Relatore di maggioranza per la IV Commissione
Data: 
Venerdì, 6 Marzo, 2015
Nome: 
Marco Causi

A.C. 2844-A

 

Signor Presidente, certamente l'articolo più importante e che ha fatto più discutere di questo decreto-legge è l'articolo 1, che reca uno storico e strutturale intervento di riforma del settore delle banche popolari. Per quanto riguarda le grandi banche popolari, quelle cioè il cui attivo è superiore a 8 miliardi di euro, il decreto-legge introduce un processo che, nell'ambito di diciotto mesi, porterà le prime 10 grandi banche popolari italiane a trasformarsi in società per azioni, tramite assemblee dei soci che ne delibereranno la trasformazione, in assenza della quale sono previste una serie di sanzioni da attivarsi da parte degli organi di vigilanza, cioè da parte della Banca d'Italia e della Banca centrale europea. 
Per tutte le banche popolari, quindi anche per quelle che restano al di sotto degli 8 miliardi di euro e che non hanno l'obbligo di trasformarsi in Spa, il decreto-legge prevede la possibilità di modificare gli statuti in modo da poter migliorare e velocizzare la possibilità per questi istituti bancari di ricapitalizzarsi, recependo risorse e capitali da parte di soci di capitali e, quindi, in particolare di emettere strumenti finanziari che abbiano specifici diritti patrimoniali e di voto. Per le banche popolari al di sotto degli 8 miliardi di euro, questa facoltà, che permetterà di accedere più facilmente e rapidamente ai mercati dei capitali, non implicherà la trasformazione in Spa. Inoltre, la riforma implica una serie di modernizzazioni e miglioramenti della governance di questi istituti bancari. In particolare, viene abolito l'istituto del gradimento dei nuovi soci, viene rimosso il vincolo che gli amministratori di queste banche debbano essere soci nella cooperativa e naturalmente nel caso delle banche che diventano Spa, viene superato il voto capitario, mentre nel caso delle banche che non dovranno trasformarsi in Spa, il ricorso al voto capitario viene riorganizzato in modo da rendere più veloci gli atti di governance delle società. Si è svolta, su questa riforma, Presidente, come sappiamo, un'intensa discussione pubblica in queste settimane e continuerà nelle prossime. Voglio ricordare, però, che in sede referente le Commissioni finanze e attività produttive di questa Camera hanno introdotto tre modifiche all'originario provvedimento. Di queste tre modifiche, due soprattutto mi sembrano di grande rilievo. La prima, votata ieri pomeriggio, è l'introduzione di una norma che autorizza gli statuti delle società per azioni risultanti dalla trasformazione delle banche popolari in Spa a prevedere, per un periodo non più lungo di ventiquattro mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione di questo decreto-legge, dei limiti all'esercizio del diritto di voto in una misura minima del 5 per cento. Quindi, gli statuti delle nuove banche Spa potranno, almeno per due anni, avere un limite all'esercizio del diritto di voto del 5 per cento, il che, in sostanza, permetterà a questi istituti di gestire la transizione dall'attuale regime di voto capitario al nuovo regime di Spa determinando, anche tramite un processo di consolidamento, l'organizzazione del loro capitale. Ciò farà anche da scudo in qualche modo dalla possibilità che, durante questa fase di trasformazione, questi istituti possano essere oggetto di scalate ostili. Altro, invece, è quello che questi istituti dovranno fare, cioè costruire dei piani industriali, delle alleanze, delle aggregazioni che, al contrario, non siano ostili, ma siano condivise e consolidino il settore. 
La seconda modifica stabilisce che nell'assemblea che delibererà la trasformazione in Spa, che nel decreto-legge viene considerata una sorta di assemblea speciale e ne vengono abbattuti i quorum che rendono le decisioni assembleare valide, potranno, per effetto della modifica introdotta nelle Commissioni, anche essere approvate le modifiche statutarie. Questo intervento ha un duplice scopo, Presidente. Il primo scopo è che nella norma originaria sussisteva una sorta di buco, cioè la banca popolare fa l'assemblea, si trasforma in Spa, ma, poi, a quel punto il nuovo statuto, chi lo fa ? Bisogna a quel punto fare un'altra assemblea per la nuova Spa, quindi c'era un processo che avrebbe anche prolungato il procedimento di trasformazione. Il secondo elemento è che i nuovi statuti verranno stabiliti dalle assemblee delle attuali banche popolari con il voto capitario, quindi anche alcuni elementi e alcuni accorgimenti di definizione graduale di questa transizione potranno essere meglio definiti. 
