Discussione sulle linee generali
Data: 
Martedì, 21 Giugno, 2016
Nome: 
Susanna Cenni

A.C. 3828-A

Con la modifica delle norme che regolano la legge di bilancio, e che oggi aggiorna un testo antecedente l'avvio del processo di riforma dell'ordinamento contabile avviato con la legge costituzionale 20 aprile 2012, credo che stiamo facendo una buona cosa per il lavoro parlamentare e per l'azione di Governo, nonché per l'interesse di questo nostro Paese. 
Il Presidente, nonché relatore e attore principale di questa modifica ha già illustrato ampiamente i contenuti del testo che andiamo ad esaminare. 
Mi preme sottolineare che è stato svolto un lavoro accurato, mesi di ascolto, affinamento, audizioni, discussione, ed un lavoro coordinato con il Governo e con il varo dei due decreti legislativi in materia, e che si è raggiunta una ampia convergenza, così come dovrebbe appunto essere, poiché quando si aggiornano norme come quelle di bilancio o altre regole generali e fondamentali del funzionamento dello stato non si dovrebbe mai assumere una lettura di parte. 
Credo che ciò sia in gran parte avvenuto con la discussione, e con adeguati aggiustamenti ed integrazioni nella fase emendativa dei lavori in commissione. 
Stiamo quindi votando una norma che consentirà di avere finalmente un unico documento di bilancio che supererà la suddivisione tra legge di stabilità e legge di bilancio, un unico documento che sarà la guida della politica economica e finanziaria del Paese, una prima parte normativa, ed una seconda parte con prospetti relativi ai singoli ministeri, unità di missione, programmi, azioni. Si supererà la distinzione tra competenza e cassa, e rappresenterà quindi una lettura più realistica della contabilità dello Stato. 
Scompariranno le clausole di salvaguardia, ed alcune pratiche non sempre edificanti che hanno visto micronorme inserite nella legge di stabilità, si escluderà l'utilizzo dei fondi del 5 e dell'8 per mille per esigenze di bilancio, si consentirà l'accesso alle banche dati degli enti e dei ministeri dello Stato ai deputati permettendo trasparenza e conoscenza adeguata delle entrate, delle uscite, dell'utilizzo delle risorse pubbliche. 
Il testo accoglie anche il lavoro svolto dal Governo con i due decreti legislativi che attuano la delega del 2009. 
Le norme come noto modificano anche il timing della sessione di bilancio, valorizzando il lavoro parlamentare. 
Una buona cosa quindi. 
Ma accanto alle modifiche strutturali e di programmazione finanziario, contabile ci sono due aspetti che innovativi sui quali desidero soffermarmi, che ritengo introducano una sperimentazione, che auspico giungano a regime in tempi brevi: mi riferisco all'introduzione, accanto al Documento di Economia e Finanza dell'andamento degli indicatori di Benessere Equo e Sostenibile, (articolo 1, lettera f)), comma); introdotto con un emendamento a mia prima firma, sottoscritto da molte colleghe, che interviene su quanto già inserito con la legge n. 196 del 2009, come modificata dalla legge n. 39 del 2011, che prevedeva l'introduzione in via sperimentale di un bilancio di genere, volto a valutare il diverso impatto su uomini e donne della politica di bilancio, ed inserisce all'articolo 2, dopo il comma 5, un monitoraggio di fatto sulle esperienze già adottate nei bilanci di genere degli enti territoriali, e impegna il Ministro dell'economia e delle finanze a trasmettere ogni anno al Parlamento una relazione sullo stato della sperimentazione e sui risultati dell'adozione definitiva. 
Mi soffermo su queste due novità, perché ritengo di non esagerare se le definisco dimensioni che ci aiutano a leggere meglio la realtà del Paese ogni volta che allochiamo risorse, e che avvicinano i numeri e la programmazione economico e finanziaria alla loro ricaduta sugli esseri umani, uomini e donne, sulla società, sull'ambiente. 
Mi rendo conto che è facile sorridere in un'epoca nella quale la salita o la discesa di uno zero virgola del Pil anima dibattiti infiniti, colora di grigio o di rosa le nostre prospettive di crescita, ma queste innovazioni e la capacità che avremo o meno di farle divenire vere chiavi di misurazione del benessere sociale del nostro Paese e non allegato ininfluente alla legge di bilancio, dimostreranno la capacità dei Governi di assumere una lettura del Paese e dei mutamenti a 360 gradi. 
