• 12/03/2015

Mi preme innanzitutto spiegare la ragione ultima di questo importante provvedimento: far ripartire il Paese e tagliare i lacci che hanno tenuto bloccati la sua economia e il suo sviluppo. Esso contiene elementi positivi rilevanti per il sistema bancario: penso agli incentivi per le start up innovative (raccolta di capitali su portali on line, circolazione quote) e le imprese che realizzano opere di ingegno; al credito all’esportazione che prevede prestiti diretti a quell’export che tanta parte ha avuto nel reggere nella fase più dura della crisi. E ancora alla norma votata all’unanimità sulla portabilità dei conti bancari senza onori per il cliente.

Mi corre l’obbligo di un riferimento alle trasformazioni delle banche popolari, centrali di fronte ai cambiamenti bancari nello scenario post crisi. Il decreto non si prefigge alcuna ritorsione, né vuole l’estinzione di tali istituti, ben consapevole del ruolo svolto da essi nei territori, come garanti di giustizia sociale soprattutto durante la crisi. Tuttavia lasciatemi dire che non esiste uno schema “banche buone” contro “banche cattive”. Già ora le popolari hanno perso molte della caratteristiche che le distinguono dalle spa, conservando, nel concreto, solo il sistema del voto capitario. Principio che tuttavia non sempre è stato garanzia di trasparenza e correttezza. Per questo era necessaria una riforma che, pur tutelando i risparmiatori e il carattere nazionale, ne prevedesse la ristrutturazione. Soprattutto alla luce del mancato processo di autoriforma tante volte sollecitato da parlamento e governo, e mai attuato.

Lo ha detto l’on. Silvia Fregolent, vice capogruppo Pd, nella dichiarazione di voto finale sul decreto sul sistema bancario e investimenti, annunciando il voto favorevole del Partito Democratico.