Discussione sulle linee generali
Data: 
Martedì, 29 Marzo, 2016
Nome: 
Alessandro Mazzoli

 A.C. 2212-A

Grazie, signor Presidente. Signora sottosegretario, onorevoli colleghi, la discussione che si apre oggi in Aula riveste un'importanza straordinaria perché riguarda uno degli argomenti più significativi per la vita dei cittadini e chiama direttamente in causa il grado di civiltà del Paese. 
La tutela e la valorizzazione delle risorse idriche e la loro gestione, secondo criteri di sostenibilità, efficienza, economicità e solidarietà, sono elementi che indicano il livello di maturità di una nazione e la sua capacità di corrispondere ai propri cittadini in termini di servizi appropriati, cioè in grado di preservare l'integrità e la qualità della risorsa idrica nel presente e per il futuro. 
Tutti sappiamo bene come l'acqua non sia una risorsa infinita e che nel mondo ci sono circa 750 milioni di persone non hanno accesso all'acqua potabile. Se poi si considera che, sebbene la terra sia composta da quasi un miliardo e mezzo di chilometri cubi d'acqua, solo il 2,5 per cento di essi è acqua dolce e meno dell'1 per cento può essere utilizzata dall'uomo come acqua potabile, si comprende facilmente come la risorsa idrica sia un bene limitato, che necessita di un uso razionale e responsabile. In questo senso, l'acqua non è soltanto una risorsa fondamentale, ma è, senza ombra di dubbio, un bene comune. 
Il Parlamento italiano interviene in materia di governo e gestione delle risorse idriche a distanza di 22 anni dall'approvazione della «legge Galli», la legge n. 36 del 5 gennaio 1994. La «legge Galli» fu concepita per riformare il comparto e consentire all'Italia di superare limiti e ritardi che riguardavano l'eccesso di frammentazione e disomogeneità nelle gestioni e l'assenza di una politica degli investimenti sulla rete che muovesse da una visione d'insieme dei problemi, delle criticità e delle esigenze. Basti considerare che nel nostro Paese la dispersione idrica è intorno al 35 per cento, che in termini assoluti vuol dire che oltre 3 miliardi di metri cubi di acqua, immessi ogni anno nella rete idrica nazionale, finiscono chissà dove. 
Dunque, dal 1994 prese avvio un processo che puntava a governare il ciclo industriale del servizio idrico, spingendo i comuni ad associarsi all'interno degli ambiti territoriali ottimali per realizzare forme di gestione unitaria e integrata. A distanza di oltre vent'anni, la riforma avviata con la «legge Galli» non ci consegna un processo compiuto, tutt'altro. Ci consegna luci ed ombre, pregi e difetti della strada intrapresa, pregi e difetti che investono, da un lato, le forme di gestione scelte dai singoli ambiti. A prescindere, infatti, dalla loro tipologia – gestioni pubbliche, pubblico-private o private – hanno pesato, per ciascuna di esse, la qualità delle gestioni, le professionalità investite, la forza dei soggetti gestori di andare oltre l'ordinario per affrontare la vera urgenza della rete idrica italiana, che sono gli investimenti per la modernizzazione delle infrastrutture. Ma i pregi e i difetti hanno riguardato anche il grado di consapevolezza delle comunità locali, il livello di coesione e di condivisione delle scelte, la capacità di superare quei fenomeni di localismo e di campanilismo che hanno impedito e impediscono di realizzare processi credibili di area vasta e anche questo al prezzo di procedure di infrazione da parte dell'Unione europea. 
Lo scorso 1o marzo 2016, in occasione di un'audizione presso la Commissione ambiente, proprio sullo stato e sulle conseguenze delle procedure di infrazione dell'Unione europea in materia ambientale, il Ministro Galletti ha evidenziato esattamente questi limiti, che sono già oggetto di procedure di infrazione da parte dell'Unione europea. La piena attuazione del servizio idrico integrato è, infatti, condizione indispensabile per rafforzare la governance complessiva delle risorse idriche in un'ottica di gestione integrata; migliorare la gestione del servizio idrico integrato delle acque secondo i principi di efficienza, efficacia ed economicità; migliorare la ricognizione delle infrastrutture esistenti, nonché la pianificazione, la progettazione e la conseguente realizzazione degli interventi; dare attuazione alle disposizioni e agli indirizzi comunitari e nazionali in materia di politiche tariffarie, al fine di generare introiti finanziari da destinare prioritariamente alla realizzazione degli interventi di depurazione e fognatura; accelerare la realizzazione degli interventi in materia di raccolta e depurazione delle acque reflue, anche al fine, appunto, di superare i contenziosi comunitari. 
Ora, è proprio la mancata piena attuazione del servizio idrico integrato in molte regioni interessate dal contenzioso europeo che ha messo in evidenza le difficoltà delle amministrazioni locali nell'adeguare la dotazione infrastrutturale. In particolare, si è manifestata l'incapacità progettuale, finanziaria e di spesa nella realizzazione degli interventi fognari e depurativi necessari all'adeguamento alla normativa europea di settore. 
