Discussione sulle linee generali - Relatore per la maggioranza
Data: 
Lunedì, 21 Marzo, 2016
Nome: 
Giovanni Sanga

A.C. 3606-A

 Il provvedimento legislativo di cui oggi iniziamo la discussione generale si articola in quattro parti: 
la riforma delle BCC; 
la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze; 
il regime fiscale relativo alle procedure di crisi; 
la gestione collettiva del risparmio.

I tempi non mi consentiranno una trattazione compiuta. Lascerò pertanto agli atti la relazione integrale. 
Le Banche di Credito Cooperativo-Casse Rurali rappresentano nel nostro Paese una grande storia: di intelligenza creativa, di dinamismo sociale, di protagonismo comunitario. 
Le origini risalgono alla fine dell'Ottocento e riprendono alcune esperienze sviluppatesi in Germania, per iniziativa di Federico Guglielmo Raiffeisen, borgomastro di un piccolo villaggio montano. 
In Italia la prima Cassa Rurale viene costituita nel 1883 a Loreggia, in provincia di Padova e sul finire del secolo la presenza si diffonde in diverse regioni. 
A questo contribuì l'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, un vero manifesto dell'impegno sociale dei cattolici dell'epoca, a cui si ispirarono molti dei fondatori. 
Alla fine dell'Ottocento si contavano in Italia più di novecento Casse Rurali. È nelle campagne che il fenomeno si radica fortemente, per sottrarre i coltivatori alla piaga dell'usura e garantire il finanziamento alle attività agricole. 
Il modello del credito cooperativo, fondato sulla mutualità e sulla forza dei legami comunitari, attraversa la storia del Novecento con alcune tappe significative. 
Dopo il fascismo, con la Costituzione del 1948, l'articolo 45 riconosce il ruolo della cooperazione con finalità mutualistica. 
Nel 1950 si costituisce la Federazione delle Casse Rurali e Artigiane, per dare rilancio alle esigenze di un Paese alle prese con la ricostruzione post-bellica. 
Nel 1993 con il Testo Unico Bancario le Casse Rurali si trasformano in Banche di Credito Cooperativo. 
Alla base permane il fondamento della mutualità che si fonda sul principio della reciprocità in una visione di lungo periodo e intergenerazionale. 
Ho voluto fare questi richiami per sottolineare ulteriormente l'importanza della riforma che stiamo attuando, significativamente per ribadire, come già emerso nel corso delle audizioni che abbiamo avuto, che siamo ora nel «terzo tempo» di vita del Credito Cooperativo. 
Un tempo che porta i segni profondi di una recessione che ha cambiato il modo di fare impresa, ha modificato alcuni connotati della nostra vita sociale e trasformato il contesto economico. 
Negli anni della crisi: 
il Prodotto Interno Lordo Italiano ha perso il 9 per cento; 
gli investimenti fissi lordi si sono ridotti di circa il 30 per cento; 
la produzione industriale ha registrato un calo del 25 per cento.

Forti sono state le ricadute sul sistema creditizio con un incremento delle sofferenze, delle perdite su crediti e con riflessi inevitabili sulla redditività del settore. 
Precedentemente la crisi, l'attività delle BCC cresce significativamente. 
Tra il 1995 e il 2008 i finanziamenti alle piccole imprese aumentano di quasi 9 punti, mentre i prestiti alle famiglie di 3 punti. 
Alla base di tutto questo vi sono certamente la profonda conoscenza dei mercati locali, la capacità di valutare il merito creditizio e quella di rispondere con tempestività ed efficacia alle esigenze della clientela. Poi la tensione sui mercati finanziari e la difficile congiuntura cambiano radicalmente questo scenario. 

