Discussione generale
Data: 
Lunedì, 13 Gennaio, 2020
Nome: 
Davide Gariglio

A.C. 2284-A

 

Grazie, Presidente. La crisi di Alitalia, perlomeno nell'ultima sua esternazione, si manifesta nel marzo 2017 quando i soci privati, come è stato ben ricordato, di Alitalia, la cordata dei capitani coraggiosi, di CAI ed Etihad, decidono di non poter più procedere a ricapitalizzare Alitalia senza prima avere il consenso ampio sul piano di ristrutturazione. Su questo piano si tiene un referendum tra i lavoratori, il piano viene a grande maggioranza rigettato e nel maggio 2017 il consiglio di amministrazione chiede e ottiene l'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria. Da allora è iniziata una teoria di decreti-legge: nella XVII e scorsa legislatura i decreti-legge n. 50 e n. 55 del 2017, con cui alla compagnia di bandiera vengono assegnati in prestito 600 milioni di euro di denaro pubblico; poi, il decreto n. 148 del 2017, con cui si integra il finanziamento con altri 300 milioni di prestito. Poi inizia la XVIII attuale legislatura e il Governo gialloverde, con la presenza determinante della Lega, ad aprile 2018 vara il decreto-legge n. 38, a dicembre 2018 vara il decreto-legge n. 135 e ad aprile 2019 vara il decreto-legge n. 34. Sono i famosi decreti-legge inefficaci di un Governo incapace a cui probabilmente faceva riferimento il collega Durigon nel suo intervento. Li conosce perché sono decreti di un Governo di cui la sua forza politica faceva parte.

Infine, arriviamo all'attuale Governo. Con questo Governo il problema viene affrontato nel decreto-legge n. 124 del 2019, il cosiddetto “decreto-legge fiscale”, che non viene convertito ma il cui contenuto è trasfuso nell'attuale decreto-legge n. 137 in corso di conversione, con cui si attribuiscono altri 400 milioni di euro di risorse pubbliche per consentire la sopravvivenza di Alitalia. Ora, questo decreto-legge prende atto del fallimento della procedura di cessione per mancanza di un'offerta da parte della cordata che era stata investita dai commissari, cordata guidata da Ferrovie dello Stato. Ora con questo decreto il programma della procedura di amministrazione straordinaria viene integrato da un piano avente a oggetto iniziative di riorganizzazione ed efficientamento della struttura aziendale, cioè un piano che dà la possibilità per la prima volta al commissario di rilanciare l'azienda, ad esempio con nuovi leasing e con nuove definizioni di alleanze internazionali ed è un “passaggio indispensabile” - così recita il testo del decreto-legge - per cercare i compratori, visto che ora ai sensi di legge lo si potrà fare anche a trattativa privata.

Orbene su questo decreto-legge di conversione devo riscontrare un lavoro proficuo e ampiamente trasversale di tutta la IX Commissione, con delle audizioni che sono state illuminanti e significative e che hanno portato a delle modifiche e a miglioramenti del testo, alcuni giunti anche su proposta dei gruppi di opposizione e li cito: è stato introdotto un diritto di informativa parlamentare periodico sulla situazione economico-finanziaria dell'azienda; sono state introdotte delle norme tese a salvaguardare per quanto possibile l'assetto del personale dell'azienda e i livelli occupazionali e una norma tesa a salvaguardare l'unitarietà dei complessi aziendali.

Restano alcune cose da fare, a cui probabilmente potrà assolvere quest'Aula: l'alimentazione del Fondo di solidarietà, e qui c'è una questione ancora in attesa di soluzione con il MEF, e il tema della restituzione del debito, segnalato dalla Commissione XIV che, lo ricordo, è un tema importante non perché si tratti di una technicality ma perché parliamo di una vicenda che è sotto indagine della Commissione europea in tema di aiuti di Stato e, quindi, la soluzione più appropriata di questo nodo non è una battaglia ideologica ma è una questione di buona amministrazione. In Commissione abbiamo anche riscontrato un'unità straordinaria d'intenti tra le forze politiche sul se, sul se del salvataggio e sul se del dare un futuro ad Alitalia. Nessuna forza politica si è levata a dire “no”. C'è una grande unitarietà di intenti sul fatto che la compagnia di bandiera italiana debba essere fatta uscire dalle secche in cui si trova.

Sul come invece, sul quomodo, la discussione ha lasciato aperte molte opzioni. Si pensi alla Lega, di cui abbiamo appena sentito un intervento in apertura di seduta. Il collega che mi ha preceduto ha proposto di cedere, ad esempio, le azioni di Alitalia all'ex amministratore delegato di Avianca, German Efromovich, probabilmente per un fremito di eccitazione derivante dalle origini russe del cognome e, quindi, deve essere scattato un riflesso condizionato. Mi ha particolarmente suggestionato questa ipotesi, perché in effetti ci sarebbe una straordinaria continuità. Ricordo che l'Avianca Brasil è in bancarotta, che l'Avianca Argentina ha sospeso le sue attività per un eccesso di debito e che la Avianca Colombia non è più controllata dalla famiglia Efromovich ma dalla United Airlines, con l'estromissione dell'amministratore delegato German Efromovich per non aver restituito un debito di 456 milioni di euro. Quindi, sostanzialmente ci sarebbe una continuità clamorosa nella gestione di una crisi aziendale in Sudamerica con un'altrettanta importante gestione di una crisi aziendale nel nostro Paese.

