Data: 
Giovedì, 12 Marzo, 2015
Nome: 
Silvia Fregolent

A.C. 2844-A

Gentile Presidente, colleghi, membri del Governo, inizio dai ringraziamenti non formali al presidente di gruppo Benamati, ai relatori Causi e Taranto, ai presidenti Epifani e Capezzone, a tutti i colleghi che hanno partecipato ai lavori delle Commissioni e dell'Aula per il proficuo lavoro svolto nel migliorare il provvedimento; un ringraziamento che va anche ai funzionari delle Commissioni e ai funzionari del gruppo Partito Democratico, che ci hanno aiutato nell'analisi di questo provvedimento.
Tale provvedimento ha come ragion d'essere il tentativo che dall'inizio di questa legislatura, di questo Governo, il Partito Democratico ha ben chiaro: cercare di far ripartire il Paese e tagliare i lacci e i lacciuoli che per troppi anni l'hanno tenuto bloccato.
  I dati positivi di queste ultime settimane ci fanno ben sperare in una ripresa, ma a noi non basta uno 0,1; per il nostro Paese vogliamo, possiamo e dobbiamo aspirare a ben altri numeri.
  Nell'esaminare il decreto già alcuni colleghi hanno sottolineato, in questi giorni, la portata rivoluzionaria di alcune norme e qui ne cito alcune per brevità: l'articolo 4, dove si introduce la definizione di piccole e medie imprese innovative, che potranno accedere ad alcune semplificazioni, agevolazioni ed incentivi attualmente riservati solo alle start-up innovative dalla legislazione vigente. Una modifica significativa, tra quelle approvate dalle Commissioni, riguarda la raccolta di capitali mediante offerte condotte su portali on line e viene istituita una modalità alternativa rispetto all'ordinaria disciplina civilistico-finanziaria per la sottoscrizione e la circolazione di quote di start-up per piccole e medie imprese innovative costituite in Srl.
  L'articolo 5 in cui si reca una modifica al cosiddetto patent box, cioè al regime opzionale di tassazione agevolata dei redditi derivanti dall'utilizzo e dalla cessione delle opere dell'ingegno: il regime che è stato introdotto nella legge di stabilità qui viene ampliato, consentendo alle imprese che fanno opere dell'ingegno di poter mettere sotto regime di patent box anche le attività di valorizzazione della proprietà intellettuale gestite e sviluppate in out sourcing o con le società del proprio gruppo.
  L'articolo 3, dove viene introdotta una riforma rivolta a migliorare il funzionamento in Italia del credito all'esportazione. Il credito all'esportazione viene fatto tradizionalmente in Italia su garanzia della SACE, ma l'attività di credito diretto all'esportazione non ha in Italia un soggetto né pubblico né privato che lo faccia in modo prevalente come negli altri Paesi. Grazie a questa norma e alle modifiche apportate nelle Commissioni, si è demandato al complessivo gruppo Cassa depositi e prestiti e SACE il compito di avviare in Italia un'attività di prestito diretto, affiancandosi alle operazioni più importanti nel mondo imprenditoriale italiano delle esportazioni. Questo per agevolare ancora di più le nostre imprese dal momento che, se il sistema industriale italiano ha retto anche nel periodo della crisi, è grazie al buon andamento dell’export.
  Infine, l'articolo 2 sulla portabilità dei conti correnti, norma che prevede che istituti bancari prestatori di servizi di pagamento, in caso di trasferimento in un conto di pagamento, sono tenuti a darvi atto senza oneri o spese di portabilità a carico del cliente. Va dato il merito al Parlamento di aver migliorato la norma, miglioramento sancito con il voto unanime di ieri.
  Potremmo continuare con altri articoli che riguardano le imprese, ma è giusto analizzare analiticamente e non eludere la questione relativa alle banche popolari, che tanto tempo ha assorbito anche oggi nelle dichiarazioni di voto.
  La questione delle banche popolari è centrale di fronte ai profondi cambiamenti intervenuti nel sistema bancario europeo post crisi. Il Partito Democratico – e mi sento di parlare anche a nome del Governo, rispondendo anche ad alcune sollecitazioni provenienti dalle opposizioni – non ha nessuna ritorsione da fare nei confronti delle banche popolari, non ne vuole la loro estinzione anche perché delle due l'una: o il Partito Democratico, come più volte sollecitato da alcuni colleghi delle opposizioni, è amico delle banche o è il nemico; non può fare due parti nella stessa commedia.
