Discussione generale
Data: 
Lunedì, 27 Novembre, 2017
Nome: 
Enzo Lattuca

 

A.C. 2976-A e abbinate

 

Relatore per la maggioranza

Grazie, Presidente. La I Commissione ha avviato l'esame delle proposte n. 2976 Garnero Santanchè ed altri, Istituzione del Registro pubblico delle moschee e dell'Albo nazionale degli imam, e n. 3421 Palmizio, sempre in materia di Istituzione dell'Albo nazionale degli imam, nella seduta del 9 dicembre 2015. Nella seduta del 14 novembre 2017, nell'ambito dell'attività istruttoria sul provvedimento, ha avuto luogo l'audizione informale di esperti.

Nella seduta, invece, del 15 novembre 2017 la Commissione ha consentito all'abbinamento formale della proposta n. 1570 Molteni ed altri, recante disposizioni e delega al Governo in materia di disciplina della realizzazione di nuovi edifici destinati all'esercizio dei culti ammessi e, di conseguenza, ha provveduto ad abbinare all'esame anche la proposta n. 486 Caparini ed altri, recante disposizioni concernenti la realizzazione di nuovi edifici destinati all'esercizio dei culti ammessi, di contenuto identico alla proposta precedente. Nella medesima seduta del 15 novembre, il presidente della Commissione ha comunicato che, considerato che la proposta di legge 2976 Garnero Santanchè risultava iscritta nel calendario dei lavori dell'Assemblea a partire da lunedì 27 novembre per la quota riservata all'opposizione, e non essendovi obiezioni, la medesima proposta si intendeva adottata quale testo base per il seguito dell'esame del provvedimento. Sul testo base sono stati acquisiti i pareri contrari delle Commissioni II e VII. Nella seduta del 21 novembre 2017 la Commissione ha approvato gli identici emendamenti Fiano 1.1 e Roberta Agostini 1.2, entrambi soppressivi dell'intero articolato della proposta di legge, intendendosi così conferito al sottoscritto, in qualità di relatore, il mandato a riferire in senso contrario all'Assemblea.

Prima ancora di passare ad illustrare il contenuto della proposta, che è composta di undici articoli e che si pone l'obiettivo di regolamentare la realizzazione di moschee e l'attività degli imam, ritengo opportuno effettuare una prima considerazione di carattere generale. La presente proposta di legge si caratterizza per l'unilateralità attraverso la quale si intende disciplinare, attraverso la legge, il rapporto tra la confessione religiosa islamica e lo Stato italiano, e, indirettamente, le stesse modalità concrete di esercizio del culto di tale religione. A questo proposito, non può sfuggire la lesione della disposizione del terzo comma dell'articolo 8 della Costituzione, che prescrive sì lo strumento legislativo per la regolazione dei rapporti tra Stato e confessioni religiose, ma sulla base di intese con le rappresentanze delle stesse confessioni. L'assenza di reciprocità in questa materia è costantemente censurata, e ciò avviene in maniera univoca, dalla dottrina e dalla giurisprudenza costituzionale, come emerso anche dalle audizioni tenutesi in Commissione.

Passando all'articolato, l'articolo 1 individua una duplice finalità della proposta di legge: da un lato, la salvaguardia dell'identità e del ruolo delle moschee e degli imam e, dall'altro, il rispetto delle esigenze di trasparenza e di sicurezza. Si dichiara che il registro delle moschee e l'albo degli imam sono istituiti per il perseguimento di tali scopi e sono disciplinati nel rispetto dei principi costituzionali della parità di tutti i cittadini di cui all'articolo 3 della Costituzione e della libertà religiosa di cui agli articoli 8, 19 e 20 della Carta costituzionale medesima.

