Dichiarazione di voto
Data: 
Mercoledì, 10 Aprile, 2024
Nome: 
Marco Lacarra

Doc. IV, n. 2-A

Gazie signor Presidente, onorevoli colleghi, occorre innanzitutto ribadire un concetto chiaro, che si rende ancor più necessario anche alla luce degli interventi soprattutto della collega del Movimento 5 Stelle, a beneficio più che altro delle cittadine e dei cittadini che osservano e vigilano sul nostro operato quotidiano. La Giunta per le autorizzazioni è un organo tecnico che esprime valutazioni strettamente giuridiche, a presidio dei princìpi espressi dall'articolo 68 della nostra Costituzione, così come declinati dalla relativa giurisprudenza costituzionale. Il nostro giudizio non è e non deve essere dunque contaminato dall'appartenenza a una determinata area politica o alla prossimità anche umana a questo o a quel parlamentare. E non è neppure quello di sostituirsi alla magistratura il nostro ruolo e fare valutazioni di merito rispetto alla vicenda che, in qualche modo, ci occupa. Piuttosto, come nel caso odierno, siamo chiamati a relazionare all'Aula su una richiesta promossa dall'autorità giudiziaria per l'autorizzazione al sequestro di corrispondenza dei deputati Bonifazi, Boschi e Lotti, il primo neppure indagato, come giustamente ricordato dal relatore e dai colleghi che mi hanno preceduto. Poste queste premesse, anticipo subito che il Partito Democratico si esprimerà, anche in quest'Aula, come in Commissione, in maniera conforme rispetto a quanto già avvenuto in sede di Giunta. Non credo che occorrano motivazioni ulteriori rispetto a quelle già rese dal collega Costa nella sua relazione, sebbene non sento di condividere pienamente alcune di esse.

Mi riferisco subito alla seconda ragione espressa nella relazione che fa riferimento a presunti indizi di fumus persecutionis nei confronti dei deputati interessati. Sul punto, benché sia comprensibile avere opinioni differenti, sono convinto che non ci sia stato dalla procura di Firenze alcun intento persecutorio nello svolgimento delle indagini e nell'utilizzo degli strumenti a disposizione degli inquirenti.

Per quanto attiene ai restanti motivi, invece, penso sia evidente la mancanza dei presupposti necessari a concedere l'autorizzazione richiesta. In primo luogo, viene a considerare la portata innovativa della sentenza n. 170 del 2023 del giudice costituzionale, che ha esteso il perimetro del concetto di corrispondenza, tanto da ricondurvi - in modo corretto, a mio giudizio - anche i messaggi WhatApp e la posta elettronica. Tale novità impone che, almeno sotto il profilo della legittimità costituzionale, la richiesta di sequestro debba avvenire prima del sequestro stesso e non in un momento successivo. Nella medesima sentenza, inoltre, la Consulta ha indicato con chiarezza che le condizioni e i requisiti che l'autorità giudiziaria è tenuta a rispettare in tal senso sono esclusivamente quelli enunciati dall'articolo 68, terzo comma, della Carta e dall'articolo 4 della legge n. 140 del 2003 e non anche, di conseguenza, quelli previsti dall'articolo 6 della medesima legge. Un'autorizzazione successiva, in sanatoria insomma, non è consentita. Ma faccio riferimento, anche in una visione analogica del nostro diritto e dei pilastri fondamentali del nostro sistema giudiziario, al fatto che nel nostro caso siamo di fronte all'interpretazione di una norma che non si sa per quale ragione, poiché è postuma rispetto a un provvedimento emesso dalla magistratura, dovrebbe essere peggiorativa per l'indagato e per l'imputato, quando c'è un principio generale, che è quello del favor rei, che in ogni caso consentirebbe l'applicazione postuma, sia pure in via interpretativa, della norma stessa, in presenza di altre circostanze, peraltro, nel nostro caso, come ribadito dalla stessa Corte, quali, ad esempio, la “natura mirata od occasionale dell'acquisizione dei messaggi del parlamentare, operata tramite l'apprensione dei dispositivi appartenenti a terzi”, a differenza di quanto avviene, invece, con le intercettazioni, che hanno una disciplina completamente diversa.