Ad oggi, il Governo ha diffidato le regioni Calabria, Campania, Molise e Sicilia ad adempiere all'individuazione dell'ente di governo d'ambito e le regioni Abruzzo e Basilicata a provvedere alla piena ed efficace costituzione dei rispettivi enti di governo d'ambito, in quanto, sebbene identificati da diversi anni, non sono ancora operativi. 
Questo insieme di problemi che costituiscono il bilancio critico e difficile degli ultimi vent'anni, sono alla base della necessità di un nuovo intervento normativo in grado di orientare e completare un'opera di riforma del settore, tenendo presente, innanzitutto, la forte sensibilità dei cittadini intorno alla tematica dell'acqua, che richiama tutti all'assunzione di responsabilità per elaborare e proporre soluzioni funzionali, senza cercare scorciatoie che finirebbero per aumentare i problemi aperti piuttosto che ridurli. 
Non c’è dubbio, infatti, che dietro il risultato del referendum del giugno 2011 c’è fondamentalmente la grande attenzione e il grande interesse dei cittadini in merito alla risorsa idrica, al patrimonio che rappresenta, alla salvaguardia del bene e alla qualità della gestione. Ma che cosa abbiamo votato al referendum ? Con il referendum sono state abrogate due norme che riguardavano il servizio idrico: una vietava la gestione diretta e, quindi, pubblica del servizio idrico, perché imponeva la gara ad evidenza pubblica e l'affidamento a terzi della gestione del servizio; e l'altra garantiva una remunerazione minima certa dei capitali che finanziano i relativi investimenti. Dunque, qual è la situazione dopo il referendum ? Che la gestione può essere pubblica e che la remunerazione degli investimenti dipende dai tassi di mercato e dalla rischiosità delle opere finanziate. 
In questo quadro, io ho sempre considerato positivo e utile lo stimolo venuto dalla proposta di legge d'iniziativa popolare sulla ripubblicizzazione del servizio idrico, perché raccoglieva un sentimento diffuso nel Paese ed offriva un punto di vista in grado di favorire e orientare il confronto parlamentare. Per queste ragioni, ne sono stato uno dei firmatari. Dopodiché, l'idea per la quale, siccome è una legge di iniziativa popolare, allora il Parlamento non deve toccarla e deve approvarla così com’è, per me è un'idea non condivisibile, non certo per un atteggiamento di superiorità o di distacco che non mi appartiene e non ci appartiene, ma per la semplice ragione che è compito del Parlamento approfondire, innovare le norme, stando dentro il quadro di compatibilità nazionale ed europeo, e ragionare sulla sostenibilità e sull'opportunità di investire, nella migliore delle ipotesi, un miliardo di euro per acquisire dai privati le loro quote delle gestioni in essere. 
Voglio essere chiaro: se avessi la certezza di avere a disposizione un miliardo di euro, non lo regalerei ai privati; lo utilizzerei per rinnovare e ammodernare le reti e gli acquedotti del Paese, ben sapendo che l'Italia avrebbe bisogno, non di un miliardo, ma di almeno 20 miliardi di euro, per mettere in sicurezza le proprie reti e le proprie infrastrutture idriche. E, poi, la battaglia referendaria è stata vinta, perché ad una maggioranza di italiani è apparsa ingiusta l'idea di una privatizzazione forzata della gestione del servizio idrico. Ingiusta perché irrispettosa dell'autonomia e della libertà delle comunità locali di realizzare il proprio modello di governo e di gestione. 
Per lo stesso principio, dunque, non appare giusto sostituire l'obbligo alla privatizzazione con l'obbligo alla ripubblicizzazione. È nelle comunità locali, nel principio del buon governo che viene dal basso, che noi dobbiamo riporre fiducia, costruendo norme che aiutino le pratiche migliori. 
Dunque, noi abbiamo raccolto il mandato referendario e abbiamo delineato e costruito norme che offrono sia un orientamento chiaro del legislatore, sia gli strumenti per sostenere una gestione efficiente ed efficace del servizio idrico integrato. Il Partito Democratico, cioè, è stato in grado di tenere insieme una visione nazionale ed europea del problema con le esigenze dei comuni e dei territori di fornire ai cittadini un servizio efficiente salvaguardando l'ambiente. 
La legge che è uscita dall'esame della Commissione ambiente è una buona legge e, paragonata alle norme attualmente vigenti in materia di servizio idrico integrato, è decisamente un passo avanti in favore del ruolo pubblico nella gestione del servizio idrico. Il diritto all'acqua è un diritto umano essenziale e l'erogazione giornaliera per l'alimentazione e l'igiene umana è considerato diritto umano universale e si basa su un quantitativo minimo vitale gratuito, che è fissato fino a 50 litri giornalieri per persona. 