L'articolo 2, al comma primo, istituisce presso il Ministero dell'interno il registro pubblico delle moschee presenti sul territorio nazionale. Il comma secondo prevede che l'iscrizione al suddetto registro sia subordinata alla presentazione di apposita istanza da parte di coloro che svolgono la funzione di imam o che comunque possono essere considerati soggetti responsabili del luogo di culto. La richiesta è indirizzata al Ministero dell'interno ed è presentata alla prefettura, comunque all'ufficio territoriale del Governo, competente per il territorio in cui è situata la moschea. Il comma 3 rinvia ad un regolamento di attuazione la disciplina relativa del registro, da adottarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno.

Il rinvio ad una fonte secondaria dell'ordinamento giuridico come quella regolamentare sembra porsi in evidente conflitto con l'assoluta ed esplicita riserva di legge in riferimento alla disciplina del godimento di diritti fondamentali. L'articolo 3 introduce una serie dettagliata di requisiti necessari per la presentazione della domanda di iscrizione nel registro. In primo luogo, la domanda deve contenere, pena la nullità della stessa, l'indicazione della denominazione e della sede della moschea, l'indicazione della natura giuridica del soggetto che la gestisce, la dichiarazione di chi esercita la funzione di imam o è responsabile della direzione del luogo di culto, e tale dichiarazione deve essere attestata insieme al possesso della cittadinanza italiana e al domicilio regolare in Italia. L'elenco della documentazione allegata deve essere altresì presente in questa richiesta. Si segnala, a questo proposito, un'evidente anomalia, rappresentata dalla previsione della cittadinanza italiana da parte del richiedente come requisito per perfezionare la registrazione all'albo della moschea; come se, in ordine alla libertà religiosa e al godimento del diritto di culto, sia consentita la discriminazione tra cittadini e non cittadini. Inoltre, la domanda deve essere corredata dalla documentazione edilizia e catastale relativa all'immobile adibito a luogo di culto, dal piano economico-finanziario per la gestione della moschea, dall'elenco degli eventuali finanziatori italiani ed esteri, nonché da allegata relazione contenente diversi elementi: l'esposizione dei principi religiosi a cui si ispira l'attività svolta all'interno della moschea, riferimento, questo, che appare alquanto problematico sotto il profilo della legittimità e, soprattutto, sotto il profilo della pervasività del controllo statale; le materie e i principi di insegnamento nel caso alla moschea sia annessa una cosiddetta madrassa o una scuola religiosa; le generalità dell'imam; l'autorità religiosa da cui l'ente dipende; l'elenco delle altre sedi italiane ed estere con i nomi dei responsabili e la consistenza numerica dei fedeli.

L'articolo 4, al comma primo, disciplina le procedure di esame delle istanze di iscrizione al registro, prevedendo che la prefettura curi la fase istruttoria della domanda, provvedendo anche ad assumere pareri e informazioni da parte degli organi di pubblica sicurezza. Tale scelta è in qualche modo rivelatrice dell'impostazione dell'intera legge, evidentemente sbilanciata dalla parte della tutela dell'ordine pubblico, con un approccio che appare assai limitativo di fronte ad una confessione religiosa. Il comma secondo dispone che tali informazioni siano finalizzate anche alla formulazione di un parere motivato sull'impatto sociale derivante dall'autorizzazione all'iscrizione della moschea nel registro; oltre ad esprimere tale parere, la prefettura verifica le condizioni di sicurezza e di igiene dei locali. Il comma 3, infine, prevede una disciplina semplificata per le moschee con più di 200 posti, per le quali le verifiche di sicurezza di cui sopra sono attestate tramite una relazione tecnica redatta da un professionista.

Ai sensi dell'articolo 5, comma primo, il prefetto accerta la presenza di tutti i requisiti e propone al Ministero dell'interno l'iscrizione della moschea nel registro. Il comma 2 dispone che, a sua volta, il Ministro dell'interno verifichi il rispetto di tutte le condizioni stabilite dalla proposta di legge in esame e proceda ad un'ulteriore verifica di compatibilità della moschea con i piani urbanistici del comune in cui è situata e, finalmente, dispone l'iscrizione nel registro. In questo caso viene dimenticata la potestà legislativa regionale in materia di governo del territorio, potestà legislativa concorrente.

