Data: 
Mercoledì, 5 Agosto, 2015
Nome: 
Chiara Braga

A.C. 2607-A ed abbinate

 

 Signora Presidente, signora Sottosegretaria, onorevoli colleghi, oggi l'aula inizia l'esame del disegno di legge delega per il riordino delle disposizioni legislative in materia di sistema nazionale e coordinamento della protezione civile, un disegno di legge che ha trovato origine da una prima proposta del gruppo del PD e che ha visto affiancarsi l'iniziativa di più gruppi parlamentari, mi sembra di poter dire, in un contesto di significativa condivisione delle sue finalità. 
Discutere di protezione civile significa prima di tutto ricordare che l'Italia è un paese estremamente fragile, esposto ad un pluralità di rischi di origine naturale – idrogeologico, sismico, vulcanico – e di origine antropica, in un territorio fortemente urbanizzato e densamente abitato, che lo rende unico al mondo; ai rischi naturali e a quelli strettamente connessi alla normale attività dell'uomo si sommano purtroppo abbandono nella cura del territorio, abusivismo, irresponsabile consumo di suolo. Ce lo ricordano, per ultime, le calamità che hanno colpito nelle scorse settimane la città di Firenze e i comuni della riviera del Brenta in Veneto e l'ennesima tragedia che ha provocato oggi in Cadore tre vittime a seguito di una frana. 
Sempre più spesso ormai si verificano calamità naturali determinate per effetto dei cambiamenti climatici ed aggravati purtroppo dalla mancanza di prevenzione e talvolta anche di una corretta gestione dell'emergenza. 
Si tratta di una questione di rilevanza sociale ma anche economica, se pensiamo che dal dopoguerra a oggi, oltre a migliaia di vittime, il costo dei danni legato a frane, alluvioni e terremoti è stimato nella spaventosa cifra di oltre 240 miliardi di euro; le risorse necessarie per fronteggiare gli effetti causati da questi eventi tendono ad aumentare di anno in anno, superando di gran lunga i costi che sarebbero necessari per limitare il rischio e contenere i danni. 
La prevenzione quindi è l'obiettivo primario da perseguire in un Paese che non vuole rincorrere solo le emergenze ma immaginare uno scenario di sviluppo sostenibile e capace di farsi carico della sicurezza dell'ambiente e dei suoi abitanti. 
Per questo appare prioritario investire energie e risorse per rafforzare la cultura della previsione, della prevenzione e della mitigazione del rischio, una maggiore consapevolezza nei cittadini e di tutti gli attori che hanno un ruolo e una responsabilità nel complesso sistema della risposta all'emergenza, e nello stesso tempo affrontare con maggiore efficacia ed equità la gestione dell'emergenza e di tutte le misure necessarie a ripristinare condizioni di sicurezza nell'immediato e una progressiva ripresa delle normali condizioni di vita nelle aree colpite. 
Questo compito nel nostro Paese è assegnato alla Protezione Civile, che è appunto «l'insieme delle attività messe in campo per tutelare l'integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l'ambiente dai danni o dal pericolo di danni che derivano dalle calamità: previsione e prevenzione dei rischi, soccorso delle popolazioni colpite, contrasto e superamento dell'emergenza e mitigazione del rischio». 
La protezione civile non è un compito assegnato a una singola amministrazione, ma è una funzione attribuita a un sistema complesso, modulare e articolato sul territorio: il Servizio Nazionale della Protezione Civile. Il Servizio Nazionale opera a livello centrale, regionale e locale, nel rispetto del principio di sussidiarietà. I princìpi istitutivi della Protezione civile trovano collocazione nella legge n. 225 del 1992, poi aggiornati dal decreto legislativo n. 112 del 1998, che richiamano appieno l'originalità italiana di una configurazione modulare, improntata sul coinvolgimento, la responsabilizzazione dei livelli territoriali e la sinergia con i livelli centrali. 