In tal senso, l'oggettività dei fatti ci induce a ritenere che la richiesta di autorizzazione inviata dal GUP di Firenze si ponga al di fuori di questo quadro costituzionale e normativo. Ne è prova il fatto - come espressamente affermato dallo stesso GUP - che la corrispondenza dei deputati interessati sia già stata estratta dai dispositivi sequestrati a terzi e che tali comunicazioni siano state già acquisite in forma cartacea nel corso delle perquisizioni ad altri imputati, nonché utilizzate dai pubblici ministeri ai fini dell'esercizio dell'azione penale, rientrando peraltro nel fascicolo dell'udienza preliminare. È un fatto, allora, che il sequestro abbia già avuto luogo, rendendo la richiesta de quo gravemente tardiva rispetto a quanto prescritto dalle regole che disciplinano l'istituto di cui all'articolo 68.

Poi vi è la questione del bilanciamento degli interessi costituzionali in campo, ossia dell'invalicabile esigenza di operare il sacrificio minimo possibile dei valori di libertà e indipendenza della funzione parlamentare. A tale proposito, una consolidata giurisprudenza costituzionale, come, d'altronde, il buonsenso che indusse i Padri costituenti a introdurre nella Carta questo istituto, invita alla massima cautela in fatto di utilizzo di strumenti investigativi particolarmente intrusivi rispetto alle comunicazioni di un parlamentare “non già” - come si legge nella sentenza n. 38 del 2019 - “perché la riservatezza di un parlamentare (…) abbia un maggior valore, ma perché la pervasività del mezzo d'indagine in questione può tradursi in fonte di condizionamenti sul libero esercizio della funzione parlamentare”, aprendo squarci di conoscenza sui rapporti di un parlamentare “di ampiezza ben maggiore rispetto alle esigenze di una specifica indagine e riguardare altri soggetti (…) per i quali opera e deve operare la medesima tutela dell'indipendenza e della libertà della funzione”. Ho riportato testualmente una parte della sentenza n. 38 del 2019 a cui ho fatto riferimento.

Siamo in presenza, dunque, di una tutela ulteriore che la nostra Costituzione riconosce a quella prevista erga omnes all'articolo 15. Una garanzia di riservatezza rafforzata che deve riguardare tutti gli organi costituzionali e di fronte alla quale è necessario valutare con attenzione il rischio di un uso improprio di strumenti di indagine, come, appunto, il sequestro della corrispondenza. Nel caso all'attenzione dell'Aula non ritroviamo i presupposti per concludere che l'autorità giudiziaria abbia valutato con la dovuta cautela e con il dovuto zelo il bilanciamento degli interessi costituzionali in campo: da un lato, le esigenze investigative e, dall'altro, il libero e indipendente svolgimento del mandato parlamentare. Rispetto a quest'ultimo, infatti, non riusciamo a riscontrare la necessaria adeguatezza nelle motivazioni alla base della richiesta avanzata dal tribunale di Firenze. E ciò è ancor più vero sia in rapporto alla mole di corrispondenza oggetto della richiesta di sequestro sia in relazione al fatto che trattasi di comunicazione avvenuta in un periodo amplissimo, che va dal 2011 al 2019, malgrado i fatti che si contestano siano relativi a un lasso di tempo ben più ridotto, ossia dal 2014 al 2018.

In definitiva, con riguardo a questi aspetti, ci risulta piuttosto palese l'intento dei richiedenti di far prevalere, indebitamente e in modo del tutto sproporzionato, le esigenze investigative su tutti gli altri profili, benché trattasi di valori fondamentali tutelati dalla nostra Costituzione. Per queste ragioni, dichiaro il voto favorevole del Partito Democratico alla relazione del collega Enrico Costa, nel senso di negare l'autorizzazione al sequestro della corrispondenza dei deputati Boschi, Lotti e Bonifazi.