Data: 
Lunedì, 27 Aprile, 2015
Nome: 
Rosy Bindi

 Doc. XXIII, n. 3

 

Grazie, Presidente. Illustro la relazione che la Commissione antimafia ha approvato all'unanimità, relazione con la quale si presenta alle forze politiche, soprattutto, un codice di autoregolamentazione per la formazione delle liste elettorali a tutti i livelli. In ottemperanza a quanto prevede la legge istitutiva del 19 luglio 2013, spetta alla Commissione il compito di indagare sul rapporto tra mafia e politica sia riguardo alla sua articolazione nel territorio e negli organi amministrativi, con particolare riferimento alla selezione dei gruppi dirigenti e alle candidature per le assemblee elettive, anche seguendo un comportamento delle Commissioni precedenti, che, già a partire dalla X legislatura, presidenza Chiaromonte, XV legislatura, presidenza Forgione, e XVI legislatura, presidenza Pisanu, avevano adottato simili codici di autoregolamentazione per la formazione delle liste elettorali. 
Un codice di autoregolamentazione, appunto, che impegna i partiti, le formazioni politiche, i movimenti e le liste civiche all'atto della designazione dei candidati alle elezioni europee, politiche, regionali, comunali e circoscrizionali, nonché per la designazione di organi rappresentativi e di amministrazione di enti pubblici, del consiglio di amministrazione dei consorzi, del consiglio e delle giunte delle unioni dei comuni, consiglieri e presidenti delle aziende speciali. 
Come codice di autoregolamentazione, naturalmente, non prevede sanzioni per chi non lo applichi, ma è sicuramente un invito ad una selezione della classe dirigente che sia attenta e scrupolosa, soprattutto per un rafforzamento della lotta alle mafie. Non si può ignorare il fatto che, nel frattempo, nel 2012, è stato emanato un decreto legislativo recante il Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190, la cosiddetta legge Severino. 
La Commissione, che ho l'onore di presiedere, ha inteso ritornare sull'argomento, a partire dallo scorso settembre, alla vigilia di una tornata di elezioni in alcune regioni e in un numero consistente di amministrazioni locali, soprattutto comuni. 
Il criterio che ci ha ispirati è un criterio che, innanzitutto, amplia il novero delle fattispecie considerate ostative alla candidatura a qualsiasi carica elettiva pubblica, per esempio è stato esteso ai reati più rilevanti contro la pubblica amministrazione. Altresì, il codice di autoregolamentazione approvato dalla Commissione antimafia conferma la necessità di anticipare il livello di attenzione alla fase del decreto che dispone il giudizio o della citazione diretta a giudizio, cioè il rinvio a giudizio, e si prevede, altresì, l'applicazione per chi abbia richiesto qualunque forma di patteggiamento. 
Altra caratteristica è quella che anticipa la fase di incandidabilità all'emanazione del decreto di applicazione di qualunque misura personale o patrimoniale. 
Altra novità contenuta nel codice di autoregolamentazione, approvato dalla Commissione, è l'incandidabilità in ogni competizione elettorale, quanto meno per una tornata elettorale, di coloro che hanno ricoperto la carica di sindaco, di componente delle rispettive giunte, in comuni o consigli provinciali sciolti per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare, anche se non si è addivenuti ad una sentenza che chiama in causa responsabilità di tipo personale. La Commissione intende svolgere una verifica sull'applicazione non solo del presente codice di autoregolamentazione, ma anche della «legge Severino», sottolineando che non appare semplice, soprattutto per la carenza di informazioni, per la carenza di un unico casellario giudiziario e per un intervento spesso con funzioni di annullamento da parte dei tribunali amministrativi regionali. 
Ciò che però vogliamo sottolineare è il fatto che questo codice si applica innanzitutto ai membri della Commissione. Come tutti sanno, la Commissione antimafia si forma su designazione da parte dei Presidenti delle Camere, ma per entrare a far parte della Commissione, per la legge istitutiva della Commissione stessa, è necessario come requisito essere in regola almeno con il codice di autoregolamentazione. In questo senso ho provveduto ad invitare tutti i membri facenti parte dell'attuale Commissione a dichiarare presso i Presidenti di Camera e Senato, cioè al Presidente della Camera di riferimento, di essere in regola con il presente codice; naturalmente vi ho provveduto per prima. Siamo in attesa di questa verifica, perché nel momento in cui la Commissione propone alle forze politiche un codice di autoregolamentazione, sarebbe davvero singolare che i componenti della stessa Commissione non fossero in regola con lo stesso codice. Questo, d'altra parte, è quanto previsto dalla nostra legge istitutiva. 
