• 30/07/2015

“Continuano le polemiche su quella che dovrebbe essere un’esigenza condivisa da tutti. Ovvero affermare il principio secondo il quale dopo la chiusura delle indagini, debba essere stabilito un tempo certo per indagati e persone offese per sapere se c’è rinvio a giudizio e archiviazione”. Cosi’ Anna Rossomando, deputata del Pd in commissione Giustizia, sul ddl che riguarda il processo penale in replica all’ANM.

“Se il timore riguarda indagini complesse come quelle su mafia, terrorismo o corruzione, penso che – aggiunge la deputata del Pd – non ci sia nessun problema a definire meglio, nel prosieguo della discussione, un meccanismo che tenga conto di questo. Oltre ovviamente, alla norma transitoria (già presente tra gli emendamenti) che stabilisce che la norma varrà per i procedimenti successivi all’entrata in vigore della legge.

Come autorevolmente chiarito dal Procuratore Generale Roberto Scarpinato, già oggi il codice prevede che il PM concluda le indagini nel termine massimo di due anni, gli atti successivi di indagine sono inutilizzabili e la norma che si vuole ora introdurre è finalizzata unicamente a rimuovere stasi anomale del processo, che oggi si verificano. I tre mesi, è appena il caso di ricordare, decorrerebbero dopo l’avviso di conclusione delle indagini che già contiene l’addebito del fatto-reato con la contestazione della condotta. Evitare possibili scompensi e assicurare l’esito di indagini complesse come ad es. quelle per mafia, terrorismo o corruzione è patrimonio di tutti; e per questo si possono introdurre miglioramenti. Ma il diritto del cittadino sottoposto a indagine o della vittima di un reato di non essere sospesi a un tempo indeterminato per un rinvio a giudizio o un’archiviazione deve essere salvaguardato, evitando il raggiungimento della prescrizione di un reato”.