Si tratta di novità che ci consentono di guardare di più al bilancio non solo come prospetto tecnico contabile, come documento rispondente o discostante dai vincoli finanziari Ue, ma anche come combinato del documento fondamentale di programmazione della politica economica e di bilancio, che ovviamente traccia le linee degli impegni assunti in materia di finanza pubblica, di politiche pubbliche, di riforme, ed una nuova possibilità rappresentata dall'andamento degli indicatori di benessere equo e sostenibile e del bilancio di genere. 
Sulla prima novità, il BES, esistono proposte di legge di iniziativa parlamentare (Marcon, che sono lieta di aver sottoscritto) che quindi viene raccolto dal testo in discussione e c’è un lavoro già svolto da Censis e Istat, a partire dal 2010. Lavoro che ha prodotto un insieme di indicatori, e da 12 dimensioni del benessere che vanno dalla salute all'istruzione, la formazione, il lavoro, la qualità dei servizi, la dimensione di genere ecc..., e 130 indicatori di base, che ha consentito di giungere alla predisposizione di un Rapporto annuale (il primo pubblicato nel 2013). Come ci hanno ricordato sia Istat che l'ufficio Parlamentare di Bilancio durante le audizioni: 
Il fondamento di questa impostazione va ricercato nell'approccio multidimensionale al benessere sociale, che estende l'analisi dalle variabili di natura strettamente economico-monetaria ad altri aspetti socio-economici dello sviluppo umano e promuove la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali. Tale approccio ha stimolato lo sviluppo di analisi empiriche volte alla costruzione di indicatori multivariati di benessere, primo fra tutti quello dell'United Nation Development Program (1990), che sintetizza nell'indice di sviluppo umano la combinazione di tre indicatori (aspettativa di vita, istruzione e reddito pro-capite). L'OCSE ha lanciato il programmaBetter life (2011), che considera tre ambiti (condizioni materiali, qualità della vita, sostenibilità), e undici dimensioni. La Commissione Europea ha avviato l'iniziativa Beyond GDP (2007) e ha preparato la Comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo «GDP and beyond: Measuring progress in a changing world» 14. Anche molti paesi hanno proceduto a costruire indicatori di benessere. Il caso forse più rilevante è quello della Francia, dove nel 2008 è stata insediata una Commissione presieduta da tre economisti (J.F. Stiglitz, A. Sen e J.P. Fitoussi). Il rapporto finale della Commissione affronta le questioni che emergono nella valutazione della qualità della vita e dello sviluppo sostenibile (anche dal punto di vista ambientale), oltre a fornire una serie di raccomandazioni. Le dimensioni prescelte sono le condizioni materiali di vita, la salute, l'istruzione, le attività personali (tra cui il lavoro), la partecipazione alla vita politica, i rapporti sociali, l'ambiente (anche quello futuro), l'insicurezza (economica e fisica). 
Questione diversa dalla costruzione degli indicatori di benessere è il loro utilizzo. In questa prospettiva si può distinguere un uso di tipo «simbolico», quando si mira a rappresentare il progresso di una collettività, da un impiego di tipo «politico», se il tema dello sviluppo sostenibile entra nel dibattito pubblico sulla valutazione dell'azione del governo, da, infine, un utilizzo «strumentale», quando gli indicatori assumono un ruolo nell'attuazione e nel monitoraggio di specifiche politiche pubbliche. 
Un tentativo di utilizzare alcuni indicatori addizionali rispetto al PIL nell'ambito del processo di decisione politica è stato compiuto nella UE con gli obiettivi della Strategia Europa 2020. Tale programma comprende infatti cinque obiettivi quantitativi, da realizzare entro il 2020 (occupazione; ricerca e sviluppo; clima ed energia; istruzione; integrazione sociale; riduzione della povertà) e sette iniziative prioritarie (innovazione; economia digitale; occupazione; giovani; politica industriale; povertà; uso efficiente delle risorse), e si innesta nel quadro del semestre europeo, nell'ambito del quale vengono coordinate le politiche economiche e di bilancio dei paesi della UE. La realizzazione di questa strategia, che pure comprende finalità sociali e ambientali, è stata posta fortemente in discussione dalla crisi e dalle politiche di riequilibrio delle finanze pubbliche, cui è stata attribuita la priorità in ambito UE, tanto che in alcuni paesi gli obiettivi sono lontani dall'essere stati raggiunti. 