Intendo, altresì, sottolineare un fatto, che è quello che forse ci sta più a cuore e che emerge con molta chiarezza dal dibattito che vi è stato all'interno della Commissione. Come dicevo, questo è un codice di autoregolamentazione che non prevede sanzioni, è un invito alle forze politiche a selezionare la propria classe dirigente, precedendo la stessa normativa della legge, in particolare della «legge Severino». 
Infatti, se vogliamo davvero condurre una lotta con coraggio contro i poteri mafiosi, è quanto mai necessario, soprattutto dopo l'introduzione del reato di voto di scambio, presentare ed avere in carica una classe dirigente a tutti i livelli che non sia neanche minimamente sospettata di comportamenti, non solo riferibili immediatamente ad alcuni reati di mafia o all'aggravante dell'articolo 7, ma insospettabile anche nei confronti di quei reati spia, che sono diventati le nuove armi della mafia per condizionare soprattutto la vita economica del nostro Paese. 
È, tuttavia, un codice che, come la legge Severino – la quale, d'altra parte, credo non potrebbe avere che quel criterio, ma così potrebbe non valere per il codice di auto-comportamento – ha un limite, Presidente, quello che le regole, per le candidature e per potere ricoprire degli incarichi a tutti i livelli, fanno comunque riferimento a provvedimenti dell'autorità giudiziaria. È comunque questa una debolezza della politica. 
Non si tratta qui di invocare il garantismo, che è un valore fondante la nostra vita democratica e, come tale, riteniamo non possa essere invocato, anche quando dettiamo delle norme che sono sicuramente più rigorose e più rigide della stessa legge in vigore. Non può essere invocato, proprio perché è un invito alle forze politiche a selezionare la propria classe dirigente e con una particolare attenzione. Infatti non esisterebbero le mafie, se non vi fosse una forma di collaborazione o di acquiescenza da parte del potere politico o dei poteri amministrativi, comunque riconducibili al controllo del potere politico. Tuttavia, anche noi in questo codice facciamo riferimento ad atti della magistratura. La Commissione ha iniziato un lavoro sul rapporto tra mafia e politica, un'inchiesta, fra i quali risultati si vorrebbe addivenire anche alla formazione di un codice di comportamento politico, che non necessariamente facesse riferimento ad atti della magistratura. La politica deve dotarsi di regole che precedono in qualche modo l'azione in sede giudiziaria. 
In questo senso va segnalato come particolarmente importante un codice approvato da «A viso pubblico», che è un'associazione di amministratori, i quali hanno sottoscritto la cosiddetta Carta di Pisa, dove il riferimento ai codici di comportamento non sono soltanto gli atti giudiziari. Io credo che quello sia un passo avanti estremamente significativo, che auspichiamo e ci auguriamo davvero possa condurre anche la nostra Commissione a muoversi su quel percorso. 
Nel frattempo – come sempre stiamo facendo in questa legislatura – intendiamo trasformare in provvedimenti d'iniziativa normativa alcuni dei contenuti di questa relazione. In particolare faccio riferimento ad un disegno di legge d'iniziativa del Governo, che è all'esame del Senato, che riguarda proprio lo scioglimento delle amministrazioni comunali per infiltrazioni mafiose. Intendiamo come Commissione accompagnare quel provvedimento e, magari, trasformare in norma di legge quanto è contenuto in questo codice di comportamento, ovvero la previsione che tutti coloro che hanno ricoperto ruoli di amministrazione, da sindaco a componente della giunta, di comuni che sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose non possano ripresentarsi alle elezioni comunali e non possano partecipare a nessun'altra competizione elettorale almeno per una tornata elettiva, a prescindere da provvedimenti giudiziari che riguardino la loro persona. 
Tutto questo perché noi sappiamo bene che lo scioglimento per infiltrazioni mafiose di un'amministrazione comunale è sempre un atto molto grave, che influisce seriamente nella vita di una comunità. Ma soprattutto è molto grave che, dopo il periodo di commissariamento, si possa verificare la rielezione delle stesse persone che sono state responsabili di una fase nella quale i poteri mafiosi, in qualche modo, si sono impossessati dell'amministrazione. 
Noi offriamo questo nostro lavoro all'Assemblea. Non presenteremo – almeno questa è l'intenzione della presidenza e del relatore –, come abbiamo sempre fatto le volte precedenti, una risoluzione in Assemblea, perché riteniamo che un'Assemblea non possa esprimersi su un codice etico. 
Ho terminato il tempo. La ringrazio, Presidente, ma mi auguro davvero che quanto è contenuto in questo nostro lavoro possa aiutare, anche in vista delle prossime elezioni, le forze politiche a presentare al Paese una classe dirigente limpida, trasparente e capace davvero con coraggio, senza magari la necessità di ricorrere ad atti di eroismo, ma semplicemente compiendo il proprio dovere, di contrastare la presenza delle mafie, che con sempre più forza si infiltrano proprio nelle amministrazioni locali.