di ricerca. E, mentre noi lo vincoliamo ad impegni precisi, dobbiamo riconoscere che il Governo, l'impegno ad invertire l'inerzia anche nel mondo dell'università e degli enti pubblici di ricerca, ce lo sta mettendo. Sono stati recentemente selezionati scienziati di valore ai vertici degli enti pubblici di ricerca e si discute finalmente di come rilanciare la ricerca, pur in presenza di vincoli di bilancio molto stretti. 
Sottolineo, inoltre, come il fondo di finanziamento ordinario per le università veda quest'anno una stabilizzazione. Da qui occorre riprendere una fase ascendente, anche in virtù di qualche modifica nei criteri relativi alla ripartizione delle spese. Mi preme ricordare, inoltre, lo sforzo fatto in legge di stabilità in favore del reclutamento, sia quello ordinario che quello che definirei sperimentale, mediante lo stanziamento del fondo per le cattedre «Giulio Natta», così come in favore delle iniziative per il diritto allo studio. Queste ultime sfondano il tetto dei 200 milioni di euro, cosa che solo una volta era accaduta negli ultimi dieci anni. Abbiamo arrestato la tendenza che ha visto il mondo della ricerca progressivamente e, cosa forse più grave, continuativamente impoverito negli ultimi anni. Veniamo da un recente passato in cui abbiamo assistito ai tentativi di ridimensionamento del più grande ente nazionale di ricerca, il CNR; tentativo maldestro e non riuscito, perché, oltre alle velleità politiche, occorre poi fare i conti con il valore intrinseco delle persone e delle cose. 
Veniamo da una legislazione contraddittoria, ad esempio sulle norme contrattuali per i ricercatori precari. Veniamo da un passato in cui si è discusso addirittura se proibire l'utilizzo dei fondi per effettuare le più elementari missioni di ricerca. Adesso ci stiamo tutti adoperando perché il nostro sistema della ricerca, che, ovviamente, ha al proprio interno anche qualche residua resistenza alla modernizzazione e alla valutazione, sia messo in condizione di competere alla pari con i sistemi di ricerca europei, e lo fa attraverso il capitale umano, ovvero i ricercatori. Capitale, perché sulla formazione di ciascuno di essi lo Stato investe migliaia di euro, umano perché è dall'ingegno, dall'applicazione e dal lavoro oscuro, e spesso molto mal pagato, che si ottengono le più grandi conquiste scientifiche. Sul capitale umano noi scontiamo uno spreco di intelligenze considerevole, quello causato dalla scarsa attrattività complessiva del nostro sistema della ricerca, dove le uscite sono pari al 16 per cento, mentre le entrate dall'estero sono ferme al 3 per cento. Molti dei nostri ricercatori se ne vanno senza che ciò sia compensato da ingressi di ricercatori dall'estero. È sufficiente osservare i dati sulle borse Marie Curie per la mobilità europea nel periodo 2007-2014 che indicano come l'Italia abbia un saldo negativo tra i ricercatori in entrata, 147, e quelli in uscita, 615. 
Quindi, un saldo molto alto, un saldo negativo molto alto. La necessità di questo cambiamento richiede una riforma profonda anche nell'allocazione delle risorse. Le mutate esigenze economiche e sociali che abbiamo di fronte richiedono politiche fondate su efficienza e responsabilità, e danno origine in molti Paesi europei e negli Stati Uniti a nuovi modelli di finanziamento pubblico della ricerca, oltre che alla creazione di nuovi tipi di strutture di ricerca pubblica e ad agenzie indipendenti per gestire i finanziamenti dei progetti su logiche competitive. Molti Paesi hanno cambiato metodi di spesa, passando da finanziamenti in blocco, che garantiscono una base stabile per le attività di ricerca, verso forme di finanziamento a progetto oppure ad obiettivo. 
