Discussione
Data: 
Lunedì, 26 Giugno, 2017
Nome: 
Francesco Ribaudo

 Doc. XVI-bis, n. 11

 

Presidente, non scenderò nei dettagli della Relazione, perché il Presidente l'ha fatto bene, e devo dire anche nel dettaglio, su tutta una serie di proposte e di ipotesi. Tocca a me comunque fare anche la mia parte, e per quanto riguarda il Partito Democratico, su quello che si potrebbe e si dovrebbe fare.

La Commissione parlamentare per le questioni regionali in questi ultimi due anni ha fatto propria l'esigenza di una riflessione sistematica sullo stato del regionalismo in Italia, con particolare riguardo alle forme di raccordo tra Stato e autonomie territoriali. Lo ha fatto con tre importanti indagini conoscitive. La prima ha riguardato le problematiche concernenti l'attuazione degli statuti delle regioni a statuto speciale, con specifico riferimento al ruolo e al funzionamento delle Commissioni paritetiche. Sappiamo che i cinque statuti delle cinque regioni a statuto speciale sono un po' diversi, sono state anche diverse negli anni le applicazioni, e persino il funzionamento delle Commissioni paritetiche. Un'ulteriore indagine poi è stata fatta sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali, con riguardo al sistema delle Conferenze: è questa che è durata un po' più a lungo, e si è incrociata con lo stesso referendum sulla riforma costituzionale. E quindi la terza commissione d'indagine. Io credo sia stata un'intuizione felice da parte del presidente all'indomani del referendum costituzionale di voler affrontare questa vicenda: che cosa avviene oggi nella nostra Repubblica, nel funzionamento delle nostre istituzioni, all'indomani della bocciatura del referendum.

Quindi abbiamo dovuto riprendere questa indagine conoscitiva, questa volta anche alla luce della sentenza n. 251, che nel frattempo, a novembre 2016, pronunciò la Corte costituzionale. Si è reso necessario quindi svolgere un lavoro di sintesi organica sulle forme di raccordo tra Stato ed enti territoriale, con l'obiettivo di portare a questa Assemblea elementi, riflessioni, nonché suggerimenti, ipotesi e proposte concrete per la piena applicazione della riforma costituzionale prevista dalla legge n. 3 del 2001.

L'attuazione degli statuti speciali: dico subito che in fase di formulazione delle riforme, in tutto il lavoro parlamentare, da parte di alcune parti politiche si era varata l'ipotesi che gli statuti speciali potessero essere cancellati. Bene, il lavoro della Commissione ha dato un esito diverso: la specialità delle regioni non va cancellata, anzi va valorizzata; e io credo questo sia l'intento poi del sunto dei lavori della Commissione, e che vada anche riconosciuta specialità con l'articolo 116 della Costituzione vigente, e quindi un'autonomia differenziata a quelle regioni oggi a statuto ordinario che avrebbero bisogno e necessità di valorizzare le proprie peculiarità.

Viene proposta la prosecuzione del confronto unitario con il coinvolgimento dell'assemblea elettiva regionale, avviato tra le regioni a tal proposito, e viene proposta la prosecuzione nel confronto unitario con il coinvolgimento delle assemblee elettive già avviato tra regioni a statuto speciale e Stato, al fine di potersi concludere poi con una convenzione che tracci le linee procedurali per un percorso comune di revisione degli statuti: come dicevo prima, gli statuti speciali sono diversi, non c'è unitarietà, e questa è una questione che dovremo affrontare prima o poi, come già è accaduto del resto con l'esperienza conclusasi con l'approvazione della riforma costituzionale n. 2 del 2001.

In tal senso, possono essere delineate soluzioni comuni, concernenti le problematiche messe a fuoco nel corso dell'indagine conoscitiva. Abbiamo convenuto, per esempio, che l'aggiornamento degli statuti, indipendentemente da quella riforma approvata o non approvata, l'aggiornamento, l'adeguamento degli statuti dovrà essere effettuato, l'armonizzazione della disciplina della composizione e del funzionamento delle commissioni paritetiche, la regolamentazione del procedimento di adozione degli schemi legislativi di attuazione degli statuti, la definizione dei principi e dei criteri direttivi comuni della disciplina dei rapporti finanziari con lo Stato: su questi punti il documento conclusivo già propone importanti soluzioni, immediatamente operative, alle quale può farsi sicuramente rinvio. Nell'ambito di procedure concordate ciascuna autonomia speciale, in base alle proprie caratteristiche, alle proprie esigenze, alla propria cultura economica e sociale, potrà organizzarsi e autodeterminarsi in un quadro condiviso di responsabilità nazionale: e quindi, altro che superamento delle specialità!