Infine, il decreto-legge reca una norma molto rilevante che è quella che nega la possibilità del diritto al recesso per i soci, se la Banca d'Italia ritiene che l'esercizio di questo diritto al recesso possa essere nocivo ai fini dell'erosione del capitale di vigilanza. Il provvedimento originario prevedeva la possibilità di limitare il diritto al recesso anche nel caso di morte, quindi a svantaggio degli eredi. Le Commissioni finanze e attività produttive hanno ritenuto di togliere questa previsione , quindi, gli eredi, in caso di evento negativo, avranno il diritto al recesso. 
Mi limito a fare tre osservazioni generali riguardanti questa riforma. La prima è che essa è stata sollecitata, non da pochi mesi, ma da molti anni, da tutte le autorità di vigilanza del settore bancario. Abbiamo ascoltato, nelle Commissioni finanze e attività produttive, Banca d'Italia, Consob, Autorità garante della concorrenza e del mercato. Il motivo per cui tutte le Autorità di vigilanza e, principalmente, naturalmente, l'Autorità di vigilanza bancaria, quindi Banca d'Italia e BCE, sollecitano questa riforma è perché nel nuovo mondo nato dopo la crisi del 2008, ci piaccia o non ci piaccia – non è questa la sede di discutere se la nuova regolamentazione dell'attività bancaria con cui la comunità internazionale ha risposto alla crisi va bene o no; di fatto, però, è quella) – in questo nuovo mondo per fare credito, devi avere capitale. E più questo credito che fai è rischioso, più capitale deve avere. La nuova regolamentazione bancaria uscita nel mondo e in Europa dopo la crisi del 2008 in qualche modo valuta con molta più attenzione la rischiosità dell'attività creditizia e, a fronte di questa rischiosità, obbliga a requisiti di capitale molto più stringenti. 
Ci piaccia o non ci piaccia questo è il nuovo mondo, determinato dal fatto che tutti hanno interpretato la crisi del 2008-2009 come una crisi dovuta al fatto che le banche si erano prese troppi rischi e avevano fatto troppo leverage. Oggi, noi abbiamo, in Europa in particolare, una unione bancaria che, non appena ci sia un pochino in più di rischio nell'attività creditizia, obbliga alla ricapitalizzazione delle banche. In un Paese come l'Italia che è, come spesso ci siamo detti, un Paese molto «bancocentrico», per un sistema imprenditoriale come quello italiano che è molto «bancocentrico», questo nuovo mondo comporta dei problemi e comporta delle difficoltà, perché le nostre imprese sono abituate a finanziarsi, soprattutto con credito bancario rispetto ad altri strumenti, e perché le nostre banche sono molto legate al sistema delle imprese e, quindi, condividono con il sistema delle imprese gli elementi di rischiosità. 
Il segmento delle banche popolari, soprattutto delle grandi banche popolari, paradossalmente, per i meriti che ha – e cioè per il fatto di essere cresciuto in sintonia con il nostro mondo imprenditoriale e, quindi, di essere un segmento in più forte connessione con l'economia reale rispetto a quanto lo siano altri segmenti del nostro sistema bancario – negli ultimi anni, appunto per questo, ha subito in modo specifico e particolare l'aumento di rischiosità dovuto al prolungamento della crisi. La quantità di crediti deteriorati sul totale dei crediti bancari è quasi quadruplicata nel segmento delle grandi banche popolari, mentre, invece, è triplicata nel segmento delle banche Spa. Questo aumento di rischiosità sta comportando, con le nuove regole, la necessità per i nostri istituti bancari di ricapitalizzarsi di continuo: è una necessità che c’è già stata negli ultimi due anni e non finirà a breve termine. Ora, evidentemente, le banche popolari, per i loro meccanismi di governance, hanno una particolare difficoltà o lentezza nei processi di ricapitalizzazione, appunto, per effetto della loro governance e, in particolare, del voto capitario. La possibilità di trasportarle in un mercato di capitali di cui possano più liberamente godere è una possibilità, naturalmente, che permetterà a loro di consolidarsi e, quindi, a un intero segmento importante del sistema bancario italiano di rafforzarsi. Questa è l'opinione che da anni ci viene espressa da parte delle Autorità di vigilanza. 
