Dichiarazione di voto finale
Data: 
Mercoledì, 8 Giugno, 2016
Nome: 
Chiara Gribaudo

A.C. 2874-B

Presidente, onorevoli colleghi, quello che ci apprestiamo a votare oggi è un provvedimento, una legge importante nata da un lungo confronto nei passaggi parlamentari. L'approvazione di questo provvedimento intende, quindi, rappresentare un atto meditato, ma concreto di contrasto ad una delle forme più sottili e striscianti della diffamazione razziale, della xenofobia a sfondo antisemita e non solo e, in genere, dell'incitazione all'odio. Il razzismo e la xenofobia in ogni forma e manifestazione sono, infatti, incompatibili con i valori su cui si fonda il nostro Paese, espressi in molte forme nella nostra Carta costituzionale, nella nostra convinta appartenenza all'Unione europea e nella ratifica dell'Italia dei numerosi trattati internazionali in tema. Alla base del nostro vivere civile c’è l'importanza vitale di combattere ogni forma e manifestazione di discriminazione razziale; anche la Corte europea dei diritti dell'uomo ha sottolineato la necessità di sanzionare o perfino prevenire nelle società democratiche le forme di espressione che diffondono, incitano, promuovono o giustificano l'odio basato sull'intolleranza. Per uno Stato di diritto, per una Repubblica che da pochi giorni ha festeggiato i 70 anni di vita democratica gli strumenti con cui farlo non sono, tuttavia, indifferenti. Ecco perché si è operata una scelta. La presente proposta non modifica, infatti, il codice penale, introducendo, come in passato era anche stato proposto, una nuova tipologia di reato per il negazionismo, seppure quest'ultimo sia presente in svariati ordinamenti, dalla Francia, alla Germania, all'Austria, al Belgio, alla Svizzera, alla Polonia, alla Romania, alla Slovacchia, alla Repubblica Ceca, fino al Canada e all'Australia, una diffusione quindi che va ben al di là dei Paesi che, come si potrebbe banalizzare, sono stati direttamente teatro dell'orrore nazista. Il presente disegno di legge si pone, invece, l'obiettivo di modificare l'articolo 3 della legge n. 654 del 13 ottobre 1975 e lo fa per un profilo specifico: il contrasto di quelle azioni discriminatorie che trovano origine nella negazione o minimizzazione del genocidio degli ebrei e di quello di altre minoranze che costituiscono uno degli aspetti più odiosi delle pratiche razziste. Purtroppo, i gravi episodi anche recenti di aggressione e denigrazione a sfondo razziale di cui sono teatro molte delle nostre comunità locali ne sono una continua riprova. Viene prevista, pertanto, un'aggravante di pena detentiva fissata da due a sei anni nei casi specifici di propaganda, ovvero di istigazione e di incitando, che si basi, in tutto o in parte, sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, fattispecie, quindi, precise ed identificabili anche grazie all'esplicito rimando agli articoli 6, 7 e 8 dello Statuto della Corte penale internazionale che ne recano una precisa elencazione. Abbiamo operato questa scelta per una ragione molto semplice e molto chiara; in discussione, qui, non ci sono le opinioni in sé, nemmeno le più odiose ed aberranti, né la libertà di esprimerle; la storia per noi non la devono scrivere né i Parlamenti, né i tribunali; il miglior giudice di opinioni contro l'uomo e la società sono l'uomo e le società stesse, attraverso la testimonianza, la memoria, lo studio e la cultura. 

