Relatore per la maggioranza
Data: 
Lunedì, 23 Marzo, 2015
Nome: 
Franco Vazio

A.C. 2168-A

 

Onorevole Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, il provvedimento oggi all'esame dell'Assemblea è diretto ad introdurre nell'ordinamento italiano il reato di tortura. 
Sono numerosi gli atti internazionali che prevedono che nessuno possa essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti. Tra questi ricordiamo la Convenzione di Ginevra del 1949 relativa al trattamento dei prigionieri di guerra, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950 (ratificata nel 1955), la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966 (ratificata nel 1977), la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 2000, la Convenzione ONU del 1984 contro la tortura ed altri trattamenti e pene crudeli, inumane e degradanti (la cd. CAT), ratificata dall'Italia nel 1988 ed infine lo Statuto di Roma istitutivo della Corte penale internazionale del 1998. 
Come appena detto l'Italia ha ratificato nel 1988 la Convenzione ONU del 1984 contro la tortura. Tuttavia, non si è ritenuto di dover introdurre lo specifico reato di tortura in quanto si creduta sufficiente la riconducibilità delle varie condotte alla nozione di tortura sancita dalla Convenzione ONU che avevano, come tuttora hanno, una rilevanza penale nell'ordinamento italiano attraverso una serie di reati specifici con connesse circostanze aggravanti. Si pensi, ad esempio, alle percosse (articolo 581 c.p.) alle lesioni (articolo 582 c.p.), alla violenza privata (articolo 610 c.p.), alle minacce (articolo 612 c.p.), alle ingiurie (articolo 594 c.p.), al sequestro di persona (articolo 605 c.p.), all'arresto illegale (articolo 606 c.p.), alla indebita limitazione di libertà personale (articolo 607 c.p.), all'abuso di autorità contro arrestati o detenuti (articolo 608 c.p.), alle perquisizioni e ispezioni personali arbitrarie (articolo 609 c.p.). 
Questo elenco di reati, tuttavia, per quanto ampio, non appare esaustivo, come dimostra la complessità, anche tecnico-giuridica, che negli ultimi anni ha caratterizzato il dibattito svoltosi nel nostro Paese sul tema della tortura. 
Dibattito che ha portato in primo piano la questione della sussistenza di un obbligo giuridico internazionale all'introduzione dello specifico reato di tortura (previsto dall'articolo 4 della CAT). 
Infatti, si tratta di reati che non prevedono – al contrario di quanto statuito dai richiamati atti internazionali – la possibile sofferenza mentale ed in cui, a volte, manca il dolo nell'infliggere (intenzionalmente) le sofferenze alla vittima; si tratta di reati per lo più procedibili a querela di parte (fatto che espone la vittima a ritorsione) e con termini di prescrizione brevi (anche a causa della lieve entità delle pene). 
Proprio per tali ragioni la Commissione Giustizia, nell'esaminare il testo trasmesso dal Senato, si è ispirata agli atti internazionali ed in particolar modo alla, Convenzione ONU del 1984. 
Nell'articolo 1 della CAT la specificità del reato di tortura è strettamente connessa alla partecipazione agli atti di violenza, nei confronti di quanti sono sottoposti a restrizioni della libertà, di chi è titolare di una funzione pubblica. La tortura è individuata come reato proprio del pubblico ufficiale che trova la sua specifica manifestazione nell'abuso di potere e, quindi, nell'esercizio arbitrario ed illegale di una forza di per sé legittima. Su questo punto, come si vedrà, la Commissione si è soffermata arrivando, anche alla luce delle audizioni, ad un altro risultato, che comunque non è in contrasto con la ratifica della Convenzione ONU, la quale, come si avrà modo di spiegare, non esclude affatto che il reato di tortura possa essere commesso anche da un privato cittadino. 