Per quanto riguarda la seconda indagine, sistema delle Conferenze e raccordo tra Stato e regioni, si premette che buona parte dei lavori sono stati svolti prima del 4 dicembre 2016, perciò l'indagine all'epoca si muoveva sulla base di due obiettivi: uno era a norme ferme, a Costituzione vigente, l'altro era nell'ipotesi appunto che il referendum venisse approvato, per poi verificare l'impatto delle nuove disposizioni costituzionali, qualora appunto il referendum fosse stato approvato.

L'altro, acquisire poi elementi anche istruttori utili per verificare se, dopo 30 anni dall'istituzione della Conferenza Stato-regioni, e dopo alcuni tentativi di riforma, sia opportuno, ed eventualmente secondo quali linee direttrici, un riordino complessivo delle Conferenze a Costituzione vigente. Nel corso dello svolgimento dell'indagine, è emerso che anche nel caso di approvazione della riforma costituzionale il sistema delle Conferenze non andasse soppresso, bensì riformato, e riformato con tutte le proposte e con tutti i suggerimenti che poco fa elencava il presidente D'Alia. Ci possono essere diverse soluzioni, ma nell'occasione non è stato detto, abbiamo anche fatto delle analisi di diritto comparato con le altre regioni europee: dove, nonostante lì esistano due Camere, una Camera bassa e una Camera alta, la Camera dei comuni, quindi la Camera degli enti territoriali, anche lì tuttavia le Conferenze esistono e funzionano.

Nel corso dello svolgimento è emerso anche che, in caso di approvazione del referendum costituzionale, il sistema delle Conferenze non andasse soppresso. L'esigenza di porre mano ad una rivisitazione dell'attuale sistema di raccordo, come è emersa nell'ambito della procedura informativa, si impone tuttavia anche a prescindere dalla riforma.

Una delle principali criticità del regionalismo italiano è riconducibile all'assenza di sedi e di istituti di cooperazione tra Stato e autonomie nella formazione della legge e nella definizione delle politiche pubbliche. La Corte costituzionale, nella sentenza n. 6 del 2004, ha del resto riconosciuta alle Conferenze il ruolo di sede di raccordo e perseguimento della leale collaborazione, appunto nei casi di intervento dello Stato nelle materie di competenza concorrente e residuale delle regioni. Questo principio si fonda sulla mancata trasformazione delle istituzioni parlamentari e in generale sulla mancata modifica dei procedimenti legislativi, idonei poi a garantire l'autonomia degli enti territoriali. Assenza anche, come è noto, della attuazione della disposizione costituzionale dell'articolo 11, commi 1 e 2, della legge costituzionale n. 3, che prevede la possibilità di integrare la Commissione per le questioni regionali con rappresentanti di regioni, province autonome ed enti locali, e che attribuisce al parere reso dalla medesima Commissione, così integrata, su disegni di legge vertenti su materie di competenza concorrente attinenti alla finanza regionale e locale, un valore rinforzato (ne parlava prima il presidente nei dettagli).

Il ruolo strategico di raccordo svolto dalle Conferenze non ha tuttavia impedito finora una consistente contenzioso presso la Corte costituzionale, che ha evidenziato limiti della capacità del sistema di assicurare in talune occasioni la necessaria composizione degli interessi politici. La mancata costituzione di una Camera legislativa - come dicevo prima - in rappresentanza degli enti territoriali e la mancanza di introduzione di specifici strumenti di raccordo fra i vari livelli di governo, hanno determinato la pressoché esclusiva titolarità in capo del sistema delle Conferenze delle funzioni di coordinamento tra i diversi livelli di governo. Anche prima della riforma del 2001, la Corte costituzionale ha fatto applicazione in molteplici pronunce del principio di leale collaborazione desumendolo dal tenore dell'articolo 5 della Costituzione e in particolare dal carattere di unità e di individualità della Repubblica, che richiede l'esigenza di perseguire una composizione di interessi degli enti che ai sensi dell'articolo 114 della Costituzione la costituiscono. Nella sentenza n. 242 del 1997 la Corte costituzionale riconosce che il principio di leale collaborazione deve governare i rapporti fra lo Stato e le regioni nelle materie in relazione alle attività in cui le rispettive competenze concorrono e si intersecano, imponendo un contemperamento dei rispettivi interessi degli enti. Tale regola, espressione del principio costituzionale fondamentale per cui la Repubblica, nella salvaguardia della sua unità, riconosce e promuove le autonomie locali, alle cui esigenze adegua i principi e i metodi della sua legislazione (articolo 5 della Costituzione), va al di là del mero riparto costituzionale delle competenze per materia, e opera dunque su tutto l'arco delle relazioni istituzionali fra Stato e regioni. Al di là delle materie concorrenziali che ci lascia il Titolo V della Costituzione (moltissime materie tra regioni e Stato sono materia concorrenziale, poi ci sono quelle residuali), persino in quelle di attrazione, di sussidiarietà, in quasi tutte le materie che riguardano interessi territoriali, c'è la necessità di un intervento istituzionale in cui ci sia unitarietà e si salvaguardino le varie parti.