La Protezione civile italiana rappresenta un'eccellenza a livello internazionale, riconosciuta e valorizzata anche nelle esperienze non solo di gestione di grandi emergenze sovranazionali, ma da sempre promotrice anche di un'evoluzione della normativa europea in materia di protezione civile; è l'insieme di donne e uomini che con coraggio e onore affrontano le emergenze, come stanno dimostrando anche in queste ore, e il frutto della presenza nel sistema di professionalità tecniche e scientifiche elevate, rappresentate da tutte le componenti e strutture operative, e dalle autorità di protezione civile articolate sul territorio. 
Queste considerazioni iniziali penso siano indispensabili per inquadrare correttamente il senso di questo ddl: non sovvertire un sistema che funziona e che ha già saputo riformarsi, attraverso la legge 100 del 2012 e la successiva legge 119 del 2013, superando alcune degenerazioni che nel recente passato hanno rischiato di compromettere il valore indiscutibile del sistema di protezione civile italiano, dai grandi eventi alle deroghe incontrollate – ma al contrario affrontare in un contesto adeguato alcune criticità con cui il sistema si trova a fare i conti ogni qualvolta si manifesta uno stato di emergenza. 
È innegabile infatti che di fronte all'aumentare della frequenza e della complessità delle situazioni di rischio, alla disomogeneità delle condizioni di intervento, il sistema di protezione civile oggi è sottoposto a sfide nuove e sempre più articolate, che impattano direttamente sui cittadini, le istituzioni, le imprese che si trovano coinvolte in una calamità e nel conseguente stato di emergenza. 
Una prima questione di cui si occupa questo ddl è quindi l'adeguatezza del quadro normativo vigente in materia di protezione civile. 
La legge quadro 225 del 1992 è stata oggetto di molte modifiche, integrazioni, aggiunte, a mezzo di successive disposizioni legislative e anche per effetto di singole ordinanze conseguenti allo stato di emergenza che si sono rese necessarie di volta in volta per dare risposta a calamità che hanno colpito aree diverse dei paese; tutte con lo scopo meritorio di cercare le migliori risposte possibili e cittadini, imprese, istituzioni, ma che hanno restituito un quadro disorganico e disomogeneo, che ha spesso finito per generare una sperequazione non voluta ma inevitabile tra cittadini appartenenti ad aree territoriali diverse ma tutti appartenenti alla stessa nazione. Nella maggior parte dei casi poi si è intervenuti sotto l'effetto dell'onda emotiva generata da una calamità o dall'esigenza di correggere storture del sistema (ricorso improprio a procedure in deroga, allargamento a dismisura dei poteri di commissariamento con conseguente indebolimento della trasparenza e rispetto della legalità) o esigenze di effettuare economie di bilancio, intervenendo quindi in maniera frammentaria solo su alcuni aspetti, senza preoccuparsi degli effetti, a cascata, sul sistema di una singola modifica: ad esempio le procedure più puntuali e dettagliate per arrivare a dichiarare lo stato di emergenza, anziché realizzare gli auspicati obiettivi di trasparenza, hanno finito per produrre un disallineamento tra i tempi di adozione dei provvedimenti emergenziali e le aspettative di cittadini e territori. Pur rappresentando ancora il punto di riferimento essenziale del sistema nazionale di protezione civile e confermando la sua validità di impostazione oggi è necessario intervenire con un'azione di riordino e razionalizzazione del quadro normativo. 
Protezione civile è capacità di intervenire quando la calamità c’è stata, ma è anche tutto quello che sta a monte: prevenzione, effettiva conoscenza, previsione e consapevolezza del rischio, gestione della fase acuta dell'emergenza. Esiste un quadro molto diversificato a livello nazionale. Nella fase più critica dell'emergenza a volte è difficile far funzionare la filiera delle varie responsabilità; al di là dei ruoli formali riconosciuti e attribuiti si genera sovrapposizione di competenze, si fatica a far fruttare al meglio il contributo prezioso del volontariato spontaneo che dovrebbe appoggiarsi al lavoro fondamentale del volontariato organizzato – punta di eccellenza del sistema italiano, nelle sue varie articolazioni – e alle strutture di Protezione civile. È evidente invece che «una situazione di emergenza richiede in primo luogo che sia chiaro chi decide, chi sceglie, chi assume la responsabilità degli interventi da mettere in atto» e che gli strumenti necessari a ridurre il rischio, a partire dai piani di emergenza comunali, siano strumenti aggiornati e condivisi per poter garantire reale efficacia. 