Questo approccio, a sua volta, trova una base teorica nel lavoro di A. Sen che, nel sostituire all'ipotesi di massimizzazione dell'utilità – spesso misurata in termini monetari – quella dell'estensione delle opportunità offerte e dell'accrescimento della libertà degli individui, ha posto in discussione la focalizzazione esclusiva sul reddito e sul suo accrescimento. 
Altri tentativi di inserimento degli indicatori «oltre il PIL» nell'agenda politica sono stati portati avanti, seppure a uno stadio ancora preliminare, in alcuni paesi. In Francia, l'Istituto nazionale di statistica (INSEE) ha elaborato un «cruscotto» di indicatori, pubblicato anche nel Rapporto sulla situazione economica, sociale e finanziaria, allegato alla legge finanziaria. Inoltre, a seguito dell'impostazione del bilancio per missioni e programmi, è stato previsto di allegare alla legge finanziaria dei progetti annuali di performance per ogni programma, corredati di appositi indicatori, da calcolare anche in previsione. Si tratta di una strategia che può contribuire a evidenziare l'evoluzione di diversi aspetti del benessere, ma che ancora non sembra avere raggiunto una fase di maturità. In Belgio, una legge del 2014 ha previsto di sviluppare indicatori complementari al PIL, pubblicati per la prima volta dall'Istituto nazionale di statistica e dal Federal Planning Bureau nel febbraio dell'anno in corso. L'Australia si è attivata fin dai primi anni 2000 producendo un cruscotto di indicatori che riscuote l'interesse del pubblico e dei media e viene di fatto utilizzato dai policy makers. Nel Regno Unito un cruscotto è stato realizzato a partire dal 2011, con pubblicazioni mensili; alcuni indicatori vengono utilizzati nella decisione politica. In Germania, indicatori e proposte di utilizzo sono stati discussi da una Commissione parlamentare di studio, che ha proposto la pubblicazione di un rapporto annuale sul benessere. 
In Italia, dopo alcune esperienze da parte di soggetti privati, tra cui si ricordano la classifica sulla qualità della vita nelle province del quotidiano Il Sole 24 ore (dal 1990) e l'indice di qualità dello sviluppo regionale (QUARS) della campagna Sbilanciamoci ! (dal 2003), l'iniziativa più rilevante è stata quella congiunta di CNEL e ISTAT, con l'istituzione di una apposita Commissione scientifica di esperti. Si è giunti come sopra richiamato alla costruzione del BES, l'indicatore di benessere equo e sostenibile, elaborato ormai sistematicamente dall'ISTAT, che comprende dodici settori (domini19) e 130 indicatori di base. 
Con la proposta di legge in discussione si delinea in buona sostanza il passaggio da un uso «simbolico» a un utilizzo «politico» e «strumentale» degli indicatori di benessere. Si prevede infatti che gli strumenti di misurazione del benessere entrino nella programmazione di bilancio in due occasioni: in allegato al DEF deve essere riportato l'andamento degli «indicatori di benessere equo e sostenibile adottati a livello internazionale», sia nell'ultimo triennio, sia nel periodo di previsione, anche sulla base delle misure previste dalla manovra e dal Programma nazionale di riforma (PNR); entro il 15 febbraio, deve essere presentata alle competenti Commissioni parlamentari una Relazione sull'andamento degli stessi indicatori sulla base degli effetti della legge di bilancio approvata per il triennio in corso. 
Si tratterrebbe dunque di rendere disponibili le informazioni sulle molteplici dimensioni del benessere, presentando anche l'andamento degli indicatori in previsione, sia con riferimento al quadro tendenziale (a febbraio, sulla base del bilancio già approvato), sia per scenari programmatici, comprensivi delle politiche di bilancio e strutturali che si intende adottare (nel DEF). In tal modo, si arricchirebbe grandemente il contenuto informativo dei documenti di bilancio in tema di indicatori di benessere: attualmente, il PNR include un paragrafo dedicato al confronto tra i targetdi Europa 2020, nonché gli obiettivi nazionali, e i risultati finora realizzati; mentre in appendice viene spiegata la strategia di avvicinamento ai target, affiancando a questi la descrizione delle misure volte a perseguirli. Si osservi inoltre che il PNR presentato ad aprile del 2015 conteneva, in un riquadro, una selezione di indicatori del BES. 