Quanto all'elemento soggettivo del reato, la detta Convenzione richiede due requisiti: il perseguimento di un particolare scopo, ossia ottenere dalla persona torturata (o da una terza persona) informazioni o una confessione; il dolo, consistente nell'infliggere intenzionalmente dolore e sofferenze. Trattandosi di un elemento qualificante del reato si è ritenuto di introdurre il dolo specifico nella fattispecie elaborata dal Senato, così come è stato introdotto il riferimento alla intenzionalità della condotta. 
Secondo la Convenzione, gli elementi di natura oggettiva non debbono essere di lieve entità: le condotte di violenza o di minaccia per connotare il reato devono cioè aver prodotto sofferenze «forti» a livello fisico e psichico. L'ultima parte della definizione di tortura contenuta nella CAT si prefigge l'obbiettivo di escludere dalle azioni proibite quegli atti che derivano dall'applicazione di sanzioni legittime, quindi previste dalla legge. Anche di questa precisazione la Commissione ha fatto tesoro emendando il testo trasmesso dal Senato. In questo modo, gli autori della Convenzione hanno voluto proteggere gli Stati dall'essere condannati a livello internazionale per il normale funzionamento del loro ordinamento giudiziario e carcerario. 
Parzialmente diversa è, invece, la definizione di tortura contenuta nello Statuto della Corte penale internazionale. Qui la tortura viene configurata come reato comune caratterizzato da dolo generico. Rispetto sia alla definizione della CAT che a quella del 1975 è infatti assente qualsiasi riferimento allo scopo, così come l'identificazione dell'autore della tortura come pubblico ufficiale: la vittima del reato non è più, quindi, un soggetto di cui è limitata la libertà da una pubblica autorità, bensì ogni persona di cui un'altra, a qualsiasi titolo, «abbia la custodia o il controllo». Occorre, inoltre, sottolineare come, secondo lo Statuto in questione, il reato di tortura sia imprescrittibile, in quanto reato contro l'umanità. 
La Commissione Giustizia ha previsto il raddoppio del termine della prescrizione sembrando questa scelta più in linea con il quadro normativo vigente. A tal riguardo, infatti, occorre distinguere tra la tortura che ha un connotato di rilevanza internazionale, che è da considerare un crimine contro l'umanità per le modalità e la sistematicità con cui è perpetrata dalla tortura intesa come episodio a se stante e comunque valutata in un contesto circoscritto. Nel primo caso, che è poi quella alla quale si riferisce lo Statuto di Roma sulla Corte penale internazionale, la tortura deve essere considerato reato imprescrittibile, mentre a diverse conclusioni, per ovvie ragione, si deve giungere nella seconda ipotesi. 
È importante evidenziare queste differenze definitorie e concettuali perché, come vedremo, alcune delle proposte di legge in esame si ispirano alla definizione contenuta nello Statuto della Corte penale internazionale, mentre altre ricalcano, sia pure con taluni adattamenti, la fattispecie prevista dalla CAT. 
Per completare l’excursus sul quadro normativo sovranazionale si ricorda l'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), che contempla espressamente la proibizione della tortura. In particolare detto articolo prevede che: «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti», distinguendo dunque tre tipi di condotte: la tortura, i trattamenti o le pene inumane, i trattamenti o le pene degradanti. 
In estrema sintesi, la Corte EDU, nella sua giurisprudenza, ha precisato preliminarmente come, per verificare se vi sia stata o meno una violazione dell'articolo 3, occorre che la condotta in questione raggiunga un «livello minimo di gravità» (che va valutata indipendentemente dalla legittimità o meno del trattamento) accertato il quale deve poi essere qualificata e ricondotta in uno dei tre comportamenti sopra descritti. Tale livello minimo di gravità va valutato in base ad un insieme di circostanze quali il sesso, l'età, lo stato di salute della vittima, la durata del trattamento e le conseguenze fisiche e mentali. 
