Data: 
Giovedì, 4 Settembre, 2014
Nome: 
Khalid Chaouki

A.C. 2598-A

 

Signor Presidente, con questo nuovo provvedimento l'Italia riafferma una sua peculiare capacità di stare nel mondo, nelle regioni più critiche colpite da sanguinosi conflitti interni, guerre civili, instabilità permanenti e una grande fame di un quadro di pace e sviluppo che viene urlato quotidianamente dalle società civili autoctone, da esponenti in esilio, dalle tante donne, troppo spesso le prime vittime delle condizioni che qui abbiamo citato e raccontato. Noi ci muoviamo in questo quadro con la rinnovata volontà e impegno a proseguire con il ruolo del nostro Paese in numerosi teatri vicini e lontani, con una linea comune di condotta che mira a privilegiare il rapporto diretto con le autorità locali, civili e militari, con le società civili attraverso un grande investimento nella formazione e aggiornamento delle forze di sicurezza e delleleadership autoctone ed anche appunto proseguendo nel supporto di azioni umanitarie dirette all'assistenza di migliaia di rifugiati, grazie alla cooperazione diretta con le maggiori organizzazioni e agenzie delle Nazioni Unite. Certamente l'emblema della nostra presenza all'estero rimane l'Afghanistan nel quadro della missione ISAF, che ci vede in prima linea nel garantire condizioni di sicurezza e di tutela per una parte del popolo afgano martoriato da decenni di guerre e dal rischio permanente di un malaugurato sopravvento delle forze talebane, che hanno avuto modo di esprimere il massimo della loro pericolosa ideologia nel periodo di governo di quel Paese, attraverso l'impedimento – forse qualcuno lo ricorda bene o perlomeno l'abbiamo forse un po’ dimenticato – alle donne di frequentare le scuole, le punizioni corporali nelle pubbliche piazze o la protezione dei leader maggiori di Al Qaeda, prima dopo e durante quel tragico 11 settembre. Oggi il quadro afgano continua a rimanere purtroppo incerto sicuramente, ma nessuno intellettualmente onesto può negare che la nostra presenza nel quadro di quella missione multilaterale non abbia comunque, con tutti i suoi limiti e le sue difficoltà, impedito ad intere regioni afgane di ricascare sotto l'egemonia dell'emirato talebano, già proclamato in passato e che tuttora rivendica attentati e azioni di guerriglia militare per mettere in discussione la stabilità e la pace in quella regione. 
La nostra presenza in Afghanistan, che si sta avviando verso la sua conclusione, come tutti ci siamo impegnati in un quadro internazionale, ha rilanciato comunque decine di progetti a favore dei bambini e delle donne, per corsi di formazione dei quadri impegnati sul difficile terreno della giustizia, un dialogo continuo con la società afgana verso una piena autonomia, anche nella gestione della propria sicurezza. 
E allora, cari colleghi, la discussione di questo decreto ha sempre riportato sicuramente tensioni e polemiche, come è giusto che accada, di fronte ad un provvedimento che espone centinaia di nostri militari a rischi più o meno pericolosi, in un Parlamento democratico. Un provvedimento, questo, che ci interroga su quale modello di mondo vorremmo per noi e per i nostri figli, su quale ruolo per il nostro Paese vorremmo fuori dalle nostre frontiere, sempre più labili e interconnesse. 
Vi è chi oggi teorizza, a fasi alterne, una volta l'impegno per fermare il conflitto israelo-palestinese, un'altra volta si impegna per farci ignorare gli appelli di dolore di migliaia di profughi in fuga dalla guerra in Siria, Iraq e dalle persecuzioni del Corno d'Africa, in Nigeria, Sudan e altri Paesi. E allora noi diciamo che serve maggiore coerenza, che, sicuramente, di fronte a tragedie di questa grande portata, l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è il facile allarmismo di fronte a presunte malattie infettive oppure di fronte all'idea che possiamo, tutto sommato, starcene tranquilli in casa nostra, lontani da quelli che sono gli allarmi, le paure e le richieste di aiuto che ci vengono da Paesi che sono molto vicini. 
Dico e diciamo che noi dobbiamo sentire sulle nostre spalle la responsabilità di un continente, l'Europa, in cui, nonostante gli «imprenditori della paura» in Europa e anche nel nostro Paese, i nostri Paesi europei continuano oggi a essere vissuti come l'unico spazio, l'unica oasi di democrazia, di libertà e di possibile accoglienza per migliaia e migliaia di persone. Questa è la nostra storia, questi sono i nostri principi, questo è quello che rappresenta la nostra Costituzione per migliaia di persone, che, nonostante tutto quello che succede nel nostro Paese e nel nostro continente, continuano a vederci come l'unica possibilità di serenità e di pace. 
E allora noi, di fronte a questa missione, dovremmo davvero essere all'altezza e, forse, ricordarci anche della nostra Costituzione italiana, oltre che dei trattati internazionali. È ora di uscire, quindi, dalle nostre ipocrisie e riconoscere che, grazie all'impegno dei nostri militari in Libano, con la missione UNIFIL, quel Paese un tempo faro della convivenza multireligiosa e multiculturale in tutto il Medio Oriente, grazie all'impegno delle nostre forze in quel Paese, oggi regge, tutto sommato, una stabilità, seppur fragile, nonostante i tamburi di un pericoloso coinvolgimento nel conflitto tra Assad, i gruppi di ribelli e l'ISIS. 
