Dichiarazioni di voto finale
Data: 
Mercoledì, 24 Settembre, 2014
Nome: 
Alfredo Bazoli

A.C. 559-A

Signor Presidente, con il voto di oggi introduciamo nell'ordinamento giuridico – è stato ricordato nel dibattito di oggi – una nuova fattispecie di reato, che è rubricata, significativamente, «inquinamento processuale e depistaggio». Ho sentito in questi giorni, ieri, oggi, molte critiche, molte perplessità, molti dubbi, che capisco, che comprendo. 
Credo anche io che non approviamo una norma perfetta, che potrebbe anche essere migliorata al Senato, tuttavia credo che la norma che noi oggi approviamo introduca nell'ordinamento giuridico una fattispecie che si inserisce in modo armonico e coerente nell'ambito dei delitti contro l'amministrazione della giustizia, che individua in modo puntuale le condotte punite, caratterizzate da dolo specifico, che le sanziona con pene proporzionate alla gravità dei comportamenti e che prevede significative aggravanti, allorché i comportamenti siano commessi da pubblici ufficiali o in relazione a fatti eversivi dell'ordinamento costituzionale o legati alla criminalità organizzata. 
È giusto, come sempre capita quando si introduce un nuovo reato nell'ordinamento, chiedersi, domandarsi, in modo serio e rigoroso, se ciò risponda a un'effettiva necessità, se vi siano, cioè, ragioni che consigliano di punire con la risposta penale comportamenti che vengono considerati particolarmente dannosi o pericolosi per la convivenza civile. Ed è tanto più doveroso domandarselo in questo caso, se si considera che nel nostro codice penale, al pari di tutti gli altri ordinamenti, sono già presenti fattispecie che puniscono comportamenti tesi ad ostacolare il buon funzionamento della giustizia. 
Allora credo che, per capire perché oggi noi votiamo convintamente questa nuova fattispecie di reato, noi dobbiamo partire da qui, dal riconoscimento che in questo nuovo delitto si riflette la peculiarità della nostra storia, della storia della nostra democrazia repubblicana; la storia di una democrazia nata sulle macerie, dalle ceneri e dal dramma della guerra e del fascismo, che si è faticosamente consolidata nel corso dei decenni, passando attraverso momenti difficili, che ha dovuto fronteggiare fenomeni che ne hanno messo a repentaglio le fondamenta, come il terrorismo politico e la criminalità organizzata, sconosciuti, nelle dimensioni che abbiamo avuto da noi, alle altre democrazie occidentali. 
È doveroso, oggi, ricordare cosa ha rappresentato il terrorismo per questo Paese, quei 15 anni definiti, con felice intuizione giornalistica, «La notte della Repubblica», inaugurati con la terribile strage di piazza Fontana, proseguiti in una lunga stagione di sangue, che, nell'intento di condizionare i normali processi democratici, ha colpito cittadini inermi con bombe nelle piazze, sui treni, nelle stazioni, e poi, ancora, servitori dello Stato, poliziotti, magistrati, carabinieri e alcune tra le migliori figure della nostra storia politica e istituzionale. 
E non credo occorrano molte altre parole per spiegare cosa ha significato e cosa significa per il nostro Paese la soffocante presenza della criminalità organizzata, che, per tutelare il proprio potere, i propri illeciti interessi, è arrivata a sfidare apertamente le istituzioni repubblicane con attentati feroci e sanguinosi tra gli anni Ottanta e Novanta. Noi sappiamo, oggi, quanto quegli attacchi alle nostre istituzioni abbiano pesato nell'evoluzione della nostra democrazia. 
Certo, le istituzioni hanno vinto, il terrorismo è stato sconfitto, la grande criminalità organizzata è stata, se non estirpata, certamente piegata, ma il nostro Paese ha pagato a quella storia un prezzo alto, non solo in termini di vite umane spezzate, di famiglie amputate, ma anche di rallentamento nel consolidamento della nostra democrazia, del senso di appartenenza allo Stato, del progresso civile; un prezzo elevato, in buona sostanza, in termini di pregiudizio alla qualità complessiva della nostra democrazia. 
