Data: 
Mercoledì, 23 Settembre, 2015
Nome: 
Pier Luigi Bersani

Signora Presidente, cari colleghi, in due o tre minuti non è certo possibile ripercorrere la vita e le opere di un intellettuale, di un amministratore, di un dirigente politico come Renato Zangheri, e non c’è neanche spazio per ricordi personali, che pure si affollano, naturalmente. All'essenziale, dunque. Renato Zangheri è l'idea di una politica e di un'arte di governo che hanno qualcosa a che fare con la cultura, con la storia, con le grandi radici della democrazia italiana. Zangheri, inoltre, è l'idea di una politica e di un'arte di governo che hanno qualcosa a che fare strettamente con lo stile personale, perché in chi governa lo stile non è forma, è sostanza. 
In particolare, noi lo ricordiamo in quegli anni difficili, anni nei quali una svolta autoritaria del nostro Paese non era una fantasia, era un'ipotesi. Anni insanguinati, anni di sangue nei cieli, per strada, sui binari. Anni di bombe e di P38. E l'Emilia Romagna e Bologna erano nel mirino, come punto d'attacco per misurare la tenuta della democrazia italiana. E allora, resistere, resistere, tenere, reagire, senza sbandamenti, e mettendo in campo i cittadini, la gente, il popolo, facendolo uscire di casa e rivendicando fisicamente la città come luogo della solidarietà e della convivenza. E allora, in quei frangenti, si capisce che fare il sindaco non basta. Devi essere il sindaco, essere il sindaco, e cioè interpretare la tua città, la tua gente, ma non genericamente, devi interpretarla sollecitando il meglio che c’è in ciascuno e in tutti, e risvegliare il voler essere, il dover essere, la generosità, il coraggio, i valori. Quali valori ? I valori di una democrazia che per Zangheri è il terreno della civilizzazione, dell'emancipazione sociale, della solidarietà. È il terreno di una politica che provi testardamente a creare le condizioni perché l'uomo sia più umano. Attaccato Zangheri alla sua città, quindi, sì, alla sua gente, ma attaccato in testa, non in coda. E lo stile: io non ho mai sentito Renato alzare la voce, mai. Mai arrogante, sempre autorevole, mai sarcastico, sempre ironico e anche autoironico. Per esempio, anche davanti a quegli slogan, pure ostili verso di lui, degli indiani in metropolitana – però francamente alcuni di quelli erano irresistibili, anche per lui – ci rideva su, mai retorico, mai sopra le righe, mai enfatico, capace di leggerezza e di solennità, ma senza mai sbagliare i tempi e i luoghi della leggerezza e della solennità. Elegante, eloquente, capace di parlare con quella voce profonda e con quelle parole, capace di parlare come nessuno, ma anche capace di tacere come nessuno. E io, anzi, voglio dire che il suo stile è diventato, per me, ancora più luminoso negli ultimi anni della sua vita, gli anni imolesi, anni silenziosi, anni garbati, anni affettuosamente domestici. 
Insomma, conclusivamente, se ne è andato un uomo di una classe davvero difficile da avvicinare e, a mio giudizio, se ne è andato l'ultimo, o forse uno degli ultimi esponenti di quella specie ormai estinta di intellettuali politici e di politici intellettuali che hanno innervato il meglio della nostra secolare vicenda nazionale, e Dio sa quanto ne avremmo ancora bisogno. 
Grazie, Renato, e un abbraccio affettuoso alla famiglia (Generali applausi – L'Assemblea e il rappresentante del Governo si levano in piedi).