Se è vero che il sistema delle conferenze ha funzionato nel raccordo e nel confronto fra Governo ed enti territoriali nella fase attuativa delle leggi (decreto attuativo, decreto amministrativo, atti di governo, fase quindi discendente), lo stesso non si può affermare per quanto attiene il coinvolgimento degli stessi enti nell'iter formativo delle leggi, cioè nella fase ascendente della legge. Da qui la mole di contenzioso che tuttora persiste tra regioni e Stato. La sentenza n. 251 del 2016 dalla Corte costituzionale, ancorché riguardi un decreto legislativo, pone l'urgenza di applicare quanto previsto della legge n. 3, commi 1 e 2, della riforma, al fine di contenere il proliferare del contenzioso; ciò eviterebbe insomma il proliferare del contenzioso, perché nella fase ascendente della legge molte cose, come diceva il presidente, in quella nuova Commissione potrebbero essere sicuramente confrontate, potrebbero avere modo anche di ricomposizione di interessi.

L'attuazione della disposizione costituzionale relativa all'integrazione della Commissione per le questioni regionali potrebbe anche rappresentare l'occasione per una riflessione organica sull'attuale forme di raccordo tra Stato e autonomie territoriali, nell'ottica di una razionalizzazione complessiva del sistema delle Conferenze mai adeguato alla riforma del Titolo V. Come evidenziato nel documento conclusivo, una delle principali criticità delle attuali Conferenze intergovernative è costituita dalla eterogeneità delle attività poste in essere e dalla conseguente difficoltà di potersi concentrare sulle attività qualificanti. Ad oggi, il sistema delle Conferenze esprime parere su quasi tutti gli argomenti che il Governo pone, quelli connessi al rapporto diretto fra Governo nazionale ed esecutivi degli enti territoriali. Con l'integrazione della Commissione, se si fa, se si riesce a fare, quest'ultima potrebbe attrarre a sé, anche al fine di evitare duplicazioni, l'attività svolta dalle Conferenze nel procedimento legislativo.

Presidente, in conclusione, la Relazione è molto dettagliata, riporta molte ipotesi, molte modalità, molte soluzioni, ed è aperta quindi anche ad essere eventualmente modificata, ad essere anche ampliata, con proposte di costituzione, di modifica e di funzionamento di questa nuova Commissione. Noi vorremmo che questa Commissione si realizzasse da subito per le cose che abbiamo detto, che ho detto prima, ma che rileviamo tutti. La sentenza n. 251 ci pone un problema che potrà essere replicato successivamente su altri atti. Modificare la Commissione e integrare la Commissione ai sensi dell'articolo 11 della riforma, credo che si potrebbe fare con un semplice Regolamento, modificando i Regolamenti parlamentari, e potrebbe evitare il contenzioso. Occorrerà probabilmente anche una legge, una legge che individui le modalità di integrazione della Commissione, quindi di elezione dei componenti. Questo spetterà poi al Parlamento, ma lo si può fare chiaramente con legge ordinaria. Una cosa è certa, ad oggi la riforma costituzionale, il processo di riforme, si è fermato con il referendum, probabilmente si intavolerà nei prossimi anni. Le prossime legislature si occuperanno di questo tema importantissimo, ma nel frattempo abbiamo la necessità, il bisogno di far funzionare bene le istituzioni.

Per quanto ci riguarda, al di là delle questioni di diritto vero e proprio, delle questioni di principio istituzionale, io credo che il coinvolgimento nella fase ascendente della legge, nella fase di formazione della legge da parte degli enti territoriali, sia un fatto di democrazia. Il Parlamento ha tutti gli elementi per poter procedere con legge o con modifiche regolamentari per rendere funzionali e democratiche la nostre istituzioni. Il PD farà la sua parte, e mi auguro che anche gli altri partiti possano lavorare in questo senso.