Negli anni della doppia recessione che ha segnato pesantemente il nostro Paese, le BCC hanno saputo svolgere un ruolo insostituibile divenendo spesso l'unico riferimento di piccole aziende e di intere filiere produttive in difficoltà. 
Aziende condizionate dalla domanda interna, non in grado di porsi sui mercati internazionali, che hanno pagato in questi difficili anni un prezzo alto con conseguenze a volte letali. 
La crisi porta tutta la regolamentazione, italiana ed europea, a spingere in direzione di un rafforzamento patrimoniale del sistema bancario, al fine di aumentare la capacità del sistema stesso di far fronte con mezzi propri ai rischi della congiuntura. 
Il modello delle BCC appare in tal senso particolarmente esposto anche se esprime nei numeri della articolazione territoriale ancora grande vitalità: 365 Banche di Credito Cooperativo, 4.403 sportelli presenti in più di 2.700 comuni, circa 37.000 dipendenti, più di 1.200.000 soci. Il patrimonio complessivo delle BCC si attesta a più di 24 miliardi. 
Il Governo già lo scorso anno, nel corso dell'emanazione del decreto legge di riforma delle Banche Popolari aveva espresso la volontà di avviare al più presto un percorso di innovazione del settore. 
La scelta, a mio avviso saggia, di un forte coinvolgimento dei rappresentanti del mondo delle BCC e della cooperazione nel suo complesso ha dato i suoi frutti e ha consentito di arrivare, oggi, con un testo condiviso. 
Penso si possa parlare di un processo di autoriforma che ha trovato nel Governo e nel Parlamento degli interlocutori aperti che hanno raccolto le istanze più significative, a seguito di un confronto durato diversi mesi. 
Non si poteva più rinviare un intervento teso a sostenere la competitività, la redditività e la stabilità di un sistema che singolarmente le Banche di Credito Cooperativo non erano più in grado di garantire, vuoi per la loro dimensione strutturale, vuoi per la forma giuridica, quella di cooperativa mutualistica. 
I capisaldi della riforma si possono così sintetizzare. 
Salvaguardia del principio di autonomia della singola BCC, con l'attribuzione all'Assemblea dei soci delle singole banche della facoltà di poter nominare i propri organi sociali. 
Rafforzamento della mutualità, con il coinvolgimento dei soci, il cui numero minimo passa da 200 a 500 e con l'innalzamento del capitale detenibile dal socio da 50.000 a 100.000 euro. 
Consolidamento della dimensione della cooperazione nel suo insieme attraverso: 
a) l'appartenenza al gruppo BCC, condizione necessaria per poter esercitare l'attività bancaria in forma di Banca di Credito Cooperativo; 
b) il controllo della capogruppo da parte delle BCC stesse, le quali devono detenere la maggioranza del capitale della capogruppo SpA; 
c) la sottoscrizione del contratto di coesione che disciplina la direzione e il coordinamento della capogruppo sul gruppo.

Rafforzamento dell'intero sistema: 
a) con una soglia minima di patrimonio netto previsto per la capogruppo che deve essere di almeno un miliardo; 
b) con i poteri assegnati alla capogruppo di definizione e attuazione degli obiettivi strategici da un lato e dei poteri necessari per l'attività di direzione dall'altro.

La forma giuridica della società per azioni prevista per la società capogruppo favorisce l'accesso del gruppo bancario cooperativo al mercato dei capitali e il rafforzamento patrimoniale dell'intero gruppo, tenuto conto degli impedimenti naturali delle BCC di ricapitalizzarsi accedendo al mercato dei capitali di rischio. Vorrei soffermarmi ancora sul contratto di coesione. 

Il termine usato dice bene le finalità dello stesso. 
È lo strumento cardine, quello che formalizza e tiene insieme il gruppo nella diversità e nella specificità delle tante BCC. 
Costituisce il punto più alto dell'intero impianto su cui si misureranno da un lato gli effetti della riforma, dall'altro la tenuta del sistema del credito cooperativo. 
Il contratto definisce tra l'altro: 
la banca capogruppo; 
i poteri della stessa nel rispetto delle finalità mutualistiche; 
gli indirizzi strategici e gli obiettivi operativi; 
i poteri per l'attività di direzione e di controllo; 
i casi in cui la capogruppo può nominare o revocare i componenti degli organi di amministrazione e controllo; 
i criteri di compensazione e l'equilibrio nella distribuzione dei vantaggi derivanti dall'attività comune; 
le garanzie in solido delle obbligazioni assunte dalla capogruppo e dalle altre banche aderenti.

Nel corso dell'esame in Commissione sono stati apportati miglioramenti e integrazioni di rilievo al testo del decreto, come del resto si conviene nella normale dialettica Governo-Parlamento. 
Su alcuni di questi passaggi, il dibattito, anche esterno all'ambito istituzionale, è stato vivace, polemico ma altresì ricco di spunti propositivi.