La Corte ha quindi operato una distinzione in base al grado di sofferenze inflitte: molto gravi e crudeli nella tortura, mentali e fisiche di particolare intensità nel trattamento inumano, atte a provocare umiliazione e angoscia nel trattamento degradante. Ed ha chiarito che la tortura è il trattamento disumano o degradante che causa le sofferenze più intense: ogni atto di tortura è dunque al contempo anche un trattamento disumano e degradante. Secondo la Corte, l'articolo 3 della Convenzione impone in ogni caso allo Stato di proteggere l'integrità fisica delle persone private della libertà. 
Passo ora all'analisi del testo approvato dalla Commissione. 
La proposta di legge si compone di 7 articoli. Rispetto al testo del Senato si è aggiunto l'articolo che disciplina il raddoppio dei termini di prescrizione. Il testo licenziato dal Senato, in realtà, connota il delitto in modo non del tutto coincidente con quello previsto dalla Convenzione ONU, bensì in modo strutturalmente conforme a quello previsto nello Statuto nella Corte penale internazionale. 
Il testo approvato dal Senato prevedeva, infatti, che la tortura fosse un reato comune caratterizzato dal dolo generico. Entrambi gli elementi contribuiscono a rendere più ampia l'applicazione della fattispecie, potendo la tortura essere commessa da chiunque ed a prescindere dallo scopo che il soggetto ha eventualmente perseguito con la sua condotta. La commissione del reato da parte del pubblico ufficiale costituisce un'aggravante del delitto di tortura. 
Anche alla luce delle audizioni svolte, è parso opportuno rivedere questa impostazione per poter così meglio individuare le specificità di questo nuovo reato, che non deve essere considerato come una sommatoria di reati già esistenti, quanto piuttosto un qualcosa di nuovo e con un disvalore proprio. 
Su questo punto vorrei richiamare l'opinione del professore Tullio Padovani che nell'audizione svolta ha sottolineato come il reato di tortura non sia una fattispecie a selettività primaria, non delineando il confine tra lecito ed illecito; essendo altre le fattispecie che svolgono questo compito. La tortura si insedia invece all'interno di una situazione che è già connotata da una dimensione illecita, stigmatizzando interventi di particolare gravità. 
Per tale ragione la Commissione Giustizia ha ritenuto di richiedere l'esistenza del dolo specifico, andando a prefigurare una serie di finalità, che a ben vedere non solo riprendono quanto previsto dagli atti internazionali, ma sono anche quelle finalità che corrispondono al concetto comune di tortura. 
L'articolo 1 introduce nel codice penale l'articolo 613-bis. 
Al primo comma è punito con la reclusione da 4 a 10 anni chiunque, con violenza o minaccia, ovvero con violazione dei propri obblighi di protezione, cura o assistenza, intenzionalmente cagiona ad una persona a lui affidata, o comunque sottoposta alla sua autorità, vigilanza o custodia, acute sofferenze fisiche o psichiche a causa dell'appartenenza etnica, dell'orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose o al fine di ottenere da essa, o da un terzo, informazioni o dichiarazioni o – infliggere una punizione o vincere una resistenza. 
La tortura è dunque configurata come un reato comune (anziché come un reato proprio del pubblico ufficiale), caratterizzato da un elemento soggettivo rafforzato dall'avverbio «intenzionalmente» e dal dolo specifico. La condotta si esplica attraverso la violenza o minaccia ovvero la violazione degli obblighi di protezione, cura o assistenza. Il reato è di evento dovendo la condotta comportare acute sofferenze fisiche o psichiche. 
L'esigenza di specificare in dettaglio la condotta è stata evidenziata anche dal Capo della polizia, il Prefetto Alessandro Pansa, che in audizione ha manifestato preoccupazione per le strumentalizzazioni che potrebbero esservi a danno delle forze di polizia in caso di fattispecie generica. 
Oltre a rendere più determinata la fattispecie rispetto al testo del Senato e quindi anche per evitare il paventato rischio di strumentalizzazioni, si è introdotta nel testo una clausola di chiusura, che peraltro è prevista espressamente dalla Convenzione ONU, secondo cui la sofferenza deve essere ulteriore rispetto a quella che deriva dall'esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti. 