D'altra parte, se pensiamo bene – e questo è il mio secondo punto, Presidente – le banche popolari non sono delle vere e proprie banche cooperative no profit; come ben sa chi conosce questa letteratura, che esiste da decenni, la banca popolare è un ibrido, perché, innanzitutto, distribuisce utili esattamente come le Spa; la legge italiana, oggi, consente alle banche popolari di mettere a riserva il 10 per cento e tutto il resto distribuirlo; per esempio, invece, per le banche cooperative, per le BCC, si mette a riserva il 70 per cento. Le banche popolari non hanno finalità mutualistiche, le BCC, invece, devono effettuare versamenti ogni anno ai loro fondi mutualistici di categoria, le banche popolari no; le banche popolari non hanno, in base alla legge, un obbligo a fare beneficenza, possono farla, come qualsiasi società, come qualsiasi organizzazione, ma non sono obbligate per legge a fare beneficenza e, quindi, la banca popolare, che, per l'appunto, è un ibrido giuridico ben conosciuto e molto discusso in letteratura e nella discussione politica di questi anni, non ha una finalità non lucrativa. È un istituto, un'organizzazione lucrativa profittevole, esattamente come una Spa, tant’è vero che può essere quotata in borsa. Sette delle dieci banche popolari che adesso si dovranno trasformare in Spa sono già quotate in borsa. Sono quotate in borsa perché possono garantire al mercato dei capitali un flusso di rendimenti coerente con quello che i mercati dei capitali richiedono. Avendo una finalità lucrativa e non avendo una finalità mutualistica, questi istituti bancari sono sostanzialmente già oggi capitalistici, anzi, lo sono da tempo, sono delle banche capitalistiche, non sono delle banche che fanno parte di un modello non capitalistico. L'unico elemento che resta in queste banche del vecchio modello cooperativo di tipo solidaristico è soltanto il voto capitario e, quindi, sono soltanto gli aspetti di governance, soprattutto per gli istituti che sono cresciuti in dimensione così ampia; pensate che le prime due banche popolari italiane sono presenti in 83 province, le prime dieci banche popolari italiane sono presenti, in media, in 60 province e, quindi, si tratta di istituti ormai molto, molto lontani dagli originari istituti di tipo locale che erano poi confinati dentro la comunità locale. Per gli istituti di queste dimensioni, il voto capitario, l'istituto del gradimento dei soci e l'istituto, ad esempio, che prevede che gli amministratori debbano essere soci della banca, sono tutti istituti non più sostenibili dentro un mondo in cui per amministrare una banca ci vogliono competenze, e non è detto che fra i soci della cooperativa ci siano competenze. Per acquisire soci c’è un problema di gradimento, come se fosse un club, c’è un problema di dare soldi e riconoscere diritti a fronte dei soldi e del capitale che viene investito. 
Quindi, in ultima analisi, la riforma che stiamo conducendo, oltre ad essere una riforma di cui si discute e si dibatte da anni è anche una riforma che non va ad incidere su un settore non capitalistico; incide su un settore già propriamente capitalistico e permetterà a questo settore di continuare a fare l'attività che fa, perché è vero che questo settore è quello che eroga più credito alle imprese, ma, con i limiti che sul capitale mettono le attuali regolamentazioni europee e con l'aumento di rischiosità che è stato determinato, purtroppo, dal prolungamento drammatico della crisi dell'economia reale, proprio questo settore è quello che ha più bisogno di capitale, e proprio questo settore, quindi, con la nuova governance da Spa potrà, ricapitalizzandosi, rafforzandosi e consolidandosi, garantire un maggiore afflusso di credito all'economia. 
