Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 22 Giugno, 2015
Nome: 
Fabrizia Giuliani

A.C. 925-C

Signor Presidente, colleghi, membri del Governo, con l'esame di questo provvedimento tornato in aula dopo il passaggio e le modifiche apportate dal Senato ci avviamo a concludere il lungo iter di una norma complessa e delicata, già discussa senza esito nella scorsa legislatura. 

Affrontare il tema della parola pubblica e dei limiti della libertà di espressione impone un'attenzione particolare, resa ancora più necessaria dalle conseguenze che l'impetuoso sviluppo tecnologico ha avuto sul mondo dell'informazione e suoi rapporti tra quest'ultimo e la Politica. 
Come ho già avuto modo di sottolineare nell'ottobre del 2013, a mio avviso, le principali modifiche della normativa riguardano, l'eliminazione della pena detentiva – fatto di grande valore –, la pubblicazione delle rettifiche senza commento e l'applicazione della legge anche ai siti Internet di natura editoriale e, naturalmente, la sanzione che va a sostituire la pena detentiva. 
Vi è poi, questione anch'essa di rilevante importanza, il rafforzamento del nesso di causalità fra i doveri di vigilanza del direttore e i delitti commessi. Poi in particolare, vorrei soffermarmi sull'importanza di due aspetti del provvedimento: l'estensione della pena applicativa anche ai siti Internet e l'eliminazione della pena detentiva. Il primo è stata un'importante messa a punto della proposta di legge e ha incluso anche le testate giornalistiche online, che oggi rappresentano un punto di riferimento importante, specie per i più giovani. 
Il secondo, eliminando la pena detentiva, ci porta a rispettare e ad applicare norme e sentenze europee sul tema: insomma, finalmente ci allineiamo all'Europa. 
Articolo 11 della «Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea» diventata vincolante nel 2009 con il Trattato di Lisbona dice espressamente che: 
1. Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. 
2. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati.

Mentre l'articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo sancisce a sua volta il diritto di espressione e ribadisce che l'esercizio di questa libertà comporta doveri e responsabilità. 