1. È stata garantita la possibilità per le Banche di Credito Cooperativo presenti nelle province autonome di Trento e Bolzano di costituire autonomi gruppi bancari cooperativi, composti solo da banche aventi sede e operanti esclusivamente nella medesima provincia autonoma, in coerenza con gli ambiti di autonomia riconosciuti nei rispettivi Statuti. 
Si consente inoltre la costituzione nel gruppo bancario cooperativo di eventuali sottogruppi territoriali facenti capo a una banca costituita in forma di SpA. Tale soluzione tiene conto delle specificità territoriali del paese e dell'arricchimento che esse potranno fornire al gruppo, anche in termini di maggiore consolidamento del gruppo stesso. 
2. Viene esplicitamente ammessa la possibilità di recedere dal contratto (in precedenza vietata).
3. Si prevede che le azioni di finanziamento possano essere sottoscritte dalla capogruppo in deroga al vincolo di territorialità e ai limiti di partecipazione stabiliti per i soci ordinari. 
4. Sono state definite meglio le competenze riservate al Ministro dell'economia e delle finanze e alla Banca d'Italia nell'ambito della riforma delle Banche di Credito Cooperativo, attribuendo in via esclusiva alla Banca d'Italia le funzioni di vigilanza alle quali risulta preposta e affidando al Ministro dell'economia e finanze la definizione degli aspetti relativi all'adeguatezza dimensionale e organizzativa del gruppo bancario operativo. 
5. Sono quindi state riscritte le disposizioni contenute nel decreto-legge relative alla cosiddettaway out, accogliendo le proposte sollevate attraverso numerosi emendamenti, e inserendo la previsione che, in deroga alla disciplina sulla devoluzione del patrimonio da applicarsi nei casi di fusione e trasformazione delle BCC escluse dal gruppo bancario cooperativo, la devoluzione non si produce per le banche di credito cooperativo, che presentino istanza di conferimento delle proprie aziende bancarie a una SpA autorizzata all'esercizio dell'attività bancaria, purché la banca istante o, in caso di istanza congiunta, almeno una delle banche istanti, possiedano, alla data del 31 dicembre 2015, un patrimonio netto superiore a duecento milioni di euro. 
Si prevede inoltre che all'atto del conferimento la Banca di Credito Cooperativo conferente versi allo Stato un importo pari al 20 per cento del proprio patrimonio netto. 

Le riserve indivisibili riconducibili alla BCC – al netto del versamento effettuato allo Stato – rimarranno nella società cooperativa conferente, la quale acquisisce con le proprie risorse la partecipazione nella società conferitaria. 
La cooperativa conferente si obbliga a mantenere le clausole mutualistiche, nonché ad assicurare ai soci servizi funzionali al mantenimento del rapporto con la SpA conferitaria, di formazione e informazione sui temi del risparmio e di promozione di programmi di assistenza. 
Tale soluzione consente di contemperare la previsione del vincolo di adesione al gruppo bancario cooperativo con la possibilità, per le banche di credito cooperativo, di scegliere una strada alternativa per il proseguimento della propria attività bancaria, escludendo quindi che tale vincolo si configuri come un obbligo di legge. 
L'obiettivo è stato bilanciato con l'esigenza di non minare la prospettiva, su cui si incentra la riforma della BCC, contenuta nel decreto-legge, del consolidamento del sistema bancario cooperativo attraverso la costituzione di uno, o più, grandi gruppi bancari cooperativi. È stato perciò fissato un limite temporale piuttosto ristretto, pari a 60 giorni, entro il quale le banche di credito cooperativo dovranno presentare istanza alla Banca d'Italia di conferimento delle rispettive aziende bancarie ad una società per azioni autorizzata all'esercizio dell'attività bancaria. 
6. Si prevede un Fondo temporaneo delle banche di credito cooperativo, di natura transitoria, con lo scopo di supportare la finalità della BCC nel periodo di transizione che terminerà con la formazione del gruppo bancario cooperativo, così predisponendo uno strumento di sostegno di natura mutualistico-assicurativa. 
Il comma 1 dell'articolo 3 bis dispone che nella suddetta fase, l'obbligo di aderire a un gruppo bancario cooperativo per il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività bancaria in forma di BCC è assolto, anche al fine di non doversi trasformare in S.p.A. o deliberare la liquidazione, fino alla data di adesione della banca di credito cooperativo ad un gruppo bancario cooperativo, dall'adesione della stessa ad un Fondo temporaneo delle banche di credito cooperativo, promosso dall'Associazione Nazionale del Credito Cooperativo, mediante strumento di natura privatistica. 
Il Fondo opera in piena autonomia decisionale quale strumento mutualistico-assicurativo e può favorire processi di consolidamento e concentrazione delle banche di credito cooperativo. 
Vorrei sottolineare il riconoscimento ulteriore che viene da questa disposizione alle strutture associative del Credito Cooperativo che devono mantenere a mio avviso un ruolo essenziale. 
Voglio ritornare sulla way out. È stato il punto dove il confronto si è fatto più duro e serrato. 
La soluzione trovata rappresenta un buon punto di equilibrio. 
Le banche con patrimonio netto superiore a 200 milioni sono 14. Abbiamo definito le date di riferimento: 
quella per individuare la soglia dei 200 milioni; 
quella entro cui procedere all'istanza.