L'esigenza di descrivere dettagliatamente le modalità della condotta è stata anche evidenziata dal professore Tullio Padovani, il quale ha sottolineato come non si possa pensare alla fattispecie del reato di tortura puntando solo sull'evento, occorrendo al contrario fare riferimento alla violazione dei propri obblighi di protezione, cura o assistenza. 
Rispetto al testo del Senato, accogliendo un suggerimento del professore Francesco Viganò, si è eliminata la connotazione di gravità della violenza o della minaccia, in quanto la gravità deve essere propria dell'evento, potendosi configurare una violenza non grave, come, ad esempio, piccole scosse elettriche, alla quale conseguono gravi sofferenze. 
Si sono inoltre specificate le modalità e le finalità. 
È stato eliminato poi il riferimento ai trattamenti inumani e degradanti la dignità umana per evitare sovrapposizioni difficilmente risolvibili con il reato di maltrattamenti che, al contrario della tortura, è comunque un reato abituale. 
Inoltre, il trattamento inumano è qualcosa di ontologicamente diverso dalla tortura, dove occorre almeno una violenza o una minaccia grave (è stato eliminato il plurale usato invece dal Senato) e che siano cagionate acute sofferenze fisiche o psichiche.
A questo proposito il Professore Francesco Viganò, analogamente a quanto evidenziato nel parere dell'ANM, ha invitato a sopprimere il riferimento ai trattamenti inumani anche per non creare pericolose confusioni rispetto all'articolo 3 della CEDU, dove la tortura è distinta dai trattamenti inumani. 
È bene infatti chiarire che proprio per questa ragione non ogni violazione dell'articolo 3 della CEDU costituisce tortura, potendo essere invece un trattamento inumano. 
Altro punto qualificante del testo della Camera è la previsione del dolo specifico. 
Molti auditi, tra i quali il dott. Mauro Palma, Presidente del consiglio europeo per la cooperazione nell'esecuzione penale del consiglio europeo, Patrizio Gonnella, Presidente dell'associazione Antigone ed il professore Francesco Viganò, si sono soffermati sull'esigenza di connotare in tal senso l'elemento soggettivo del reato, prevedendo inoltre l'intenzionalità della condotta. 
I commi secondo, quarto e quinto dell'articolo 613-bis prevedono specifiche circostanze aggravanti del reato di tortura: l'aggravante soggettiva speciale, costituita dalla qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio dell'autore del reato. Per poter applicare l'aggravante – che comporta la reclusione da 5 a 12 anni – occorre che l'autore del reato abbia agito con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio (secondo comma). Quest'ultima precisazione è stata inserita a seguito dell'audizione del professore Tullio Padovani. 
La scelta di configurare il reato come reato comune eventualmente aggravato dalla qualifica soggettiva del reo è stata assunta anche sulla base delle audizioni svolte. 
La stessa Amnesty International Italia, per voce del suo Presidente, Antonio Marchesi, ha sottolineato come la Convenzione delle Nazioni Unite definisce la tortura come reato, ma chiarisce in modo espresso che ciò non esclude definizioni più ampie e più comprensive – come quella contenuta nel testo in esame. Analogamente ed anche per ragioni specifiche ed operative in questo senso si è espresso il Capo della Polizia sottolineando in particolare come la configurazione del reato come proprio finirebbe per invertire l'onere della prova. 
Nella stessa direzione si è espresso il professore Francesco Viganò precisando che, se è vero che le Convenzioni internazionali delineino la tortura come reato proprio, è altrettanto vero che la scelta di dare al reato configurazione di reato comune non determina alcun tipo di violazione delle stesse; si tratterebbe di ampliare e non di ridurre la sfera della rilevanza penale del fatto previsto dalla convenzione come reato. 
