Dichiarazione di voto
Data: 
Martedì, 19 Maggio, 2020
Nome: 
Enrico Borghi

ignor Presidente, onorevoli colleghi, noi democratici siamo grati per l'occasione di discutere della centralità parlamentare. Per noi spendere anche in questa circostanza idee, opinioni e confronto attorno al tema delle logiche della centralità parlamentare non è mai un esercizio banale né retorico, e poco ci interessa se sia frutto di una convinzione strutturale o se, invece, sia figlio di una conversione tattica e occasionale. In questo frangente, a nostro giudizio, una coesione delle forze politiche sui fondamentali è più che mai opportuna, ci verrebbe da dire che è quanto mai necessaria. Il Paese ci guarda, ci giudica, e credo non si aspetti un dibattito sterile del cosiddetto teatrino della politica e delle posizioni pregiudiziali, ma si attende una classe dirigente all'altezza del momento e della complessità della fase che stiamo vivendo.

Noi democratici, signor Presidente, siamo da sempre parlamentaristi, non nel senso deteriore della parola, non parlamentaristi inteso come cultori di un luogo nel quale si esercita la demagogia di un capo carismatico, ma, al contrario, come il luogo dell'esercizio della sovranità e della volontà popolare secondo i canoni e secondo i limiti della democrazia e del nostro sistema di regole.

Quindi la centralità del Parlamento è certamente la supremazia delle Camere rispetto al Governo e, più in generale, rispetto a tutte le altre istituzioni statali. Però un dato è certo, signor Presidente: la centralità del Parlamento è il contrario di quella logica dei pieni poteri che nella scorsa estate alcuni amici e colleghi hanno evocato, ed è contraria alla logica del capo che da un bagnasciuga della patria intima la convocazione del Parlamento, minacciando i calci nel posteriore (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

E un altro dato è certo: la centralità del Parlamento è l'esatto opposto della logica con la quale in Ungheria Viktor Orbán governa per decreto a tempo indeterminato, oltre a prevedere otto anni di carcere per chi viola il coprifuoco e fino a dieci anni di carcere per gli oppositori a mezzo stampa.

Per la nostra Costituzione - lo ricordano gli articoli 55 e 139 - il Parlamento è la sede del potere legislativo e il Governo è il luogo del potere esecutivo, che dev'essere esercitato in via sussidiaria per dare attuazione alla volontà delle Camere. Come sappiamo, nella pratica - ce lo dicono 75 anni di storia - il confine è piuttosto labile. Nella Prima Repubblica, che qualcuno ha studiato e che altri hanno attraversato, questo sistema, come dire, di confine veniva esercitato da un potere trascendente, che era il potere trascendente dei partiti all'interno dei quali si definivano gli spazi, i limiti, gli indirizzi e trovavano, all'interno di questa definizione di un rapporto e di una dialettica tra Parlamento e Governo, una relazione di traduzione di intese politiche già assunte. Il nostro Regolamento, che risale al 1971 e che, non a caso, è fondato sulla logica dell'unanimismo, è figlio di questa epoca, di questa concezione, di questa modalità che oggi non c'è più.

Ecco, di fronte a questa dimensione noi ci siamo trovati di fronte a quello che alcuni analisti definiscono il “cigno nero”, cioè un evento imprevedibile ad alto impatto che nessuno poteva immaginare in queste dimensioni e in queste proporzioni. Di fronte a queste realtà forse occorrerebbe rileggersi le pagine della filosofia politica, tra la concezione di Carl Schmitt e dello stato di eccezione o quella di Kelsen e della necessità della frammentazione della leadership come elemento per la sostenibilità dell'essenza stessa della democrazia. Abbiamo già visto in passato cos'è accaduto quando si è invocata la strada dello stato di eccezione tout court. L'articolo 48 della Repubblica di Weimar, della Costituzione della Repubblica di Weimar, pure scritto da valenti democratici come Max Weber, consentiva che - leggo testualmente - “nel caso in cui la sicurezza dello Stato sia messa in pericolo, il Presidente ha facoltà di emanare leggi per decreto”. Sappiamo dove portò questa logica ed è per questo che la nostra Carta costituzionale introduce dei limiti allo stato di eccezione e alla temporalità della possibilità di assumere delle decisioni immediate, perché non vi è dubbio che di fronte a fenomeni come quello che abbiamo vissuto vi è stata l'esigenza di un potere rapido ed efficace e, quindi, al tempo stesso centrale e verticale e per converso - e qui è l'elemento di rispetto dalla Carta costituzionale - limitato.

È questo - dal nostro punto di vista - l'elemento che si circoscrive e si chiude nella cosiddetta “fase 1”, che ha trovato nella radice dei cosiddetti “DPCM”, con delle misure attuative autorizzate dalla legge, la propria estrinsecazione, perché - lo ricordo a qualche collega forse immemore - siamo stati noi, con il decreto-legge n. 6, a consentire che il Governo emanasse dei DPCM - leggo testualmente - “e di assumere ogni misura di contenimento e di gestione adeguata e proporzionata all'evolversi della situazione epidemiologica”. Quindi, non ci sono state fughe in avanti, non ci sono state rotture costituzionali; c'è stata un'estensione dei poteri flessibili della Costituzione nei limiti e nelle forme che la Costituzione prevede, tanto è vero che questi DPCM noi li abbiamo convertiti definitivamente in norma. Peraltro, rivendico l'azione del Partito Democratico e del gruppo del Partito Democratico, un'azione che ha fatto sì che questo elemento dei DPCM sia ascrivibile alla logica della eccezionalità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) e che, comunque, ponga il Parlamento in una logica di confronto dialettico con il Governo.

Però, signor Presidente, dobbiamo dircela tutta, e in questo il Governo non c'entra nulla. Torniamo indietro con il film a due mesi fa. Noi saremmo stati all'altezza, noi Parlamento della Repubblica con la nostra organizzazione barocca, con il nostro Regolamento risalente al Regno d'Italia, con le nostre modalità antiquate, di esercitare la rappresentanza popolare di andare fino in fondo rispetto ai termini di efficacia e di rapidità?

Probabilmente no. Probabilmente, signor Presidente, qualche inerzia, qualche eccessivo conservatorismo, di cui abbiamo avuto prova anche nell'intervento che mi ha preceduto, qualche attendismo, che ora speriamo venga definitivamente consegnato agli archivi, non ci ha consentito di essere rapidi come quest'Aula, questa Camera, avrebbe dovuto essere.

Concludo, signor Presidente. Noi siamo convinti che all'interno di questa complessa vicenda il Governo e il Parlamento si siano mossi nel solco delle guarentigie costituzionali esercitando, di fronte a un evento assolutamente eccezionale, la rappresentanza democratica che ci è stata attribuita, con la consapevolezza - lo diceva De Gaulle - che la Costituzione è al tempo stesso un'ispirazione, un testo e una pratica. Ebbene, la pratica, per chi ha la nostra responsabilità, non è quella dei seminari o delle discussioni retoriche ma, come ricordava Robert Kennedy, è quella del frastuono e del rumore della polvere dell'arena. Noi siamo obbligati a dover esercitare la traduzione delle nostre responsabilità in questo contesto ed è per questo che convintamente riteniamo di essere responsabilmente nel solco delle garanzie costituzionali e per questo motivo voteremo la mozione di maggioranza.