Banca d'Italia, nel corso delle audizioni, aveva sottolineato questo aspetto e i rischi cui saremmo andati incontro nel caso fosse stata confermata la versione iniziale del decreto. 
Lo schema che si realizza è quello di una cooperativa che scorpora il ramo di azienda bancaria e la conferisce in una società per azioni. 
La cooperativa dovrà proseguire quindi nell'attività mutualistica. 
Questo resta un vincolo rilevante che consente di dare prospettive alla soluzione trovata. 
Del resto era impensabile non prevedere una via di uscita nel momento in cui si realizza un'operazione straordinaria di portata storica e che fa dell'appartenenza al gruppo il requisito necessario per l'esercizio dell'attività bancaria in forma di BCC. 

Fare banca di comunità nell'era della crisi è senz'altro impresa difficile ma allo stesso tempo affascinante. 
È una mission riservata solo ad alcuni. 
Da noi, in Italia, solo al Credito cooperativo. 
Se guardiamo una cartina geografica e sovrapponiamo alla stessa l'ubicazione degli sportelli delle BCC ci rendiamo conto della loro presenza capillare in tanti piccoli comuni o addirittura frazioni, laddove altre banche si sono ritirate o per scelte di natura strategica o perché i margini tendevano sempre più a ridursi. 
Le BCC hanno una presenza esclusiva in quasi 600 comuni. Le banche ordinarie e le grandi banche si concentrano maggiormente nelle aree urbane e ad alta densità abitativa, produttiva o finanziaria. 
Possiamo ben dire che accanto ad una funzione economica, certamente insostituibile, il credito cooperativo svolge anche una essenziale funzione sociale. 
C’è una correlazione stretta con il territorio, con la piccola impresa, con le famiglie e con le proprie comunità di riferimento, con le quali condividono molto spesso le sorti. 
La riforma rispetta queste peculiarità, le riconosce, per certi versi le esalta e le tutela. 
Mette in sicurezza un grande patrimonio, sul piano dell'attività creditizia, economica e sociale. 
La sfida a cui tutti siamo chiamati, ciascuno per le proprie responsabilità, è quella di consentire alle Banche di Credito Cooperativo nel tempo presente e futuro di svolgere il proprio ruolo, prezioso e fondamentale. 
In questa legislatura molti sono stati i provvedimenti volti a rifondare il sistema bancario italiano, come conseguenza della crisi economico-finanziaria e alla luce dell'attuale contesto socioeconomico e di vigilanza. 
Il decreto-legge n. 3 del 2015 ha inteso riformare le banche popolari, prevedendo, tra l'altro: 
l'introduzione di limiti dimensionali per l'adozione della forma di banca popolare, con l'obbligo di trasformazione in società per azioni delle banche popolari con attivo superiore a 8 miliardi di euro; 
una disciplina delle vicende straordinarie societarie (trasformazioni e fusioni) che si applica alle banche popolari, con lo scopo di introdurre una normativa uniforme per tutte le banche popolari, sottraendo agli statuti la determinazione delle maggioranze previste per tali vicende societarie; 
l'introduzione della possibilità, per tali istituti, di emettere strumenti finanziari con specifici diritti patrimoniali e di voto; 
l'allentamento dei vincoli sulla nomina degli organi di governo societario, con l'attribuzione di maggiori poteri agli organi assembleari; 
l'introduzione di limiti al voto capitario, consentendo agli atti costitutivi di attribuire ai soci persone giuridiche più di un voto.