E poi l'altra questione centrale e sempre ricorrente delle risorse, di cui anche oggi in quest'aula abbiamo discusso. 
Il Fondo per l'emergenza nazionale, istituito nel 2013, quest'anno, nel 2015, ha visto uno stanziamento iniziale importante, complessivamente di 220 milioni di euro, pur sapendo che queste risorse non saranno probabilmente sufficienti. Il Fondo regionale istituito nel 2001 destinato a interventi in caso di calamità di livello locale o regionale non è più finanziato dal 2010. A fronte delle cifre dei danni riconosciuti, per il pubblico e il privato, queste risorse sono del tutto insufficienti e che, per quanto una adeguata cultura della prevenzione possa concorrere a ridurre la somma dei danni, esisterà ancora per molti anni il problema di risarcire danni a territori colpiti dalle calamità, nelle infrastrutture pubbliche come negli edifici privati. Allo stato attuale, nonostante lo sforzo importante che il Governo ha fatto in questi anni, abbiamo ancora emergenze nazionali alle quali non si è riusciti a dare adeguata risposta per carenza di risorse, pur avendo avviato attività di ricognizione. 
Per questo uno dei punti della legge delega riguarda proprio la disciplina organica degli strumenti nazionali di finanziamento per l'esercizio delle funzioni di protezione civile, attribuendo la dotazione alla legge di stabilità e definendo le procedure per l'eventuale integrazione, garantendo trasparenza e tracciabilità dei flussi finanziari. 
Noi siamo da sempre convinti che un Sistema nazionale di Protezione civile non può che fondarsi su una maggiore responsabilizzazione dei cittadini, che significa migliore informazione e formazione, importanza di conoscere i rischi a cui è esposto il proprio territorio, valore della prevenzione e importanza di sentirsi responsabili in prima persona della sicurezza propria e della propria comunità. La consapevolezza è la prima forma di prevenzione perché consente di fare affidamento su una maggiore partecipazione dei cittadini anche nel momento di un'eventuale emergenza. È una sfida educativa, da affrontare nei territori, a partire dalle scuole. E poi il pieno riconoscimento e la valorizzazione del ruolo attivo dei cittadini, del volontariato, da sempre parte integrante e fondamentale del sistema di PC e di una cultura diffusa di protezione civile. 
Nel contesto istituzionale di profonda riorganizzazione degli assetti istituzionali, a partire dalla riforma costituzionale che è in discussione in Parlamento e in particolare della riforma del titolo V, che riporta al livello centrale in maniera molto chiara «l'azione di coordinamento e di indirizzo unitario» della Protezione civile e della conseguente riattribuzione di competenze istituzionali – dalla riforma Delrio fino al processo di aggregazione dei comuni – crediamo che sia questo il momento per un riordino delle disposizioni legislative in materia di protezione civile, da condurre nei tempi e nelle condizioni giuste: non interventi parziali, magari sotto l'onda emotiva di qualche calamità, ma un confronto con tutti i soggetti che fanno parte del sistema della protezione civile che porti in tempi brevi a un testo unico capace di rendere chiari strumenti, responsabilità. L'obiettivo è quello di ricostruire un quadro normativo certo e stabile, in grado di dare risposte omogenee a tutti i cittadini, in tutto l'arco in cui si esplica l'attività di protezione civile: nelle politiche di prevenzione e riduzione del rischio, nella fase dell'emergenza e anche in quella successiva, cioè quando si tratta di creare le condizioni per una ripresa delle normali condizioni di vita nei territori colpiti da calamità. 
