Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 14 Luglio, 2014
Nome: 
Laura Coccia

A.C. 1092-A

 

Signor Presidente, decidere di studiare storia è una decisione molto complicata per un giovane, perché chi fa medicina fa il medico, chi fa legge fa l'avvocato e chi fa storia che fa ? Fa lo storico, ma fare lo storico in Italia è molto complicato, è complicato perché non si hanno risorse, perché si hanno pochissime borse di studio, perché soprattutto non si ha la prospettiva di avere uno studio o di avere entrate economiche ingenti, come se si mettesse su uno studio privato. Si fa storia per passione, una passione forte, che spesso supera tutte le difficoltà, anche quelle economiche. L'istituzione di un premio, un premio di ricerca per i giovani studiosi non fa altro che dare un motivo a chi a 19-20 anni sceglie per passione di studiare storia, soprattutto sceglie al sud Italia, dove ci sono tante difficoltà per andare avanti negli studi, e i tassi di dispersione scolastica lo dimostrano in maniera sempre più allarmante. 
Voglio ricordare inoltre che il Meridione d'Italia è quello che ha dato al nostro Paese storici di grandissimo livello, da Gaetano Salvemini a Giuseppe Di Vittorio, da Ferdinando Cordova a Piero Bevilacqua, miei maestri alla Sapienza. Sono state persone che hanno segnato la storiografia, hanno dato nuova luce e nuovi modi di intendere e di leggere la storia. 
Si istituisce un premio per incoraggiare i ragazzi e i giovani, e per dare loro un motivo per studiare e per investire nella propria formazione e, soprattutto, nella ricerca che a loro piace fare. Poi, vi è un contributo una tantum, di 100 mila euro, alla Fondazione, non affinché la Fondazione si arricchisca con quei soldi e li metta da parte per scopi più o meno di lucro, ma li metta a disposizione della Fondazione stessa, affinché i beni della Fondazione, i beni che sono patrimonio di tutti, come la biblioteca, l'archivio, l'archivio fotografico, che sono veramente patrimonio di tutta l'umanità, possano essere migliorati e, soprattutto, affinché il patrimonio archivistico possa finalmente essere messo in condizione di essere fruibile anche rispetto ai nuovi mezzi di comunicazione. Ricordiamoci che il nostro patrimonio archivistico è ancora in grandissima parte in forma cartacea e questo fa sì che, ogni qual volta uno studioso lo consulti, si possano andare a rovinare soprattutto le «veline», ma non per incuria o per imperizia, ma semplicemente perché è molto complicato potere lavorare all'interno di un archivio. La digitalizzazione degli archivi e della Fondazione Di Vagno permetterebbe proprio di potere trasmettere la nostra cultura alle prossime generazioni in modo sempre più completo. 
Mi dispiace sia andata via l'onorevole Di Benedetto e che, in questo momento, in Aula, del MoVimento 5 Stelle non ci sia nessuno, perché, l'onorevole Di Benedetto nella sua ampia rievocazione di ciò che è avvenuto in Commissione, ha dimenticato due degli emendamenti del MoVimento 5 Stelle che hanno suscitato molte polemiche, anche sui giornali, e in una lettera pubblica di Stefania Craxi, perché, Presidente, in uno degli emendamenti del MoVimento 5 Stelle si chiedeva di sopprimere la parola «socialista» dal titolo della proposta di legge, come se ci fosse una vergogna ad essere socialisti. Ebbene, io credo che ci sia una differenza sostanziale e quel socialismo, quello del 1921, 1922, 1923 e 1924, quello di Di Vagno e di Matteotti, era un socialismo che ha aiutato il nostro Paese a rimanere libero e democratico e non si è piegato al fascismo. 
Presidente, quest'Aula il 3 gennaio 1925 assistette ad un discorso storico, un discorso tragico per la storia del nostro Paese, in cui l'allora Capo del Governo si assunse la responsabilità politica e morale dell'omicidio Matteotti e quindi, mi viene da pensare, anche dell'omicidio Di Vagno. Quello, quel 3 gennaio 1925, è diventato il punto di chiusura del cosiddetto periodo istituzionale del fascismo, quello in cui, come dire, si è sottoposto alle libere elezioni per andare poi a perseguire solamente la via del plebiscito, cioè del «sì» o del «no», quello, per capirci, in cui si vinceva con più del 90 per cento e si instaurava veramente quello che è poi è stato il regime fascista, che ha portato l'Italia alla guerra e alla distruzione. 
Io credo che quell'emendamento, con cui si chiedeva di cancellare la parola «socialista», è uno schiaffo alla nostra democrazia e, soprattutto, è uno schiaffo a chi per la nostra democrazia ha combattuto fino a perdere la vita, perché non ha voluto piegare la testa. 
In questo periodo storico sui social network si legge un grande uso di olio di ricino, manganello, senza capire che quei richiami storici rievocano non solamente le botte, non solamente il dolore fisico, ma un dolore morale per il nostro Paese, perché è la perdita della libertà. Ed è contro questo che si è battuto Giuseppe Di Vagno, che si è battuto Giacomo Matteotti e possiamo ricordare all'infinito tutti i martiri che hanno lottato per la democrazia. Presidente, quell'emendamento mi ha colpito in particolare perché io ho vissuto in Germania per motivi di studio e pensavo che nessuno in Germania si sarebbe mai chiesto o avrebbe mai chiesto di cancellare quel «sozialistische» sotto l'insegna dedicata a Rosa Luxemburg o a Karl Liebknecht. Nessuno lo avrebbe mai pensato, perché quelle due persone fanno parte della storia della Germania e fanno parte della loro storia così come sono, nonostante il socialismo abbia significato per la Germania un periodo di divisione. Ricordiamoci il regime della DDR, che è stato un regime comunista pesantissimo, che ha portato alla divisione di famiglie. E quindi qualcuno potrebbe anche voler dire: scusate ma quello non fa parte della nostra storia. Potrebbero volersi vergognare di quella pagina. E invece no, Rosa Luxemburg viene lasciata riposare in pace, perché non ci si può vergognare di chi ha combattuto per la libertà.