Concludo sulla riforma delle grandi banche popolari, ricordando che nel Country report che la Commissione europea ha emanato giovedì scorso sull'Italia – un Country report, come sapete, molto importante per noi, perché la rassegna della Commissione europea conclude con una sostanziale promozione dello stato delle nostre finanze pubbliche e, quindi, con una sostanziale promozione anche delle manovre espansive che abbiamo fatto lungo il 2014, anche scostandoci dai vecchi obiettivi a medio termine di bilancio – questa promozione è legata alle riforme che il Governo e la maggioranza stanno compiendo in questi mesi. E fra queste riforme, la riforma delle grandi banche popolare è considerata praticamente la numero due, dopo il Jobs Act. Dice, in particolare, la Commissione europea, che grazie a questa riforma si potrà avere un miglioramento del management bancario, si potranno rendere le banche italiane – in questo segmento, che però è molto rilevante – più attrattive per i nuovi investitori e ci si potrà aspettare un consolidamento industriale all'interno di questo segmento; un consolidamento che non è ovviamente da qui, dalla politica o della legge, che possiamo indirizzare, ma che sta già nelle cose, nei progetti industriali che questi stessi istituti bancari da anni avevano: progetti di aggregazione, progetti di ampliamento e di gradimento. Penso e sono convinto – riporto in questo l'opinione della maggioranza – che questo passaggio salvi le piccole banche popolari, non mette dentro le vere banche cooperative. Le vere banche cooperative, cioè le BCC, stanno intraprendendo un percorso di autoriforma, condiviso dal Governo, che porterà a futuri provvedimenti. Con questo provvedimento, che interviene sulle prime dieci grandi banche popolari – sette delle quali sono quotate e otto delle quali fanno parte delle quindici vigilate direttamente a livello europeo, quindi banche sistemiche a livello europeo – andremo ad un rafforzamento complessivo; introduciamo una dinamica di rafforzamento complessivo dell'industria bancaria italiana. 
Molto velocemente, sugli altri articoli di competenza della Commissione finanze: nell'articolo 2 introduciamo delle disposizioni in materia di portabilità dei conti di pagamento. Stiamo anticipando così la piena attuazione della direttiva n. 92/2014/UE dell'Unione europea sulla portabilità dei conti di pagamento: un'anticipazione molto opportuna, che però andrà – come sempre per le anticipazioni, le sperimentazioni – monitorata con molta attenzione. Nel corso dell'esame in sede referente, è stato modificato il comma 2 dell'articolo, sostituendo l'obbligo di risarcimento del cliente in caso di mancato rispetto delle modalità e dei termini per il trasferimento dei conti pagamento con l'obbligo di indennizzo. Inoltre, si è demandato ad un decreto ministeriale la precisa e operativa attuazione sia dei criteri per l'indennizzo, sia dei criteri per la trasparenza informativa. Tra l'altro, la norma implica che un domani, quando andremo ad un bancomat, dovremmo poter trovare elementi che ci dicano quanto costa l'operazione che stiamo facendo ed elementi che ci dicano anche qual è il profilo cliente: quindi, il profilo cliente e gli elementi di costo totalmente trasparenti. 
Inoltre, in Commissione, ieri sera, abbiamo introdotto una modifica molto rilevante, cioè, sempre di questa direttiva europea, che comunque in futuro entrerà in vigore e che adesso stiamo anticipando, abbiamo anticipato anche l'apertura dei conti di pagamento e dei conti correnti cosiddetti transfrontalieri, che dovrebbero quindi auspicabilmente, anche prima che entri in vigore la direttiva europea, favorire la tenuta, per i residenti in Italia, di conti correnti che abbiano anche una corrispondenza automatica con conti correnti in altri Paesi dell'Unione europea. 
Nell'articolo 3 si è introdotta una riforma volta a migliorare il funzionamento in Italia dei crediti all'esportazione. Il credito all'esportazione viene fatto tradizionalmente in Italia su garanzia della SACE, ma l'attività di diretto credito all'esportazione non ha in Italia un soggetto, né pubblico né privato, che la fa in modo prevalente. In altri Paesi invece ci sono soggetti di questo tipo; adesso grazie anche ad un miglioramento, ad un cambiamento che di questa norma è stato fatto ieri in Commissione finanze e attività produttive si è demandato al complessivo gruppo CdP-SACE, che potrà poi decidere se farlo all'interno o avvalersi anche di soggetti esterni, di avviare anche in Italia un'attività di direct lending, di prestito diretto, affiancandosi in particolare alle operazioni più importanti del mondo imprenditoriale italiano nell'ambito delle esportazioni. 
Infine, mi compete l'articolo 5. L'articolo 5 reca una modifica del cosiddetto patent box, cioè del regime opzionale di tassazione agevolata dei redditi derivanti dall'utilizzo e dalla cessione di opere dell'ingegno, regime che abbiamo introdotto nella legge di stabilità: lo ampliamo già subito in questo provvedimento, consentendo alle imprese che fanno opera dell'ingegno di poter mettere sotto regime di patent box anche le attività di valorizzazione della proprietà intellettuale gestite e sviluppate in outsourcing o con le società del proprio gruppo. Durante l'esame in sede referente, la norma è stata modificata al fine di rendere rinnovabile l'opzione delle imprese di rinnovare, invece del nuovo, il precedente regime agevolativo.