L'articolo 6 prevede che i prefetti, oltre ad istruire le richieste di iscrizione al registro, adempiano a diversi compiti in materia di vigilanza e controllo sulle moschee registrate. La trasparenza dell'attività delle moschee è assicurata, ai sensi del comma 2, anche dalla presentazione del bilancio annuale della gestione economico-finanziaria e dall'aggiornamento dell'elenco degli eventuali finanziatori italiani ed esteri. Il comma 3 dispone che, nel caso di cambio del titolare della funzione di imam, il subentrante debba presentare al prefetto, entro quarantotto ore, la documentazione attestante il possesso dei requisiti previsti dalla legge. Infine, in base al comma quarto, il prefetto ha la facoltà, qualora la moschea abbia cessato di possedere uno dei requisiti o non sia stato adempiuto uno degli obblighi previsti dalla presente proposta di legge, di proporre al Ministero dell'interno la revoca dell'iscrizione al registro e, nei casi di particolare gravità, di disporre la chiusura temporanea della moschea nelle more della decisione del Ministero. Non è peraltro chiaro quali conseguenze sul piano giuridico deriverebbero dalla revoca dell'iscrizione all'albo di una determinata moschea, così come dalla mancata iscrizione ab origine allo stesso albo.

L'articolo 7, al comma primo, istituisce e disciplina l'albo nazionale degli imam. L'iscrizione all'albo è condizione indispensabile per l'esercizio della funzione di imam ed è prevista la presentazione di apposita istanza al Ministero dell'interno tramite la prefettura competente. Ai sensi del comma 2, per l'iscrizione all'albo sono necessari i seguenti requisiti: residenza e domicilio in Italia, nonché, in base al già richiamato articolo 3, comma 2, la cittadinanza italiana, conoscenza della lingua italiana, maggiore età, assenza di sentenze di condanna definitiva pronunziate o riconosciute in Italia per delitti non colposi punibili con la reclusione non inferiore nel massimo a tre anni o di sottoposizione a procedimenti penali coerenti con il profilo da ricoprire per i medesimi reati citati.

A questo proposito, la previsione dell'istituzione dell'albo degli imam, evidenzia l'inconsapevolezza circa l'impossibilità di assimilare tale figura ad un qualsiasi ministro di culto che, preme ricordarlo, in virtù di tale riconoscimento, ovvero del riconoscimento dello status di ministro di culto, ha diritto ad entrare nelle carceri. Imam è colui che guida la preghiera, testualmente: colui che sta davanti, e non necessariamente tale figura coincide con la guida della comunità di riferimento che assume, a seconda dei casi, forme giuridiche eterogenee, spesso di natura associativa. Risulta, perciò, difficile inquadrare nel nostro ordinamento giuridico questa figura, assimilandola ad un sacerdote della religione islamica e al tempo stesso si corre un rischio; il rischio, rilevato anche nel corso delle audizioni da parte di studiosi autorevoli dell'Islam (studiosi dell'Islam e delle sue degenerazioni), è quello di finire per ottenere effetti contrari e paradossali rispetto alle finalità dichiarate dei proponenti, accreditando singoli imam al di fuori di ogni mediazione, di ogni responsabilizzazione e di ogni forma di controllo da parte di quelle diverse rappresentanze del mondo islamico che in Italia oggi sono presenti e si relazionano con il Ministero dell'interno e con la direzione centrale degli affari dei culti, e procedendo attraverso questa legge a provocare un'ulteriore frammentazione, parcellizzazione, aumentando così la possibilità di radicalizzazione e di degenerazione di parti di questo mondo. Si tratta di rischi che nessuno intende negare, ma che con questa proposta di legge non si riducono affatto.