Per quanto riguarda le fondazioni bancarie, il Ministero dell'economia e delle finanza e l'ACRI hanno firmato un protocollo d'intesa che definisce in modo più analitico i parametri di riferimento cui le fondazioni conformeranno i comportamenti, con l'obiettivo di migliorare le pratiche operative e di rendere più solida la governance. 
Tra i principi cardine contenuti nel protocollo vi sono la diversificazione degli investimenti, il divieto generale di indebitamento e il divieto di utilizzo dei derivati. In relazione alla governance, l'organo di amministrazione, il presidente e l'organo di controllo durano in carica per un periodo massimo di quattro anni, rinnovabile una sola volta. 
Il decreto legislativo n. 72 del 2015 ha apportato modifiche al Testo Unico Bancario e al Testo Unico della Finanza volte a recepire la direttiva 2013/36/UE sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale. Il decreto legislativo ha altresì operato una complessiva riforma del sistema sanzionatorio in materia bancaria e finanziaria. La Banca d'Italia ha quindi dato avvio all'attuazione in Italia della direttiva emanando le disposizioni di vigilanza per le banche; il nuovo quadro regolamentare è finalizzato a rafforzare gli assetti di governance delle banche italiane. Le norme confermano la chiara distinzione di compiti e poteri tra gli organi societari, l'adeguata dialettica interna, l'efficacia dei controlli e una composizione degli organi societari coerente con le dimensioni e la complessità delle aziende bancarie. 

Per quanto riguarda invece il risanamento degli istituti creditizi, i decreti legislativi n. 180 e n. 181 del 2015 hanno recepito la direttiva 2014/59/UE che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento. In particolare: 
il decreto legislativo n. 181 introduce nel Testo Unico Bancario disposizioni relative ai piani di risanamento, alle forme di sostegno all'interno dei gruppi bancari, alle misure di intervento precoce; 
il decreto legislativo n. 180 reca la disciplina in materia di predisposizione di piani di risoluzione, avvio e chiusura delle procedure di risoluzione, adozione delle misure di risoluzione, gestione della crisi di gruppi crossborder, poteri e funzioni dell'autorità di risoluzione nazionale e disciplina del fondo di risoluzione nazionale.

Il legislatore italiano, in tema di risoluzione delle crisi bancarie, è poi puntualmente intervenuto con il decreto-legge n. 183 del 2015, recante disposizioni urgenti per il settore creditizio, il cui testo è poi confluito nella legge di stabilità 2016 (articoli 1, commi 842-854 della legge n. 208 del 2015). 
Tali norme, nel quadro delle procedure di risoluzione delle crisi bancarie, sono state reputate necessarie a consentire la tempestiva ed efficace attuazione dei programmi di risoluzione di alcuni istituti bancari, segnatamente della Cassa di risparmio di Ferrara Spa, della Banca delle Marche Spa, della Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e della Cassa di risparmio della Provincia di Chieti Spa, tutte in amministrazione straordinaria. In particolare sono dettate misure e procedure specifiche ed eccezionali per la costituzione di quattro enti ponte, in corrispondenza delle summenzionate banche. 
Il Capo II del provvedimento reca misure volte a definire un meccanismo per smaltire i crediti in sofferenza presenti nei bilanci bancari da attuare mediante la concessione di garanzie dello Stato nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione che abbiano come sottostante crediti in sofferenza (Garanzia cartolarizzazione crediti in sofferenza – GACS). 
Come ben sappiamo, nel nostro Paese, le sofferenze lorde ammontano a 210 miliardi, quelle al netto delle rettifiche a 90 miliardi. 
Per effetto delle modifiche apportate durante l'esame in Commissione, sottostante delle operazioni di cartolarizzazione possono essere i crediti in sofferenza degli intermediari finanziari (iscritti all'albo di cui all'articolo 106 del Testo Unico Bancario) aventi sede in Italia. Inoltre è specificato che tali soggetti rivestono, nell'ambito dell'operazione di cartolarizzazione, il ruolo di società cedenti. 
In estrema sintesi, oggetto della garanzia dello Stato sono solo le cartolarizzazioni cosiddettesenior, ossia quelle considerate più sicure, in quanto sopportano per ultime eventuali perdite derivanti da recuperi sui crediti inferiori alle attese. Non si procede al rimborso dei titoli più rischiosi se prima non sono integralmente rimborsate le tranches di titoli coperto dalla garanzie di Stato. Le garanzie possono essere chieste dalle società che cartolarizzano e cedono i crediti in sofferenza, a fronte del pagamento di una commissione periodica al Tesoro, calcolata come percentuale annua sull'ammontare garantito. Il prezzo della garanzia è di mercato, come anche ribadito dalla Commissione europea al fine di non dar vita ad aiuti di Stato. Si prevede che il prezzo della garanzia sia crescente nel tempo, allo scopo di tener conto dei maggiori rischi connessi a una maggiore durata dei titoli e di introdurre nel meccanismo un incentivo a recuperare velocemente i crediti. Al fine del rilascio della garanzia, i titoli devono avere preventivamente ottenuto un rating uguale o superiore all’investment grade da un'agenzia di rating indipendente e inclusa nella lista delle agenzie accettate dalla BCE secondo i criteri che le agenzie stesse sono tenute ad osservare. Con la presenza della garanzia pubblica si intende facilitare il finanziamento delle operazioni di cessione delle sofferenze senza impatti sui saldi di finanza pubblica. 