Inoltre, viene indicato che le acque superficiali e sotterranee costituiscono risorsa salvaguardata e tutelata secondo criteri di efficienza, responsabilità e sostenibilità, oltre che di solidarietà. In ogni caso, si stabilisce una scala di priorità dell'uso dell'acqua: prima di tutto per il consumo umano, poi per l'agricoltura e l'alimentazione animale. Per gli usi diversi da questi è favorito l'impiego dell'acqua di recupero delle acque piovane o di trattamento delle acque di prima pioggia. 
Infine, si prevede la possibilità di introdurre nel piano di bacino distrettuale previsto dal codice dell'ambiente misure per garantire un uso reciproco e solidale delle risorse idriche tra bacini idrografici con disparità di disponibilità della risorsa idrica. 
Per quanto riguarda l'affidamento del servizio idrico integrato, pur rimanendo praticabili le tre opzioni (pubblica, mista pubblico-privata e privata), si dà priorità all'affidamento diretto in favore di società interamente pubbliche, partecipate da tutti gli enti locali ricadenti nell'ambito territoriale ottimale e che rispettino i requisiti dell'affidamento in house. In questo modo si esprime un orientamento dell'Italia. È un'indicazione di priorità per le società pubbliche interamente partecipate dagli enti territoriali. Questa scelta si compie nell'articolo 4. Nello stesso articolo 4 si prevede una costante attività di verifica da parte dell'ente di governo dell'ambito circa l'attuazione del piano d'ambito, nonché una verifica complessiva da parte del medesimo ente nei confronti dell'attività svolta dal gestore del servizio, almeno ventiquattro mesi prima della scadenza della concessione. 
Altro capitolo importante è rappresentato dalle fonti di finanziamento del servizio idrico integrato. Lo stesso è finanziato, da un lato, dalla tariffa e, dall'altro, da risorse nazionali e comunitarie che vengono destinate agli enti di governo d'ambito per le opere infrastrutturali, con priorità data agli interventi per i quali sono in corso procedure di infrazione comunitaria. Fra l'altro, si prevede che i finanziamenti concessi dalla Cassa depositi e prestiti, volti al finanziamento in materia ambientale, siano destinati prioritariamente alle società interamente pubbliche per gli interventi sulla rete del servizio idrico integrato. Si introducono, poi, norme volte ad accrescere la trasparenza delle bollette, evidenziando nelle stesse i dati relativi agli investimenti sulle reti per acquedotto, fognatura e depurazione, unitamente alle relative spese, i dati sul livello di copertura dei citati settori, i parametri di qualità dell'acqua e la percentuale media complessiva delle perdite idriche nelle reti in base a specifica delibera dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il servizio idrico. 
Inoltre, sempre a tutela del cittadino, al fine di assicurare un governo democratico del servizio idrico, la norma prevede che gli enti locali adottano forme di democrazia partecipativa per le decisioni relative agli atti fondamentali di pianificazione e programmazione del servizio idrico integrato. E naturalmente si prevede che i soggetti gestori debbano rendere pubbliche le informazioni e le analisi relative alla qualità delle acque ad uso umano, al monitoraggio delle perdite delle infrastrutture idriche di competenza e alle performance di gestione aziendale raggiunte nell'anno solare. 
Insomma, è chiaro qual è l'intendimento del Partito Democratico. Il pacchetto di misure da noi proposto spinge per il rafforzamento del potere di controllo democratico da parte dei cittadini sulla risorsa idrica e, nello stesso tempo, irrobustisce molto il ruolo dei comuni e degli enti locali nella fase di governo del processo e nella fase di gestione del servizio. Infine, non ci sottraiamo e non sottraiamo l'Italia alla grande sfida dell'accesso all'acqua potabile da parte di tutti gli abitanti del pianeta e alla necessità di contribuire alla costituzione di una fiscalità generale universale che la garantisca. 
Per questo viene istituito un Fondo nazionale di solidarietà internazionale, presso il Ministero degli affari esteri, da destinare a progetti di cooperazione in campo internazionale che promuovano l'accesso all'acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari, con particolare attenzione al sostegno e al coinvolgimento della cooperazione territoriale e delle comunità locali e dei Paesi partner, finanziato con un prelievo in tariffa di un centesimo di euro per metro cubo d'acqua erogata, a cura dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il servizio idrico. 
Signor Presidente, a distanza di cinque anni dal referendum del 2011, è necessario che il Parlamento discuta e fornisca una risposta al pronunciamento dei cittadini. Il dibattito, anche serrato, è legittimo e salutare, vista anche la rilevanza dell'argomento. Portare nelle case degli italiani, di tutti gli italiani, acqua potabile, pulita e sicura equivale ad una straordinaria opera di modernizzazione del Paese e questo è un grande obiettivo pubblico. È questione democratica, è questione sociale, è questione culturale, ma è anche questione concreta e quotidiana e queste concretezza e quotidianità ci impongono di stare al merito della discussione e di ascoltarci, perché ai territori e alle comunità locali servono indicazioni praticabili. Noi pensiamo che con questa legge il Parlamento renda un servizio al Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).