La scelta di adottare lo strumento della delega legislativa al Governo è stata quindi orientata dall'opportunità di affrontare in un contesto appropriato un disegno di riforma ambizioso e certamente caratterizzato da un elevato grado di complessità: nel disegno di legge sono pertanto identificati al comma 1 gli ambiti di azione e al comma 2 i princìpi di delegazione e i criteri direttivi, oltre ai tempi e alle modalità di esercizio della delega (che dovrà portare all'adozione entro 9 mesi di un testo unico, di ricognizione, coordinamento e integrazione delle disposizioni in materia di sistema nazionale e coordinamento della protezione civile). 
Voglio ricordare solo per sommi capi gli ambiti della delega: attività di protezione civile, ovvero di previsione, prevenzione e mitigazione dei rischi naturali e antropici e di gestione delle emergenze (secondo quella visione unitaria dell'intero ciclo di protezione civile che è un punto di forza irrinunciabile); attribuzione delle funzioni in materia di protezione civile alle autorità territoriali, sindaci, prefetti, presidenti di Regione, Corpo nazionale dei vigili del fuoco in raccordo con le altre componenti e strutture operative del Servizio nazionale – ribadendo la funzione affidata alla struttura nazionale di coordinamento, incardinata presso la Presidenza del Consiglio dei ministri; partecipazione dei cittadini e sostegno alle organizzazioni di volontariato; ruolo e responsabilità del sistema e degli operatori di protezione civile; disciplina dello stato di emergenza e del regime derogatorio, secondo un modello che tenda sempre più verso un «diritto positivo» da applicare in situazioni di emergenza che garantisca immediatezza dell'azione e chiara identificazione delle responsabilità, anche in raccordo con la nuova disciplina dei riforma del codice degli appalti; disciplina delle procedure finanziarie e contabili; disciplina delle misure da porre in essere per rimuovere gli ostacoli alla ripresa delle normali condizioni di vita. 

Il percorso fatto fin qui, grazie al contributo importante che è venuto dalle audizioni svolte in sede istruttoria in Commissione ambiente, ci ha consentito di raccogliere molte sollecitazioni positive e le aspettative di una riforma della protezione civile, che tenga conto della complessità e del giusto equilibrio necessario a garantire al Paese un sistema a cui ci si possa affidare proprio nei momenti di maggiore criticità ed emergenza. L'occasione di discussione e di confronto che proseguirà anche in quest'Assemblea sono certa che renderà il nostro lavoro di legislatori il più possibile proficuo e soprattutto ancorato alla concretezza di temi che faticosamente ma progressivamente stanno assumendo, anche nella dimensione del dibattito politico, la rilevanza che meritano.

PATRIZIA TERZONI. Innanzitutto vorrei fare una premessa. Bisogna avere una più ampia visione di ciò che sta succedendo ora in Parlamento e nel Governo. Questa proposta di legge si inserisce in una riforma generale dello Stato: mi riferisco infatti al riordino del terzo settore, alla riforma della Pubblica amministrazione e alla riorganizzazione del comparto sicurezza, che hanno una ricaduta e una correlazione diretta con il disegno di legge sulla PC. Approfitto tra l'altro per ricordare a tutti che questo Governo sta smembrando il Corpo Forestale dello Stato che da sempre ha dato un contributo cruciale alla protezione civile in fase emergenziale, soprattutto nell'ambito del dissesto idrogeologico e incendi boschivi. 
Tutte queste «riforme» non possono non avere un forte impatto sulla forma dello Stato stesso, sullo spazio e sulla qualità dei diritti sociali e del lavoro e, infine, sulla democrazia. Mi riferisco infatti ai numerosi provvedimenti in discussione o già approvati che hanno un unico filo conduttore: «la delega al Governo», prassi che sta svilendo ogni giorno di più l'attività parlamentare. 
Tanto che ormai anche gli stessi Deputati e Senatori di maggioranza per vedersi approvare una legge, delegano il Governo a farla. 
