Data: 
Mercoledì, 31 Luglio, 2019
Nome: 
Alessia Rotta

A.C. 2019-A

Presidente, questo provvedimento contiene alcune misure necessarie per i settori di riferimento, in particolare per le fondazioni lirico sinfoniche, di cui vorrei occuparmi, per il cinema, l'audiovisivo e per lo spettacolo viaggiante e, più in generale, per gli spettacoli dal vivo. Tuttavia, ad un anno dall'insediamento del Governo del cosiddetto “cambiamento” ci saremmo aspettati di più, anzi avremmo sperato che il primo provvedimento del Governo in materia di politiche culturali contenesse ben altri investimenti e, soprattutto, che avesse una maggiore visione. E invece siamo delusi, come diceva prima la mia collega Di Giorgi.

A ciò si aggiunga anche un'altra considerazione di metodo. Tenuto conto, infatti, della rilevanza di alcune delle questioni che si affrontano, sarebbe stata opportuna forse una diversa organizzazione dei lavori. Infatti, noi non vogliamo abituarci a quello, invece, a cui ci avete abituati in questo anno: provvedimenti che arrivano blindati da un ramo all'altro del Parlamento e che, quindi, continuano a svilire, come purtroppo ogni giorno vediamo su ogni provvedimento, il ruolo che dovrebbe avere il dibattito in questo Parlamento, nei due rami del Parlamento, e invece, appunto, assistiamo al contrario anche in questo caso. Continuate, dunque, a bypassare le Aule, presentando decreti su cui purtroppo molto spesso, a dispetto di quello che avevate predicato nella scorsa legislatura e avevate promesso, viene posta la questione di fiducia.

Purtroppo, però, sulla cultura male avevate iniziato già a fare durante la legge di bilancio, in cui avete mortificato l'intero settore. Dopo aver ridotto, quindi, gli stanziamenti per il cinema, per i musei, per le librerie, per l'editoria e decurtato il plafond destinato alle card per i diciottenni, avreste dovuto immaginare un intervento decisamente più incisivo, mettere cioè delle risorse. Il paragone con i Governi precedenti è in questo senso impietoso e corre l'obbligo di farlo semplicemente perché rimanga agli atti, al di là degli strali, al di là degli strepiti e al di là della propaganda, perché in questo caso si tratta di numeri, ma numeri che per noi significano cultura, significano dare respiro alla cultura che per noi è così importante. Ebbene, nel passato - vogliamo ricordarlo - in particolare con il Ministro Franceschini il bilancio del dicastero era cresciuto del 60 per cento e questo aveva consentito di tornare a livelli quantomeno più dignitosi che, però, per noi neanche allora erano sufficienti.

Ma venendo al merito di questo provvedimento, dobbiamo constatare che questa rappresenta l'ennesima occasione persa, un'occasione persa per affrontare l'annosa questione dei lavoratori del settore dello spettacolo dal vivo, ragionare sul loro status giuridico e provare a superare la condizione di precarietà. Anche in questo caso voi usate parole grandi e importanti quali la dignità e la precarietà del lavoro. Ebbene, questa era l'occasione ed è un'occasione anche in questo caso mancata. Era l'occasione anche per dare respiro al settore strategico del cinema e dell'audiovisivo con investimenti, soldi e risorse più significative, affrontando tutte le novità che riguardano questo settore. E, invece, in questo caso è un'occasione perduta.

La collega Piccoli Nardelli lo ha ricordato bene. Noi avevamo iniziato ad affrontare una riforma e non abbiamo avuto il tempo di completarla, in particolare per quanto riguarda le fondazioni lirico sinfoniche il cui tema è annoso, diciamo pluriennale, e riguarda il tema della gestione delle risorse, risorse che arrivano dal Ministero e dal Governo centrale e che poi non trovano debita e corretta spesa - appunto queste risorse - e il tema delle responsabilità fa perdere il filo del discorso ma, soprattutto, questo va a detrimento di un settore che è qualificante, storico e per noi fondamentale per il nostro settore.

Per quanto riguarda il personale delle fondazioni lirico sinfoniche, su cui voglio concentrare il mio intervento, mi pare chiaro che questo sia un provvedimento incompleto. È da un anno dal cosiddetto “decreto dignità” e dal pronunciamento della Corte di giustizia europea che il Governo sapeva quanto fosse urgente intervenire. Ebbene, un po' di coraggio non sarebbe guastato. La situazione era ormai insostenibile. Li conosciamo perché abbiamo parlato con loro, abbiamo partecipato alle assemblee sindacali, abbiamo partecipato a tutti gli incontri che sono stati offerti per i lavoratori, per i tecnici, per gli artisti e per la gestione. Stiamo parlando di un settore la cui eccellenza è riconosciuta a livello mondiale, con una domanda di pubblico in continua crescita per fortuna, perché quello dell'opera è un settore e un patrimonio assoluto per la nostra cultura e identità nazionale e vorrei dire, a chi fa della bandiera sovranista, appunto, la propria bandiera, anche per l'italianità nel mondo e che produce anche - non guasta - prodotto interno lordo e ricchezza per l'Italia.