Diversi Paesi hanno introdotto approcci basati sulla performance nella distribuzione delle risorse istituzionali. L'Unione europea, fin dal settimo Programma Quadro, segue una modalità che prevede finanziamenti alla ricerca stabiliti per alcune aree predefinite, su cui è possibile richiedere fondi. 
Su questi finanziamenti sono richiesti finanziamenti esterni aggiuntivi e la collaborazione internazionale. I criteri comuni individuabili nelle diverse esperienze europee sono la base competitiva per l'erogazione dei finanziamenti a organismi generalmente indipendenti da ministeri, capaci di gestire il budget per finanziare la ricerca. 
E in Italia ? Questa esperienza potrebbe esistere in varie forme, pensandone di nuove o recuperando modelli del passato. Si tratta di una scelta seguita in altre realtà, ad esempio in Francia, dove nel 2005 è stata creata un'agenzia che distribuisce i fondi per la ricerca e l'istruzione su base competitiva, tramite processi di peer review svolti da esperti internazionali e che ha avuto i finanziamenti fino a 900 milioni di euro l'anno; oppure in Gran Bretagna, che ha creato, invece, setteresearch council che finanziano i ricercatori con 3 miliardi di sterline l'anno, i cui effetti, in termini di benefici per la società e l'economia del Paese, sono misurati in impact report periodici. 
Risulta di sicuro interesse un'ipotesi tesa a sviluppare sinergie tra società pubbliche e partecipate con gli atenei, al fine di attivare nuove forme di finanziamento per la ricerca. Università ed enti di ricerca saranno il luogo della produzione della ricerca di base e, a fianco a questi, anche della formazione all'innovazione. Il pubblico, cioè lo Stato, le regioni e gli enti locali saranno garanti, anche finanziari, dei progetti di ricerca, del trasferimento della conoscenza e della sua applicazione. Il nodo del rapporto tra università, settore privato e pubbliche amministrazioni emerge chiaramente da un'analisi dei dati europei. 
Il nostro Paese deve attivare il contributo delle imprese e del settore privato in questo settore. La ricerca esprime il proprio potenziale nell'innovazione interagendo nella ricerca applicata e nella fase di sviluppo attraverso un migliorato rapporto con le imprese, senza che questo significhi la perdita dell'autonomia della ricerca di base. La sfida della terza missione riguarda anche il sistema delle imprese, che, per la sua elevata frammentazione, non riesce a cogliere interamente le opportunità offerte dalla ricerca, né ad offrire significative capacità di investimento. Nessuna grande impresa italiana risulta, infatti, fra le prime dieci per investimenti in ricerca a livello europeo. 
Un limite che appare evidente osservando il livello di investimenti in ricerca e sviluppo per abitante, che, considerando settore pubblico e privato in Italia, è di circa 350 euro, ovvero più basso di quello dell'Unione europea, di circa 540 euro pro capite, e, soprattutto, molto lontano dai livelli di investimento delle regioni europee ad alta intensità di ricerca e sviluppo. Credo che questo Governo voglia provare a dare una nuova e migliore forma al sistema della ricerca e sa di doverlo fare in fretta, perché troppo tempo è stato gettato via, anche da chi ci raccontava che con la cultura non si mangia. 
Il compito di chi ha a cuore la ricerca di futuro di questo Paese è quello di avere la curiosità di conoscere ciò che avviene dentro i laboratori, ciò che affascina i bambini e gli adulti quando visitano le strutture di ricerca e, quando la politica e la ricerca si incontrano, affascina anche chi amministra il bene pubblico. 
Vede, signora Presidente, se è vero che riusciamo a vedere soltanto ciò che già conosciamo, ecco che i laboratori, le università, gli enti pubblici di ricerca vogliono farsi conoscere con grande trasparenza, perché sono certi della qualità di ciò che producono, perché sentono la responsabilità di far progredire il nostro Paese e perché all'impegno del Governo davvero non ha mai mancato di corrispondere quello del mondo della ricerca.