Come MoVimento 5 Stelle, non abbiamo presentato una proposta di delega, anche perché non ci fidiamo affatto di questo Governo Renzi ma siamo entrati nel merito presentando proposte di modifica, alcune già accettate, ma molte altre no. Spero che lo spirito di collaborazione nato in commissione continui in aula al fine di poter dettagliare ancora di più questa ennesima delega e per far si che essa non sia totalmente in bianco. 
Comprendiamo però che è necessario modificare il quadro normativo sulla Protezione Civile, poiché sono circa quindici quelli emanati negli ultimi dieci anni. Vorrei inoltre ricordare che sono provvedimenti elaborati sotto la pressione di emergenze a volte molto ingigantite, che hanno da un lato spezzettato e resa irriconoscibile la ratio individuata con fatica nei precedenti venti anni, dall'altro ridotto il servizio nazionale a mero strumento di gestione delle emergenze e dei grandi eventi gestiti al di fuori di qualsiasi canale istituzionale. 
Negli anni, a causa di questo modus operandi, nel nostro Bel Paese si è ormai radicato il principio che qualsiasi cosa può essere realizzata sotto la spinta dell'emergenza, grazie anche all'ausilio di pesanti strumenti derogatori. Si sono Infatti stravolte le normali procedure ordinarie di amministrazione e gestione del territorio, andando a creare non pochi problemi giudiziari ed ingenti danni economici ed ambientali. 

Per questo motivo abbiamo chiesto di inserire all'interno di questa legge delega l'esclusione della possibilità di dare alle norme comunitarie, alla norma penale, al codice di procedura penale, alle norme in materia di responsabilità penale e amministrativa, alle norme in materia di avviamento al lavoro e sicurezza del lavoro, alle norme di tutela ambientale, alla normativa antimafia e anticorruzione alle norme riguardanti il controllo e la vigilanza sull'esecuzione degli appalti pubblici, nonché alle disposizioni in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture fatta eccezione per specifiche disposizioni parzialmente derogabili in casi espressamente predeterminati e definiti in ragione del grado di emergenza, del livello di rischio per la popolazione e del settore di intervento. Questo perché ci rendiamo conto che in fase emergenziale c’è bisogno di parziali deroghe, ma considerati i continui abusi che si sono fatti negli anni di questo strumento, è bene definire dove, come per quali motivi si può derogare. 
Questa proposta per noi sembra più che logica anche perché è uno dei punti più cari e conosciuti all'opinione pubblica ed ai fatti di cronaca (mi riferisco, ad esempio, alla gestione del terremoto e post terremoto all'Aquila). Purtroppo però non è stato accolto in commissione, quindi ne approfitto qui per richiamare l'attenzione del Governo e del Partito di maggioranza nell'accettare questa nostra modifica. 
Sempre in base al principio di avere un controllo nelle procedure derogatorie e dell'utilizzo della struttura della protezione civile, proponiamo di inserire una indicazione di quali interventi non possono essere considerati propri delle finalità e dei compiti di protezione civile. 
Un altro punto importante, visto che i limiti di questa delega appaiono estremamente ampi e vaghi, è il controllo del Parlamento sul rispetto di tali limiti in sede di emanazione dei decreti delegati. Infatti viene prevista la sola acquisizione di pareri presso il Consiglio di Stato e le Commissioni parlamentari, sotto uno stretto limite temporale. Prevedendo dunque che tali pareri non siano vincolanti e pertanto possono essere anche totalmente disattesi. Inserire qui un vincolo è fondamentale per poter poi entrare effettivamente nel merito della vera riforma della Protezione Civile, che si sta totalmente delegando. 