Inoltre è stato evidenziato come certe condotte che sono riconducibili alla nozione di tortura possano essere certamente commesse tanto da un privato cittadino che da un pubblico ufficiale. 
Dai commi quarto e quinto sono previste le aggravanti relative alle conseguenze della tortura: l'aggravante ad effetto comune (aumento fino a 1/3 della pena), consistente nell'avere causato lesioni personali; l'aggravante ad effetto speciale (aumento di 1/3 della pena), consistente nell'aver causato lesioni personali gravi; l'aggravante ad effetto speciale (aumento della metà della pena), consistente nell'aver causato lesioni personali gravissime (quarto comma); l'aggravante ad effetto speciale (30 anni di reclusione), derivante dall'avere provocato la morte della persona offesa, quale conseguenza non voluta del reato di tortura; l'aggravante ad efficacia speciale (ergastolo), derivante dall'avere volontariamente provocato la morte della persona offesa (quinto comma). 
Sull'aggravante derivante dall'avere provocato la morte della persona offesa si è soffermata la Commissione Affari Costituzionali nel parere espresso alla Commissione Giustizia. In particolare si invitava la Commissione Giustizia a valutare, alla luce della giurisprudenza costituzionale, se la previsione della pena fissa di 30 anni di reclusione sia ragionevolmente ’proporzionata’, per la natura dell'illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico reato di tortura ed inoltre sia opportuno prevedere la pena fissa. 
I temi sollevati non sono infondati e peregrini e quindi meriteranno attenta valutazione: potrebbe essere coerente e ragionevole prevedere, ad esempio, un aggravamento di pena da ventiquattro a trenta anni. Su questo punto si potrà soffermare anche il Comitato dei nove. 
L'articolo 1 inoltre introduce nel codice penale l'articolo 613-ter con cui si punisce il reato proprio consistente nell'istigazione a commettere tortura, commessa dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio, sempre nei confronti di altro pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. Per evitare dubbi interpretativi, si è specificato che il nuovo reato si applica quando non sia applicabile il reato di istigazione a delinquere, di cui all'articolo 414 c.p., che riguarda chiunque «pubblicamente» istiga a commettere uno o più reati e prevede la sanzione – quando riguarda la commissione di delitti – della reclusione da uno a cinque anni. In virtù della clausola di salvaguardia in favore dell'articolo 414 c.p., la nuova fattispecie di istigazione a commettere tortura dovrebbe pertanto trovare applicazione solo nel caso in cui non abbia luogo «pubblicamente».
L'articolo 2 è norma procedurale che modifica l'articolo 191 del codice di procedura penale, aggiungendovi un comma 2-bis. Tale comma introduce il principio dell'inutilizzabilità, nel processo penale, delle dichiarazioni eventualmente ottenute per effetto di tortura. 
Come si è visto, l'articolo 3 riguarda il raddoppio dei termini di prescrizione. 
L'articolo 4 coordina con l'introduzione del resto di tortura l'articolo 19 del TU immigrazione (D.Lgs 286/1998) vietando, quindi, le espulsioni, i respingimenti e le estradizioni ogni qualvolta sussistano fondati motivi di ritenere che, nei Paesi di provenienza degli stranieri, essi possano essere sottoposti a tortura. La norma precisa che tale valutazione tiene conto anche della presenza in tali Paesi di violazioni «sistematiche e gravi» dei diritti umani. 
L'articolo 5 della proposta di legge prevede, al comma 1, l'impossibilità di godere delle immunità diplomatiche da parte di agenti diplomatici che siano indagati o siano stati condannati nei loro Paesi d'origine per il delitto di tortura. 
L'immunità diplomatica di cui si tratta riguarda in via principale i Capi di Stato o di governo stranieri quando si trovino in Italia, e secondariamente il personale diplomatico-consolare eventualmente da accreditare presso l'Italia da parte di uno Stato estero. Il comma 1 esclude il riconoscimento dell'immunità diplomatica qualora tali soggetti siano stati condannati, o siano sottoposti a procedimento penale, in relazione a reati di tortura – e ciò tanto da tribunali nazionali quanto da Corti internazionali.