Eppure, il Governo ha deciso di intervenire in extremis e in maniera - mi sia consentito il termine - raffazzonata, senza immaginare un intervento strategico che inserisca la lirica dentro il sistema Paese, dentro il sistema della produzione culturale e della vita musicale contemporanea. Serve l'integrazione infatti con lo straordinario patrimonio dei teatri di tradizione inseriti in questo decreto-legge grazie a un emendamento presentato dal PD al Senato – quello che è stato consentito al Senato non viene consentito alla Camera: lo ricordo una volta di più – assieme al patrimonio delle orchestre regionali, delle accademie e dei conservatori.

Ma qui non c'è nulla: non c'è un'idea per i prossimi anni; non c'è una visione; non c'è una visione di futuro. Voi non aiutate a sostenere questo patrimonio e non tutelate i lavoratori. Infatti, sempre grazie al cosiddetto decreto dignità, si rischia che vengano espulsi migliaia di professionisti di inestimabile valore e purtroppo la norma sulle stabilizzazioni e sui concorsi senza lo stanziamento di risorse rischia di tradire le aspettative dei lavoratori del settore e di trasformarsi in un nulla di fatto. Servono le risorse: se dite di crederci davvero, dovete mettere anche le risorse. Le fondazioni lirico-sinfoniche che soffrono non poco, soprattutto dal punto di vista economico, avrebbero bisogno di maggiori certezze, di un intervento che doveva essere strutturale nel settore e soprattutto l'offerta culturale non dovrebbe essere subordinata all'ottimizzazione della spesa, come invece voi dimostrate anche in questo caso. Una riforma del sistema è necessaria - dico purtroppo sarebbe necessaria - poiché, come è emerso, anche più volte, nella relazione del commissario straordinario sulle fondazioni lirico-sinfoniche, la riforma del 1996 ha mostrato delle debolezze, delle fragilità: la trasformazione degli enti lirici in fondazioni di diritto privato ha funzionato ma anche no: nel rapporto con il territorio e nell'elargizione attraverso il Fondo unico dello spettacolo ci sono criticità che il sistema adottato con la riforma del 1996 ha prodotto e alle quali dovevamo dare risposte, come abbiamo cercato già noi di fare.

Penso poi ad una realtà del mio territorio quale la Fondazione Arena di Verona che, voglio ricordare, fortunatamente è stata salvata, salvata dalla liquidazione coatta che qualcuno che ha gestito a livello territoriale avrebbe voluto. L'abbiamo salvata cercando di inserirla in extremis, anzi fuori tempo, nella “legge Bray” e quindi la Fondazione è una realtà che ancora oggi ha una voce importante nel territorio che ha consentito di dare un ultimo saluto all'ultima opera del Maestro Zeffirelli. Ebbene, nella Fondazione Arena, la stagione lirica crea un indotto di circa 400 milioni di euro l'anno. Eppure, sul fronte della partecipazione finanziaria Confindustria, la Camera di Commercio e gli organismi di rappresentanza di questa attività economiche elargiscono all'Arena di Verona poco più di un milione di euro l'anno. È chiaro che qualcosa non ha funzionato e continua a non funzionare ma il provvedimento non offre risposte in questo senso.

E poi mi permetto di utilizzare un ultimo minuto per segnalare i casi che riguardano non solo l'Arena di Verona, ma anche il Maggio Fiorentino. A oltre mille lavoratori tra fissi e stagionali è stata chiesta la restituzione dei premi aziendali del 2015, nonostante vi fossero state precise assicurazioni ai lavoratori da parte delle stesse fondazioni che avevano anche manifestato la propria contrarietà ai Ministeri coinvolti circa la restituzione di somme percepite e ovviamente già impegnate dagli stessi lavoratori. Ebbene, questa voce, quella dei lavoratori, quella delle fondazioni è rimasta inascoltata. Tale restituzione potrebbe costare agli stessi lavoratori migliaia di euro: ebbene per loro non c'è una risposta o, meglio, c'è una risposta molto precisa da parte del Ministero. La risposta è “no”, ovvero dovranno pagare, andando così ad incidere pesantemente sulla loro retribuzione già ingiustamente tagliata nel precedente triennio e per alcuni, come i lavoratori della Fondazione Arena, tagliata in virtù del fatto che occorre rientrare e, quindi, questi lavoratori non percepiscono due mesi di stipendio l'anno come invece a loro spetterebbe, cioè loro si sono fatti partecipi del fatto che per salvare la Fondazione fosse giusto un sacrificio da parte loro. Purtroppo però ci sembra di osservare troppo spesso che il sacrificio sia sulla pelle dei lavoratori e non di chi ha gestito che invece, come cattivi amministratori, continuano a non pagare la propria scelta.

Insomma – concludo - si tratta di misure estremamente settoriali inserite in un ottica emergenziale, priva di grande respiro; dobbiamo, con grande rammarico, riconoscere che siamo in presenza di un provvedimento timido, limitato, carente, tardivo, senza coraggio, come molti altri in questo anno. Un provvedimento che riflette un'impostazione di fondo che relega il tema della cultura a un tema marginale, secondario, nella vostra visione strategica del nostro Paese e in questo noi ci fregiamo di essere stati molto differenti appunto proprio a proposito della visione strategica del Paese.

Sono dunque tempi difficili per la cultura con conseguenze negative anche per l'intera società perché, come rilevava uno scrittore, Ronald Dworkin, in uno dei suoi ultimi libri, sono proprio l'istruzione e la cultura a rendere possibile la democrazia: non investire in questi settori impoverisce e compromette le condizioni di vita democratica di un Paese. Pensateci.