Veniamo così incontro, a nostro giudizio, positivamente, al dibattito che negli anni, anche negli ultimi mesi, si è sviluppato; un dibattito che ha visto attivamente coinvolta gran parte della comunità scientifica, sia quella storica che quella giuridica, la quale ha portato molti validi argomenti. 
La vitalità e la reattività su questi temi sono sempre un buon segnale, da proteggere ed alimentare in un Paese che con la propria storia – dobbiamo dircelo – non ha mai fatto i conti fino in fondo. Questa legge non guarda perciò a ieri, ma ad oggi e a domani; guarda alle concrete azioni violente che in ragione di falsi miti danno luogo ad un concreto pericolo di diffusione del morbo della discriminazione: un morbo, questo, contro il quale le nostre società, in risposta all'orrore di cui sono state testimoni e in molti casi artefici, devono combattere a 360 gradi. Non è un caso – e lo voglio ricordare anche in questa circostanza – che sempre l'articolo 3 della legge n. 654 del 1975 è lo stesso interessato da un'altra proposta di modifica, che abbiamo approvato in quest'Aula ed è ora in discussione al Senato: quella per l'introduzione dell'aggravante dell'omofobia. Le discriminazioni, la negazione del diritto alla differenza, e spesso alla stessa esistenza di altri gruppi o individui, si tengono sempre la mano: così come è accaduto nei campi di concentramento, dove sono stati perseguitati insieme ebrei, oppositori politici, omosessuali, minoranze etniche e disabili. 
Oggi le forme possono essere nuove, favorite ad esempio dagli strumenti di comunicazione, ma i contenuti sono sempre quelli: donne, omosessuali, immigrati, disabili ed ebrei; sono questi i gruppi oggetto di messaggi violenti e discriminatori in Italia, nel Nord come al Centro come al Sud. Ce lo dice la mappa dell'intolleranza in Italia, che è disegnata dalla ONLUS Vox con le università di Milano, di Roma e di Bari: in otto mesi, oltre 2 milioni di tweet sono stati estratti evidenziando la diffusione montante e trasversale dei messaggi violenti e razzisti, purtroppo sempre più correlati con la manifestazione di episodi di violenza. La misura in discussione dà in ogni caso applicazione, con sei anni di ritardo sui termini, alla decisione quadro europea n. 913 del 2008, assunta dal Consiglio per combattere tutte le forme e le espressioni di razzismo e xenofobia: un atto obbligatorio, che è stato approvato all'unanimità dai membri dell'Unione europea dopo sette anni di negoziati, ad ulteriore riprova della complessità del tema e dell'attenzione posta soprattutto alla tutela dei diritti di opinione, in ordine alla loro diversa articolazione nei vari ordinamenti. 
Nondimeno, proprio nell'articolo 1 della detta decisione quadro si richiede agli Stati europei di intervenire contro l'apologia e la negazione dei crimini contro l'umanità. Il 27 gennaio 2014 simbolicamente era stato pubblicato il rapporto della Commissione europea sull'attuazione di tale decisione quadro: «A quanto consta attualmente – scriveva la Commissione in quella sede – diversi Stati membri non hanno recepito in pieno o correttamente tutte le disposizioni della decisione quadro, in particolare quelle sui reati di negazione, apologia o minimizzazione grossolana di determinati crimini. Le disposizioni sull'istigazione all'odio e alla violenza di stampo razzista e xenofoba vigenti nella maggior parte degli Stati membri non sempre inglobano pienamente i reati previsti dalla decisione quadro; si riscontrano inoltre alcune lacune anche per quanto riguarda la motivazione razzista e xenofoba dei reati, la responsabilità delle persone giuridiche e la giurisdizione»; rilievi che erano stati mossi anche al nostro Paese, proprio per quanto riguarda l'articolo 1 della decisione, che impone di adottare le misure necessarie affinché sia resa punibile l'apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, quali definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale. 
La scelta in primis del Partito Democratico è stata quindi legata alla volontà di colmare una chiara e non più prorogabile mancanza, nella piena consapevolezza della necessità di agire nel rispetto dell'articolo 21 della nostra Carta costituzionale. Il Parlamento interviene quindi oggi con determinazione, ma al contempo con tutta l'attenzione e la delicatezza che sono necessarie in simili materie. L'Italia, con l'approvazione definitiva di questa norma, si unirà così, dopo una lunga attesa, ai molti Paesi in cui la negazione di una realtà storica verificabile e verificata, documentabile e documentata, e pertanto incontrovertibile qual è lo sterminio sistematico nei confronti del popolo ebraico, non può costruire base per la legittimazione di altra violenza: una posizione ribadita anche da alcune recenti risoluzioni dell'ONU, approvate quasi all'unanimità dai Paesi del mondo, compreso il nostro, e che per noi si aggiunge alla negazione dei crimini contro l'umanità che costituiscono la base dell’acquis consolidatosi nella comunità internazionale dopo gli orrori della seconda guerra mondiale. Razzismo, discriminazione e xenofobia costituiscono, ieri come oggi, violazioni dirette dei principi di libertà, di democrazia e di rispetto dei diritti dell'uomo. 
In conclusione, specie guardando alle nuove generazioni, dobbiamo domandarci come combattere l'odio razziale nel mondo d'oggi, e come spiegare innanzitutto a loro che la Shoah non è, come qualcuno ha detto, un'invenzione, e se mai dobbiamo continuare a rimanere estremamente vigili perché la storia dell'orrore può ripetersi. Non c’è alcun dubbio, allora, che per un compito simile le leggi da sole non bastano, e non possono esaurire il nostro sforzo; ma le leggi, specie se scritte con attenzione e rispetto, possono supportare ed integrare la battaglia che è innanzitutto culturale, etica e politica: una battaglia che dobbiamo continuare a condurre per creare gli anticorpi necessari, capaci di estirpare o almeno ridimensionare ed emarginare le posizioni negazioniste. Per questo noi diciamo «no» al negazionismo, dicendo «sì» alla proposta in esame. Annuncio pertanto il voto favorevole del Partito Democratico.