Gli Stati possono controllare tramite le leggi il rispetto di questa libertà, ma anche l'adempimento degli oneri, purché questi ultimi siano proporzionati alla responsabilità. 
Su questo ultimo punto si è già pronunciata, con molta autorevolezza, la Corte di Strasburgo, secondo la quale le pene detentive non sono considerate compatibili con la libertà di espressione perché il carcere ha effetti deterrenti sulla libertà dei giornalisti di informare. 
La libertà di informazione è il risultato di un processo iniziato con la diffusione della stampa molto tempo fa e si è affermato come principio costituzionale, però, solo nel XVIII secolo. Le tappe che più ce lo ricordano sono la Dichiarazione dei diritti umani del 1789 e questo punto, che ormai è diventato il pilastro della Costituzione americana, del 1791. Oggi da tutta la sensibilità moderna è considerato cartina di tornasole della natura democratica di uno Stato e del livello di libertà dei propri cittadini. Devo dire che anche nel nostro Paese al riguardo ne sappiamo qualcosa. 
L'accesso ad un'informazione indipendente, libera e plurale è un requisito fondamentale per il pieno esercizio della cittadinanza. La tutela della dignità umana è principio sancito dalla Costituzione. Da una parte, quindi, siamo chiamati a contemperare il diritto della collettività ad essere informata e, dall'altra, quello dei giornalisti di informare. Dall'altra parte ancora dobbiamo tutelare in ogni modo il diritto del singolo a non essere diffamato: dovere di raccontare contro il diritto a non essere vittima di una macchina del fango, episodi che sempre più sono sotto i nostri occhi e che molto direttamente ci toccano. 
Questo è quello che abbiamo cercato di fare come gruppo del Partito Democratico in Commissione giustizia: trovare un punto di equilibrio tra la tutela della dignità delle persone e il diritto di cronaca. No alla reclusione, ma sì a sanzioni più congrue, più adeguate, con un rafforzamento del codice deontologico, una responsabilizzazione degli autori, ma anche dei direttori, che hanno il dovere di vigilare sui contenuti delle loro testate. 
C’è un altro punto su cui vorrei richiamare la vostra attenzione: era necessario adeguare questa norma ai tempi, alle richieste di una coscienza civile che riconosce nell'informazione libera, senza condizionamenti, una risorsa indispensabile, imprescindibile per il funzionamento della vita democratica. Sono cambiati lo spazio e il tempo nella nostra percezione e la nostra possibilità di comunicare li ha modificati profondamente. Che le parole siano pietre lo abbiamo sempre saputo, ma oggi forse le parole pesano di più e possono di più, corrono più velocemente e al contempo restano tra noi più a lungo. Questo è un fatto che la rete ogni giorno ci mostra. Racconto e narrazione sono ormai categorie politiche e l'informazione contribuisce in maniera determinante alla costruzione di questo racconto, che è collettivo e individuale; deve poterlo fare in libertà, deve avere la sicurezza di poterlo fare senza condizionamenti, ma al contempo deve sentire la responsabilità della propria azione. 
Si elimina un controsenso, un paradosso che rischiava ancora una volta di distinguerci in modo negativo in ambito europeo. Il fatto che una legge a tutela della libertà di stampa potesse contemplare la privazione della libertà, pur se circoscritta a casi limitati, era uno scandalo. Cancellare questa norma è una tappa fondamentale e ha un grande valore civile, del quale tutti dovremmo essere consapevoli, anche chi ha dei dubbi intorno a questo voto. 
Si è cercato al contempo di risolvere il delicato tema delle querele temerarie, che possono diventare strumenti intimidatori in grado di condizionare le inchieste e la libera circolazione delle informazioni, impedendo di portare alla luce gravi fenomeni illegali. 
Lo si è fatto introducendo una responsabilità civile aggravata a carico di colui che promuove un'azione risarcitoria priva di consistenza per diffamazione a mezzo stampa e prevedendo oltre che al rimborso delle spese e al risarcimento a favore del convenuto, anche il pagamento di una somma determinata dal giudice in via equitativa. 
E in questo senso ritengo importante anche l'introduzione dell'articolo 6 che abbiamo disposto in Commissione Giustizia, che riconosce la qualifica di privilegio generale sui mobili al credito vantato dal giornalista o dal direttore responsabile nei confronti dell'editore proprietario. Una misura volta a tutelare in qualche modo i giornalisti o i direttori che in caso di condanna al risarcimento per diffamazione non dolosa hanno il diritto di rivalersi di quanto pagato con l'editore, attribuendo a tale credito natura privilegiata. 
In un Paese come il nostro, così massicciamente segnato dall’«analfabetismo di ritorno», distinguere tra le fonti dell'informazione non è una cosa semplice. 
Abbiamo provato, in questa norma, ad operare questi distinguo, a distinguere quella che è l'informazione giornalistica, anche quando scivola su quel terreno appunto amorfo che qualche volta è la rete. Ma proprio qui occorre segmentare e distinguere, perché questa legge estesa al web non è del tutto estesa al web, ma è appunto limitata alle sole testate giornalistiche. 
Le parole sono pietre, le parole fanno. Diffamazione e calunnia sono i fili di una ragnatela che può avvolgere fino a soffocare ed è giusto che chi parla si assuma fino in fondo la responsabilità di ciò che dice. Le parole consentono di seminare l'intolleranza e, prima o poi, di questa intolleranza si colgono i frutti avvelenati. 
Il Talmud paragona la calunnia all'omicidio. I nazisti prima hanno scritto ciò che volevano fare e poi hanno fatto ciò che avevano scritto. Per riprendere due categorie che hanno attraversato il nostro dibattito in occasioni diverse, anche qui abbiamo a che fare con quel delicato crinale che è rappresentato dal rapporto tra il delitto e una cultura. 
Il processo di riforma che abbiamo avviato è volto ad introdurre un primo punto di equilibrio nel mondo dell'informazione. Deve proseguire. Questo per noi è un primo passo, è importante, perché ci porta ad allinearci con la normativa europea, ma restano molti nodi non risolti. Ma questi nodi non si risolvono solo con le leggi. 
Soltanto se riusciamo a ritrovare un equilibrio civile, un ethos condiviso, soprattutto da parte della stampa, che costituisce un fattore di equilibrio e regolazione rispetto a quello che invece è la rete. Responsabilità e professionalità giornalistica, che oltre alle regole, alle leggi e a dei codici, deve svolgere una funzione importante per l'orientamento dallo spazio pubblico, deve svolgersi liberamente. E per questo, solo questo consentirà all'informazione di dispiegarsi liberamente e diventare finalmente, anche in Italia, il pilastro fondante di una democrazia.