I crediti da cedere sono trasferiti alla società cessionaria per un importo non superiore al valore contabile netto alla data della cessione, in luogo della precedente formulazione che faceva invece riferimento al valore netto di bilancio. 
È stato parzialmente modificato il regime del rimborso degli interessi dei titoli mezzanine; nella formulazione originale della norma esse erano obbligatoriamente antergate al rimborso del capitale dei titoli senior, mentre ora esse possono essere antergate al rimborso del capitale dei titoli senior. 
Infine, si chiarisce che il soggetto incaricato della riscossione dei crediti ceduti deve essere diverso dalla società cedente e non appartenere allo stesso gruppo. L'eventuale decisione della società cessionaria o dei portatori dei Titoli di revocare l'incarico di tale soggetto non deve determinare un peggioramento del rating del Titolo senior da parte dell'ECAI. 
I pagamenti delle somme dovute ai prestatori di servizi e di quelle dovute alle controparti di contratti di copertura finanziaria possono essere condizionati a obiettivi di performance nella riscossione o nel recupero, in relazione ai portafogli di credi ceduti, ovvero siano – a determinate condizioni – postergati al completo rimborso del capitale dei titoli senior.
Il Capo III reca norme fiscali relative alle procedure di crisi. In particolare, l'articolo 14 consente di escludere da tassazione, in quanto non costituiscono sopravvenienze attive, i contributi ricevuti a titolo di liberalità dalle imprese soggette a procedure concorsuali – fallimento, concordato preventivo, accordi di ristrutturazione del debito, liquidazione coatta amministrativa – e a procedure di amministrazione straordinaria ovvero di gestione di crisi per gli enti creditizi fino ai 24 mesi successivi alla chiusura della procedura. L'articolo 15 disciplina il trattamento ai fini Ires e Irap da applicare alle operazioni di cessione di diritti, attività e passività di un ente sottoposto a risoluzione a un ente ponte. In sostanza, il trattamento fiscale della cessione di attività e passività da un soggetto sottoposto a risoluzione ad un ente ponte viene equiparato a quello attualmente previsto in caso di fusioni o di scissioni. 
L'articolo 16 prevede l'applicazione dell'imposta di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa sui trasferimenti di immobili nell'ambito di vendite giudiziarie effettuati dalla data di entrata in vigore del provvedimento fino al 31 dicembre 2016. 
Nel corso dell'esame in sede referente i trasferimenti immobiliari nell'ambito di vendite giudiziarie emessi a favore di soggetti che non svolgono attività d'impresa sono anch'essi assoggettati alle imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro, in caso di acquisto della prima casa. 
È inserito l'articolo 17-bis, che modifica la norma del TUB (articolo 120 del decreto legislativo n. 385 del 1993) che assegna al CICR (comitato interministeriale per il credito e il risparmio) il compito di stabilire le modalità e i criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, al fine di vietare il meccanismo di capitalizzazione degli interessi (anatocismo). In primo luogo si chiarisce che la periodicità nel conteggio degli interessi non può essere inferiore ad un anno, disponendo quindi il divieto della capitalizzazione infrannuale degli interessi, in armonia con quanto previsto dalla proposta di delibera CICR avanzata dalla Banca d'Italia e con quanto statuito dalla giurisprudenza. In secondo luogo si prevede che gli interessi debitori maturati (in luogo della attuale previsione che fa riferimento, incongruamente, agli interessi «periodicamente capitalizzati»), compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre ulteriori interessi, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale.
Sono stati inoltre inseriti l'articolo 17-ter, in materia di assegni bancari, l'articolo 17-quater, sulla remunerazione del conto corrente di Tesoreria relativo alla Cassa Depositi e Prestiti, e l'articolo 17-quinquies sui pagamenti effettuati con mezzi diversi dal contante o dal conto corrente postale.