Per quanto riguarda il volontariato, secondo noi esso deve trovare massima valorizzazione e totale riconoscimento, ma nel rispetto del principio che per quanto utile, mai esso deve sostituirsi allo Stato o equiparato ad una struttura di questi. Il volontariato non può in alcun caso svolgere attività di ordine pubblico, sicurezza e disciplina stradale, né attività e compiti propri di altri enti che concorrono alle operazioni di intervento e né funzioni che non siano strettamente attinenti allo stato emergenziale. Questa delimitazione deve trovare applicazione in ogni campo, sia nelle fasi emergenziali del soccorso, sia in quelle continuative delle attività di previsione e prevenzione. 
I volontari della Protezione civile non devono quindi essere utilizzati per mancanze o deficit della ordinaria amministrazione ma devono essere elevati al loro vero compito di prevenzione e soccorso in fase emergenziale. 
Per quanto riguarda il numero unico europeo 112. Come inserito nel disegno di legge Madia grazie ad un emendamento de MoVimento 5 Stelle a firma Lombardi, sarà finalmente operativo il numero unico. Quindi, in questa sede, chiediamo semplicemente l'istituzione di un sistema di coordinamento tecnico-operativo tra le due sale operative, cioè tra NUE e Protezione civile. Un coordinamento che a noi sembra fondamentale, in quanto solo così si può garantire uno scambio rapido ed efficace dei dati tra i due sistemi in fase emergenziale. 
Uno dei principali problemi che si ha a seguito di un evento calamitoso è la ripercussione sulla vita economica, lavorativa e sociale della popolazione colpita. Per limitare queste ripercussioni siamo soddisfatti che il Governo abbia recepito la nostra proposta di dare indicazioni sulle modalità di reperimento delle forniture di beni di prima necessità, di servizi e di materiali necessari nelle diverse fasi dell'emergenza, prevedendo meccanismi atti a favorire il coinvolgimento delle attività presenti sul territorio così da sostenere l'economia locale delle aree interessate dall'evento. 
Alla luce di questa apertura da parte del Governo e del partito di maggioranza nel seguire questo principio di supporto alla popolazione colpita, approfitto per proporre una ulteriore modifica. 
Credo sia condivisibile definire e rendere strutturali in fase emergenziale i criteri e le metodologie per il riconoscimento, su tutto il territorio nazionale, dell'erogazione di agevolazioni, contributi e forme di ristoro per i soggetti colpiti da eventi per i quali sia stato dichiarato lo stato di emergenza. 
Questo è necessario, secondo noi, per andare subito in aiuto alle popolazioni colpite senza dover aspettare decreti legge da parte del governo. Questo comporterà anche una minore tensione sociale ed un ripristino più veloce delle normali condizioni di vita. Stesso discorso vale per la definizione dei modelli fiscali che consentano di porre gli interventi di prevenzione e riparazione dei danni da calamità naturale a carico della fiscalità generale, escludendo qualsiasi forma di assicurazione obbligatoria da parte dei cittadini. 
Per quanto riguarda i piani di emergenza, siamo in parte soddisfatti che il governo abbia accettato la nostra proposta di una periodica revisione e valutazione dei piani comunali, ma sarebbe anche necessario che piani emergenziali considerati come uno strumento sovraordinato di pianificazione necessario per l'adozione di qualunque altro strumento urbanistico locale. Ciò perché deve essere chiaro che il concetto della prevenzione deve partire non solo da una cultura personale, ma anche dalla organizzazione e dalla gestione del territorio in cui si vive. E qualsiasi piano urbanistico va coordinato al meglio con i piani di emergenza così da avere un'ottimizzazione dell'efficienza e della operatività di questi. 
La votazione di queste modifiche avverrà con l'avvicinarsi dell'autunno, quando inizieranno anche le prime piogge e ritorneranno a galla tutti i problemi della mala gestione del territorio italiano. 
Sarà l'ennesimo autunno caldo per molti italiani, i quali si troveranno sommersi da acqua e fango e credo che sia opportuno dar loro un segnale accettando queste proposte. Proposte che, ribadisco, sono necessarie per aiutare concretamente e fin da subito i nostri concittadini. 
Rifletteteci sotto l'ombrellone e buone ferie a tutti !