• 16/03/2015

“E’ sempre più evidente che l'impalcatura sistemico-giuridica ereditata dal passato, fatta di dirigenti inamovibili, di allegati infrastrutture concepiti come il libro dei sogni e di leggi obiettivo inefficaci e incapaci di stare sul profilo dell'innovazione, non regge più. L'eccessivo livello di discrezionalità soggettiva nella selezione delle opere, unito a procedure complesse e farraginose a cominciare dal codice degli appalti e a una strumentazione normativa desueta nella quale ad esempio l'utilizzo di general contractor priva il settore pubblico del suo naturale ruolo di verifica e di controllo, costituiscono l'oggettivo brodo di coltura per l'inefficienza del sistema e per il sorgere di fenomeni illeciti”. Lo dichiara il deputato Enrico Borghi, capogruppo del Pd in commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici, commentando le vicende giudiziarie di Firenze “che – spiega - a prescindere dai contenuti di carattere penale che non ci riguardano e che afferiscono alla responsabilità personale, rimandano ad alcune riflessioni di fondo che come Pd in commissione abbiamo già avuto modo di esprimere”.

“Occorre - prosegue Borghi - portare anche in questo comparto il vento del cambiamento e della riforma, mutuando ad esempio la filosofia della riforma Madia che punta a mettere la parola fine alle baronie della pubblica amministrazione, centrali o periferiche che siano, e a introdurre modalità di qualità e di merito nella selezione del management pubblico. Anche, e soprattutto, nel campo dei lavori pubblici. Già all'indomani della presentazione del rapporto Cresme sulle grandi opere avevamo richiesto una verifica nella commissione competente con il ministro Lupi per valutazioni sui cambiamenti da fare. A maggior ragione oggi serve una riflessione complessiva".