Oppure, mi hanno colpito l'intervento che abbiamo appena sentito del gruppo di Forza Italia, che è contraria a interventi pubblici e si dice pro mercato, o anche le parole che abbiamo appena sentito del gruppo di Fratelli d'Italia. Ma a questi gruppi, che vantano un'alleanza politica che risale nel tempo, voglio rispondere facendo un curioso viaggio nel tempo, Presidente se me lo concede, un viaggio nel tempo all'ottobre 2006 quando l'allora Presidente del Consiglio Romano Prodi prese atto delle situazioni difficili della nostra compagnia di bandiera e tentò un faticoso procedimento di vendita che durò 17 mesi, per il quale pervennero le offerte e le disponibilità ad acquistare Alitalia da parte di Air France, dell'Aeroflot e di Lufthansa. Perché fallisce questo progetto di vendita? Leggerò testualmente da un importante settimanale dell'epoca: “Il motivo del fallimento, il niet del leader del centrodestra Silvio Berlusconi che in campagna elettorale aveva martellato proprio sul mantenimento dell'italianità della compagnia”. Continuo a leggere: “Alla fine, dunque, il conto per il nostro Paese è salatissimo. Si parla di una cifra superiore a 4 miliardi di euro che comprende anche i lavoratori in cassa integrazione messi in mobilità (circa 10 mila maestranze). Tanto gli italiani si sono visti appioppare per vedere impresso ancora il tricolore sulla compagine azionaria di un vettore aereo che forse l'Italia non era in grado di permettersi”. È il 24 settembre 2013 e a scriverlo è Massimo Morici, ma non lo scrive sulle pagine de Il Fatto Quotidiano ma sulle pagine del berlusconianissimo settimanale Panorama. Allora, c'è il fatto che le parole scritte rimangono e, quindi, mi pare interessante prendere questa testimonianza proprio nel momento in cui si vanno a fare le pulci su quello che sta succedendo in questo momento nel nostro Paese.

Detto ciò, le audizioni hanno tuttavia dimostrato che Alitalia rappresenta un grande valore per il marchio che ha, stimato in tutto il mondo per la puntualità che ha, al top nel livello degli operatori internazionali, e per la sicurezza tra i primi al mondo. Si è registrata tra le forze politiche anche una consapevolezza dell'importanza di avere una compagnia nazionale per l'economia del nostro Paese e anche per il turismo.

D'altro canto, credo che sia patrimonio comune che non si si possa non mettere mano all'attuale organizzazione dell'azienda, per il semplice fatto che l'equilibrio tra costi e ricavi in Alitalia non c'è, e questa questione rimane anche nel caso in cui si faccia ricorso alla newco citata in apertura di dibattito dal collega Fassina: non basta fare una newco, se non si mette mano strutturalmente all'organizzazione dell'azienda. Oggi, con questo decreto, la riorganizzazione è fra le possibilità ed i doveri del commissario straordinario. Badate bene, non è solo questione di riorganizzazione e di tagli sul personale, come talvolta semplicisticamente viene detto, perché ricordo che il costo del personale di Alitalia oggi ammonta al 19,2 per cento del fatturato, mentre in Lufthansa ammonta al 19,4 per cento. Quindi, non è una questione meramente di incidenza del costo del personale sul fatturato, è piuttosto una questione più complessa, che tocca l'offerta; la nostra compagnia di bandiera ha abbandonato in gran parte i voli a lungo raggio, più profittevoli, per concentrarsi sul medio raggio; è un problema di ridefinizione dei costi, iniziare dai leasing per gli aeromobili. Sono cose che può fare solo una società che non sia retta da un commissario straordinario che ha un mandato che non traguarda, se non la vendita a breve, perché ovviamente non è nelle condizioni giuridiche anche di procedere a tale ridefinizione dei costi. Oltre che, poi, c'è il problema del costo del carburante: questa, purtroppo, è una variante che non è assolutamente nelle disponibilità di Governo, né del commissario, né del Parlamento italiano. Il contesto è difficile: liberalizzazione dei voli, presenza di molti operatori low cost con voli che sono stati sovvenzionati dalle comunità locali, tariffe aeroportuali, scelte fatte in passato non felici, in particolare sull'esternalizzazione delle manutenzioni, che rappresentavano un importante valore aggiunto della nostra compagnia.

Lo Stato, in questi tre anni, ha investito sul dossier Alitalia oltre un miliardo e mezzo di euro, se guardiamo anche all'ammontare degli interessi che ad oggi non sono stati ancora pagati. Mettere in equilibrio economico l'azienda non è, quindi, solo una necessità per garantire continuità al nostro vettore, ma è un obbligo etico verso i cittadini italiani che hanno pagato le tasse e che hanno visto in quell'azienda impiegati i loro soldi. Ma è anche una sfida per il sistema Paese: al collega di Fratelli d'Italia che ha appena parlato mi permetto di dire che, qui dentro, nessuno ha la titolarità di ergersi a tutore esclusivo dell'italianità e dell'amore della patria. È - grazie a Dio, mi viene da dire - un valore ampiamente diffuso, trasversale e, per quanto questo valore possa incarnarsi in questa battaglia - in parte c'è anche, ma non esclusivamente - c'è un ampio sentire a favore di questo impegno. La sfida per dare un futuro alla nostra compagnia è una sfida ampia, una sfida trasversale, una sfida che vede la mia parte politica ampiamente coinvolta. Io credo che ci siano le intelligenze, le capacità, le possibilità di andare su questo tema oltre le divisioni di parte, oltre le divisioni di collocazione in questo Parlamento, che peraltro sono mutevoli e transitorie, per centrare un obiettivo, purché sia fatto nella logica del bene comune, dell'equilibrio stabile e per creare le condizioni per un'impresa che possa camminare stabilmente con le proprie gambe. Volare in cielo con la forza dei propri motori senza più aiuti esterni: è una sfida difficile, ma ne va dell'orgoglio di questo Paese. Noi siamo qui, oggi, con spirito di servizio, per lavorare per questa impresa.