Un ringraziamento speciale va a quei militari che si trovano oggi in un lavoro delicato e impegnativo di mediazione tra le forze libanesi, Hezbollah e l'esercito israeliano, al fine di garantire una pace e una stabilità difficile in quei confini così delicati. Forse non tutti ci ricordiamo, e lo ricordiamo ancora oggi, che, grazie a un impegno internazionale dell'Italia, si giunse a questa tregua che per ora regge ancora, e regge, soprattutto, grazie ad una missione internazionale dei nostri militari sul fronte dei confini libanesi. 
Altrettanto importante è la nostra presenza nei Balcani, così come il nostro impegno in Somalia con la missione EUTM; un Paese, la Somalia, emblema di una guerra infinita, che vede tra i suoi protagonisti fazioni affiliate ad Al Qaeda, collegate con altre reti del terrorismo di matrice religiosa in Yemen, Arabia Saudita e, ora, anche diretti rappresentanti dell'autoproclamato Califfato di Baghdad.
Infine, non possiamo parlare di missioni italiane all'estero dimenticandoci di quello che sta avvenendo a pochi passi da noi: la preoccupante ascesa del fronte «Alba della Libia», un fronte che in parte si rifà alle bandiere dell'Isis e che ha già sancito Bengasi quale sua capitale. 
Un pericolo, l'ascesa di un gruppo estremista, un gruppo che si rifà a quelle bandiere nere che ci spaventano tutti i giorni e di cui leggiamo le cronache quotidiane, le cronache terribili di uccisioni, le cronache terribili di negazione delle libertà, che oggi si stanno propagando anche ad un Paese vicino a noi, con cui noi siamo stati, storicamente, radicalmente vicini. 
E allora, come vogliamo porci di fronte ad un Paese verso cui dovremmo sentire perlomeno la responsabilità, quale storia comune e soprattutto quale Paese vicino e quindi in qualche modo anche suscettibile di influenza diretta rispetto al nostro Paese e rispetto alla regione mediterranea ? Dobbiamo e abbiamo il dovere di essere vicini al popolo libico oggi, a quel Parlamento che, nonostante tutte le criticità, oggi rappresenta comunque un tentativo e un credere del popolo libico nella possibilità di futuro pacifico e di sviluppo per quel Paese. Senza nessuna retorica, diciamo che non possiamo dimenticarci del ruolo che dobbiamo avere e che, grazie alla missione EUBAM in Libia oggi possiamo avere nel tutelare le sue frontiere in un contesto, come si diceva prima e come cercavo di dire, in cui ci troviamo di fronte a mobilità di gruppi direttamente affiliati al terrorismo di matrici religiose che trovano purtroppo anche nella Libia e nei confini, lunghissimi confini, con l'Egitto, con la Tunisia e con l'Algeria, luoghi di possibile crescita, organizzazione e addestramento. 
Allora, queste sono le missioni degli italiani all'estero, come abbiamo provato qui a raccontare, missioni che tendono a rafforzare quegli interlocutori con cui noi abbiamo il dovere di interloquire per rafforzare la possibilità di sviluppo autoctono di quelle comunità. 
Infine, più che un decreto missioni, questa è una missione dell'Italia in cui noi dobbiamo forse avere l'onestà intellettuale di ragionare per una volta tutti insieme come Paese, come Europa, come vogliamo noi appunto il futuro dell'Europa, il futuro del Mediterraneo ed il futuro di questo nostro mondo comune. Dobbiamo farlo oggi con una responsabilità in più, la responsabilità di essere la finestra dell'Europa verso l'Africa e il Medio Oriente. Dobbiamo farlo anche guardando alla nostra responsabilità, oggi, di essere guida dell'Europa. Dobbiamo farlo anche pensando al difficile compito che si ritrova davanti a sé per i prossimi cinque anni la nostra nuova Commissaria e rappresentante per la politica estera di difesa europea, Federica Mogherini, a cui vanno tutti i nostri auguri. Dobbiamo farlo anche ricordando le tante vittime della nostra cooperazione italiana, dei nostri militari, ma soprattutto cooperatori italiani in giro per il mondo. 
E io vorrei concludere, Presidente, ricordando quei tre italiani rapiti in Siria: padre Dall'Oglio, di cui non dobbiamo dimenticarci, e le due cooperanti Greta e Vanessa. Anche per loro credo sia importante oggi rafforzare la nostra presenza in tutti questi teatri, cercando di raccontare un impegno italiano, che è stato sempre ed è ancora oggi volto a rafforzare il rapporto ed il dialogo con le comunità locali. Allora, l'appello anche da qui alle forze dialoganti nonostante la confusione in Medio Oriente, alle comunità islamiche in Europa e in Italia, al mondo arabo e musulmano, affinché vi sia un'alleanza davvero contro qualsiasi forma di violenza in nome della religione. 
Noi siamo convinti che dall'altra parte del Mediterraneo si sono già sollevate voci – ma dovremo sentirne sempre più sollevarsi – per condannare le atrocità che stiamo vedendo, ma soprattutto per trovare una soluzione pacifica insieme a quelle popolazioni che sono esse stesse oggi vittima del terrorismo di matrice islamica.