Circa la seconda novità: l'introduzione (oltre alla sperimentazione del Bilancio di Genere) del monitoraggio nelle amministrazioni dello stato e negli enti territoriali, e la redazione della relazione da parte del Mef da trasmettere alle Camere, vorrei ricordare che sono quasi 15 anni che amministratrici locali, giuriste ed economiste italiane lavorano sul tema, sperimentano, con un tentativo dell'ultimo governo Prodi di leggere in chiave di genere, appunto il Bilancio dello Stato. Tentativo purtroppo rimasto tale per la caduta del Governo. 
La sfida di una analisi della spesa e delle entrate dello stato con riferimento alla diversità che gli effetti producono su uomini e donne, discende dalla Conferenza Mondiale delle donne di Pechino del 1995 l'impegno a «promuovere l'indipendenza economica delle donne per mezzo di cambiamenti nelle strutture economiche» e nel loro accesso alle risorse produttive. Da allora la Commissione Europea ha adottato il Gender Budgeting come strumento principe dell'orientamento di genere nelle politiche pubbliche, molti Stati Europei hanno compiuto passi rilevantissimi nel 2009 l'Austria ha costituzionalizzato il principio del bilancio di genere 8art 13 e 51) ed ha costituito uno degli assi portanti della riforma di bilancio varata nel 2010; il Belgio nel 2007 adotta una norma che integra la dimensione di genere nelle politiche pubbliche e introduce il bilancio di genere. Con una circolare del 2010 illustra nel dettaglio gli obiettivi che si pone; la Germania ha visto per lo più comuni e regioni lavorare con il criterio del Bilancio di genere, il Land di Berlino ha inserito il Gender Budgeting nella procedura di bilancio. 
La Svezia, ha inserito diffusamente la sperimentazione. 
UE ha recentemente prodotto uno studio che si chiama «il Bilancio Europeo per la Parità di genere (28.05.2015), ripreso anche nella relazione della Commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere al Parlamento europeo dello scorso 23 febbraio. 
Come dicevo in Italia sono numerose le esperienze avviate territorialmente, ed anche in alcune parti dell'amministrazione dello Stato, ma sino ad oggi in assenza di un ruolo del Governo Centrale, senza quindi elaborare e produrre linee guida, modelli, criteri, indicatori. Tutto ciò potrebbe portare in tempi brevi alla fine anche delle buone pratiche attivate che vanno dall'impatto delle politiche sociali a quello dei provvedimenti fiscali ecc... 
L'inserimento degli impegni per il Mef è un inizio, certamente non l'arrivo di una scelta che guarda non tanto alle donne, quanto alle diseguaglianze, partendo dal presupposto che le diseguaglianze rappresentano un costo sociale ed economico, (noti i dati su pil e più donne occupate) ed una negatività da rimuovere, e che il bilancio di genere è uno strumento per migliorare le performance della spesa pubblica. 
Non possiamo fermarci qui, l'obiettivo non può che essere la definizione di linee guida per l'amministrazione centrale e le amministrazioni locali. Mi aspetto su questo un lavoro della neo Ministra PO congiuntamente al Mef, ma credo che la Commissione Bilancio, con apposita indagine conoscitiva potrebbe fornire un contributo attraverso un atto di indirizzo. 
Concludo, in questi ultimi anni e dentro una crisi che ha fatto molto male alla vita delle persone, i vincoli di bilancio, i «compiti a casa», le lettere dell'Unione europea, le scelte della Banca Europea, del FMI, hanno contribuito a rendere le politiche di bilancio vissute dai cittadini come vere e proprie vessazioni più che come opportunità di programmare crescita, benessere, futuro. 
Cop21 da un lato, Expo e la Carta di Milano dall'altro, i lavori di economisti di rango che tentano di innovare la programmazione economica con chiavi non più scindibili dalla sostenibilità ambientale e sociale, (Stiglitz ed altri), la denatalità in occidente e l'esplosione demografica in altre aree del mondo, i fiumi migratori, ed ancora la sfida trasversale di un mondo capace di leggere le differenze tra i generi come ricchezza, oggi ci chiedono di dimostrare il valore del nostro Paese percorrendo strade nuove che non possono continuare ad essere semplicemente accessorio irrilevante. 
È un inizio, ma credo che queste novità, Bes e Bilancio di genere, ci aiuteranno a rendere anche le politiche di bilancio più vicine alla vita quotidiana delle persone, degli uomini e delle donne, ed a rappresentare e rimuovere le diseguaglianze e le distorsioni che continuano a caratterizzare i processi economici.