La revoca e la sospensione dell'iscrizione all'albo degli imam sono oggetto invece della disciplina dettata dall'articolo 8. La sospensione dall'albo è disposta dal Ministero dell'interno su proposta del prefetto e si applica, ai sensi del comma 1, nel caso l'interessato sia imputato per un delitto non colposo, punibile con la reclusione non inferiore al massimo di tre anni (non è indicato il periodo della durata della sospensione). La revoca dell'iscrizione interviene anche qualora il comportamento dell'imam costituisca una minaccia per l'ordine pubblico e la sicurezza, anche in considerazione dei procedimenti penali in corso. Colpisce, a questo proposito, il cedimento integrale di stampo inquisitorio rispetta ai principi del garantismo e della presunzione di innocenza che non solo è sancito dalla nostra Carta costituzionale, ma che frequentemente è stato invocato in maniera solenne dai proponenti di questa proposta di legge. L'articolo 9 istituisce la Commissione per l'albo degli imam presso il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, con il compito di formare e tenere l'albo.

L'articolo 10 prevede l'istituzione di appositi corsi di formazione e studio presso le facoltà di lettere e filosofia con specializzazione in storia e civiltà orientali nei principali atenei italiani. L'articolo 11 stabilisce, infine, che i soggetti ai quali si applica la proposta sono tenuti a procedere alla registrazione delle moschee, ai sensi dell'articolo 2, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, ed entro sei mesi devono essere adeguati gli edifici di culto e devono essere nominati gli imam secondo le nuove disposizioni introdotte dal provvedimento.

In definitiva, Presidente, la proposta in oggetto presenta numerosi, gravi e fondati dubbi di legittimità, e non sembra contenere disposizioni normative idonee al perseguimento delle finalità dichiarate dagli stessi proponenti. La presenza islamica in Italia rappresenta un fenomeno significativo (i musulmani presenti in Italia sono oltre 1.200.000) non privo di problemi di diversa natura. Un problema che merita senza dubbio l'attenzione da parte del Parlamento. A questo proposito, anche in considerazione del seppure rapido lavoro istruttorio effettuato dalla I Commissione, appare opportuno e probabilmente necessario sollecitare il Governo affinché il tentativo di stipulare intese con le rappresentanze della confessione islamica, tentativo più volte fallito - bisogna dirlo - anche soprattutto per le caratteristiche intrinseche di tale rappresentanza frammentata, deistituzionalizzata e degerarchizzata, riprenda, percorrendo la strada tracciata dalla stipula del patto nazionale per un islam italiano nei mesi scorsi, e prendendo in considerazione la possibilità, peraltro già realizzatasi per altre confessioni, della stipula di intese plurime, se necessario differenziate, che consentano anche in tempi successivi di istituzionalizzare un rapporto tra lo Stato e la rappresentanza islamica, nel pieno rispetto, però, dei principi costituzionali.

 

 

Replica del Relatore di maggioranza

Presidente, molto brevemente, io ritengo che quello che è avvenuto in Commissione, che probabilmente potrebbe ripetersi anche domani in Aula, ovvero l'approvazione di un emendamento soppressivo, sia in ogni caso un'assunzione di responsabilità da parte della maggioranza, perché come è noto ci sono altri meccanismi e altri strumenti dal punto di vista regolamentare per evitare il dibattito, come la richiesta di rinvio in Commissione; mentre l'approvazione di un emendamento soppressivo significa assumersi la responsabilità di esprimere la mancanza di condivisione nell'impianto di quella che è la proposta all'ordine del giorno. Quello che voglio dire è che noi ci rendiamo benissimo conto che c'è l'esigenza di affrontare questo tema, l'esigenza di disciplinare con gli strumenti adeguati il rapporto tra la confessione religiosa islamica e lo Stato italiano, ma che riteniamo che questo strumento, questa legge unilaterale, al di fuori di ogni intesa, al di fuori di quello che è il dettato dell'articolo 8 della Costituzione, sia per il metodo sia per alcuni contenuti che lo caratterizzano, non sia uno strumento idoneo e adeguato per affrontare il problema, che c'è, esiste e che vogliamo affrontare.