La Commissione Affari costituzionali ha sottolineato, al riguardo, l'opportunità che tale previsione, inserita in una norma di rango ordinario, sia valutata alla luce delle Convenzioni di Vienna del 1961 e del 1963 sulle relazioni diplomatiche e consolari, ratificate dal nostro Paese che riconoscono le immunità penali, nonché degli articoli 10, 11, 87, ottavo comma, 117, primo comma, della Costituzione e della giurisprudenza della Corte costituzionale (v. le sentenze nn. 348 e 349 del 2007) da cui deriva il conferimento ai trattati della natura di «norma interposta», ovvero parametro mediato o indiretto della legittimità costituzionale delle fonti primarie. 
Tuttavia, la Commissione Affari costituzionali ha anche evidenziato, al contempo, l'esigenza di tenere conto che il divieto di tortura e di trattamenti e pene inumane o degradanti è un principio rientrante nel nucleo fondamentale del diritto internazionale dei diritti dell'uomo e che il crimine internazionale di tortura è ampiamente riconosciuto dai trattati internazionali a partire dalla Convenzione di Ginevra del 1949. A questo proposito è opportuno tenere conto che la giurisprudenza italiana, a partire dalla decisione nel caso Ferrini resa dalla Cassazione nel 2004 (5044/2004), ha ritenuto che l'immunità non può essere invocata quando gli atti commessi dai pubblici ufficiali di uno Stato straniero violino i principi giuridici internazionali che proteggono i diritti fondamentali dell'uomo. 
Mi limito a tal proposito a richiamare il caso del principe del Bahrain, Nasser bin Hamad Al-Khalifa, che non gode più di immunità diplomatica nel Regno Unito e potrà quindi essere perseguito per le accuse di tortura rivolte contro di lui, secondo quanto stabilito dall'Alta corte di Londra ribaltando la decisione presa dal Crown Prosecution Service (Cps), che aveva stabilito che il reale non poteva essere perseguito in quanto protetto dall'immunità. 
Vi è una vera e propria prassi internazionale che oramai possiamo considerare consuetudine internazionale e come tale vincolante dal punto di vista costituzionale secondo cui l'immunità diplomatica in nessun caso può essere utilizzata per sfuggire alla giurisdizione quando si tratta di perseguire reati contro l'umanità. In questo ambito rientra il delitto di tortura in tutti quei casi in cui si pone la questione di perseguire un torturatore coperto da immunità diplomatica. Si tratta di quei casi in cui la tortura, secondo il professore Padovani, sarebbe imprescrittibile. A fronte della richiamata consuetudine si ricorda che ai sensi dell'articolo 10 della costituzione l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, che nel caso specifico sono da considerare prevalenti sugli stessi trattati internazionali ai quali è fatto riferimento dal secondo comma dell'articolo 10 ove si enuncia che la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. 
Per tali ragioni non si ritiene che esistano fondate ragioni per sopprimere l'articolo 5; al più potrà essere presa in considerazione una sua eventuale riformulazione, anche per renderlo più coerente con la richiamata consuetudine internazionale, fermo restando il concetto che i torturatori possano sempre essere perseguibili. 
Il comma 2 dell'articolo 5 prevede l'obbligo di estradizione verso lo Stato richiedente dello straniero indagato o condannato per il reato di tortura; nel caso di procedimento davanti ad un tribunale internazionale, lo straniero è estradato verso il Paese individuato in base alla normativa internazionale. 
Gli articoli 6 e 7 sono infine relativi, rispettivamente, alla norma di invarianza finanziaria ed all'entrata in vigore del provvedimento. 
Da tempo si attende che il Parlamento introduca il reato di tortura, questo testo risponde con efficacia e coerenza alle aspettative esistenti.