Sappiamo come queste banche, come quelle creditizie, siano importanti per i nostri territori, tuttavia ci corre l'obbligo di fare alcuni chiarimenti. Le banche popolari e cooperative hanno avuto un grande ruolo nello sviluppo del nostro Paese e ancora oggi ce l'hanno e nessuno lo vuole negare. Come nessuno può negare che il voto capitario per molto tempo è stato fonte di giustizia sociale fra i ricchi e i poveri. Ancora in questi anni di crisi sono state un esempio positivo di sostegno all'economia dei territori e quindi comprendo i timori di alcuni miei colleghi del Partito Democratico che sono mossi da preoccupazioni sincere e disinteressate. Tuttavia, occorre fare un po’ di chiarezza: la vulgata di tremontiana memoria ripresa in questi giorni anche dal MoVimento 5 Stelle, SEL, Lega Nord e altre opposizioni sulla bontà delle banche popolari, tutte rivolte al territorio, e la natura matrigna delle banche commerciali, tutte rivolte ai profitti e basta, sembra alquanto lontana dalla realtà, almeno da quello che si sta scoprendo, e non solo oggi, dalle indagini della magistratura.
Le banche popolari non sono delle vere e proprie banche cooperative no profit: le banche popolari distribuiscono utili esattamente come le Spa. Oggi la legge italiana consente alle banche popolari di mettere a riserva il 10 per cento e tutto il resto distribuirlo, a differenza di quel che avviene per le banche cooperative, dove si mette a riserva il 70 per cento.
Le banche popolari non hanno finalità mutualistiche, le banche cooperative invece sì. Le banche popolari non sono un'organizzazione lucrativa, sono un'organizzazione lucrativa profittevole esattamente come le Spa, tant’è vero che possono essere quotate in borsa oggi, prima di questo decreto, prima dell'approvazione di questo decreto. Non è un elemento negativo ovviamente, ma un elemento oggettivo. Sette delle dieci banche popolari che adesso dovranno trasformarsi in Spa sono già quotate in borsa; l'unico elemento che resta di queste banche, del vecchio modello cooperativo di tipo solidaristico, è soltanto il voto capitario, che appare oggi anacronistico per istituti cresciuti in modo così ampio.
Come ricordavano i colleghi, le prime due banche popolari oggi sono presenti in ottantatre province, le altre dieci sono presenti in media in sessanta province. Si tratta di istituti molto lontani dagli originari istituti di tipo locale, molto più simili alle banche Spa e pertanto non possono limitare le deleghe e soprattutto devono raccoglierle in modo trasparente. Non si può certo dimenticare il caso delle popolari non quotate con azioni che vengono scambiate sistematicamente, alimentando mercati poco trasparenti.
Le sfide dei mercati chiedono ingenti capitali e le dimensioni sono decisive ed è giusto che chi investe, chi mette i soldi, voglia pesare in proporzione all'impegno finanziario assunto. Di qui l'anacronismo oggi del voto capitario, che ha portato come conseguenza l'inamovibilità dei presidenti e la loro assoluta egemonia in termini di potere con conseguenze nel sistema dei controlli interni sugli investimenti e sulle procedure.
Ha fatto bene l'onorevole Tabacci, durante la discussione generale, a ricordare le connessioni tra banche e tra banche e imprenditori nei casi Cirio e Parmalat, come anche a ricordare gli scandali che, non solo ora, ma anche in passato, hanno raggiunto alcune banche popolari, come quella di Lodi, Bipop Carire e Banca popolare di Novara.
Il timore di possibili scalate o di acquisizioni da parte di banche straniere è stato del tutto fugato con gli emendamenti approvati. Le modifiche apportate proprio in Commissione, in particolare l'introduzione di una norma che autorizza gli statuti delle società per azioni risultanti dalla trasformazione delle banche popolari in Spa a prevedere un periodo non più lungo di ventiquattro mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del limite dell'esercizio di voto nella misura minima del 5 per cento, assicurano la garanzia in questo senso.
Avremmo voluto, l'abbiamo chiesto con forza più volte, dal capogruppo della stessa Commissione Causi, un atto di coraggio da parte delle stesse banche popolari di farsi promotrici di una seria proposta di autoriforma. Questo non è avvenuto, anzi, durante l'audizione di Assopopolari vi è stata una difesa generalizzata del sistema, senza una risposta concreta ai vari problemi.
Per questi motivi, che in sintesi ho qui espresso, il gruppo del Partito Democratico voterà favorevolmente al decreto.