E in tutto ciò pesa enormemente il mancato accertamento della verità processuale, la persistenza di troppi grumi di opacità, su troppi di quei delitti, su troppe di quelle vicende così politicamente rilevanti per il nostro Paese cui hanno contribuito in modo massiccio gli ostacoli, le deviazioni, le mistificazioni, le connivenze di apparati deviati, di servitori dello Stato infedeli, ma anche di gruppi organizzati e sotterranei che hanno agito nell'ombra e a danno delle istituzioni, e non solo di persone che rivestivano la carica, la qualifica, di pubblici ufficiali, ma anche di persone che non avevano questa qualifica e voglio rispondere in questo modo a una delle eccezioni che è stata formulata per l'introduzione di un reato che non è un reato proprio. E guardate che queste non sono tesi di visionari, di amanti incalliti di dietrologie e misteri, ma ce lo dicono le sentenze, le centinaia di migliaia di pagine di inchieste su quei delitti che raccontano di reti di protezione pronte a mobilitarsi per gli indagati, di informative dei servizi segreti mai comunicate all'autorità giudiziaria, o artatamente modificate, di elementi di prova, di reperti, documenti, distrutti o alterati o costruiti a tavolino, di testimoni e imputati minacciati, fatti sparire o ammazzati. 
Senza tutto ciò, senza l'intervento di queste manovre occulte e sotterranee, che comunemente noi definiamo di depistaggio delle indagini, l'accertamento delle responsabilità individuali e la condanna dei colpevoli sarebbe stata possibile, la verità sarebbe stata possibile. La mancanza di giustizia, la mancanza di verità, non offende solo le vittime e i loro familiari, ma rende opaca la nostra democrazia, costituisce motivo di sconforto e sfiducia per i cittadini e io credo, in fondo, costituisca motivo non irrilevante dello scollamento e della diffidenza dell'opinione pubblica nei confronti delle istituzioni che ancora oggi pesa sul nostro Paese, della scarsa fiducia nello Stato, dell'incapacità di sentirci dentro un percorso comune che ci renda meno frammentati e più società, meno individui e più comunità solidale. Tutto quello che è successo, dunque, ci segnala un limite della nostra democrazia che ha dovuto fare i conti in questo lungo e difficile percorso con troppe opacità, con troppi interventi occulti. 
Noi sappiamo bene che dove c’è il potere, lì c’è la tentazione di uno spazio di segretezza, perché tanto più il potere è invisibile, tanto più è efficace, ma sappiamo anche che quanto più lo spazio di segretezza si allarga, tanto più si pregiudica la qualità della nostra democrazia. Come diceva Norberto Bobbio: «Democrazia e potere invisibile, quelli che un tempo si chiamavano arcana imperii sono incompatibili. La democrazia è il governo del potere visibile, il governo pubblico in pubblico». Ancora, «La differenza tra democrazia e autocrazia sta nel diverso rapporto che l'una e l'altra hanno col segreto. Nell'autocrazia la segretezza è la regola, nella democrazia, là dove la ragione di Stato lo richiede, è l'eccezione e deve comunque essere regolata e controllata dal potere visibile». Ed è questo, dunque, che rende inaccettabile che nel nostro Paese si sia potuto consentire la costante presenza di questi elementi torbidi e non si sia riusciti a punire adeguatamente i comportamenti di coloro che hanno impedito, ostacolato o rallentato il corso delle inchieste su tutti i gravi attentati che hanno inciso così profondamente sulla qualità della nostra democrazia. 
Questa nuova fattispecie di reato, allora, non è un risarcimento postumo, non è un segnale tardivo e inutile, non è una medaglia di plastica da appuntarsi sul petto, ma costituisce il tentativo di dotare la magistratura degli strumenti idonei a perseguire in modo efficace quei comportamenti e, per questa via, rappresenta il monito che il Parlamento della Repubblica intende dare, sulla scorta della nostra dolorosa esperienza, a falsari e depistatori, a servitori infedeli, e a chi pensa di condizionare la democrazia nell'ombra.
Non sarà più tollerata alcuna doppiezza, alcuna doppia o tripla fedeltà, alcuna manovra torbida, alcuna opacità. È un servizio, dunque, che intendiamo rendere alla trasparenza e alla limpidezza e, per questa via, alla democrazia, ai valori della nostra Costituzione repubblicana.
E permettemi, infine, in conclusione, di ricordare gli amici e i familiari delle vittime, che esponendosi in prima persona o in modo anche più riservato e personale, hanno contribuito in questi anni a mantenere viva la memoria ed il ricordo di quei delitti e non si sono mai stancati di pretendere verità, giustizia e trasparenza, da Paolo Bolognesi, collega e amico, alla cui tenacia si deve l'approdo di questa legge, a Manlio Milani, da Benedetta Tobagi a Mario Calabresi, da Agnese Moro a Silvia Giralucci, da Maria Falcone ad Agnese Borsellino. 
Credo che anche a loro oggi sia doveroso tributare un ringraziamento.