13/01/2016
Walter Verini
Ferranti, Amoddio, Bazoli, Berretta, Campana, Ermini, Giuliani, Greco,Giuseppe Guerini, Iori, Leva, Magorno, Marzano, Mattiello, Morani, Giuditta Pini, Rossomando, Rostan, Tartaglione, Vazio, Zan, Martella, Cinzia Maria Fontana, Bini.
3-01926

Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che: 
poche settimane prima dell'avvio della XVII legislatura, l'8 gennaio 2013, il tema del sovraffollamento delle carceri italiane era stato affrontato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, con la cosiddetta sentenza Torreggiani, con la quale la Corte europea dei diritti dell'uomo aveva condannato l'Italia e le aveva intimato di risolvere, entro il 24 maggio 2014, il problema del malfunzionamento cronico del sistema penitenziario poiché la situazione relativa al sovraffollamento era drammatica, così come era stato sottolineato con forza anche dall'allora Presidente della Repubblica Napolitano nel messaggio rivolto alle Camere, nel quale chiedeva misure che potessero essere adottate per rendere meno pesante la condizione carceraria e, al contempo, più certa la pena: si andava dalla richiesta di una «incisiva depenalizzazione» alla necessità della costruzione di nuove carceri, dal ricorso più vasto agli arresti domiciliari, alla limitazione della custodia cautelare e alla possibilità di far scontare la pena dei detenuti stranieri nei loro paesi di origine; 
per quanto riguardava, poi, i rimedi al «carattere strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario» in Italia, la Corte europea dei diritti dell'uomo richiamava la raccomandazione del Consiglio d'Europa «a ricorrere il più possibile alle misure alternative alla detenzione e a riorientare la loro politica penale verso il minimo ricorso alla carcerazione, allo scopo, tra l'altro, di risolvere il problema della crescita della popolazione carceraria»; 
l'articolo 27 della Costituzione stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato: si tratta, infatti, di un principio che, pur se spesso invocato, non ha ancora trovato la sua piena applicazione: oltre alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, lo ricorda continuamente soprattutto l'esperienza quotidiana di chi, con molte difficoltà, ogni giorno opera negli istituti penitenziari; 
in risposta a questo Governo e Parlamento hanno dato il via ad un percorso di interventi in materia carceraria: la legge sulle pene detentive non carcerarie e sulla sospensione del procedimento con messa alla prova per reati di non particolare allarme sociale, ispirata alla cosiddetta «probation processuale», ha, ad esempio, introdotto importanti norme in grado di incidere sulla situazione emergenziale delle carceri e di diminuire il carico dei procedimenti penali, evitando il processo, che viene sospeso per sottoporre l'imputato ad un progetto che lo metta alla prova: se l'esito è positivo, il reato si estingue, favorendo una graduale crescita delle misure alternative al carcere e influenzando positivamente il sistema di esecuzione della pena; 
molte altre sono state le misure volte a ridurre il numero dei reclusi in carcere, attraverso interventi tanto di diritto penale (delega al Governo per l'introduzione di pene detentive non carcerarie e per depenalizzare), quanto di diritto processuale penale: molto importante anche l'articolo 2 del decreto legge n. 78 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 94 del 2013, e l'articolo 3 del decreto legge n. 146 del 2013, convertito, con modificazioni, della legge n. 10 del 2014, che hanno, da un lato, ridimensionato le preclusioni all'accesso alle misure alternative nei confronti dei condannati recidivi e, dall'altro, dilatato i presupposti per l'applicazione dell'affidamento in prova al servizio sociale, anche grazie ai quali si sono fatti notevoli passi in avanti verso il sostanziale abbattimento del fenomeno del sovraffollamento e un riallineamento con gli standard europei; 
sempre più rilevante è risultato, inoltre, l'apporto degli enti territoriali al percorso dell'esecuzione penale esterna e si va delineando come sempre più sistematico l'intervento del terzo settore che da sempre costituisce una grande risorsa del nostro Paese; 
per tale via si sta gradualmente realizzando il coinvolgimento della società nell'opera del recupero del condannato. La valorizzazione dei comportamenti attivi diretti a riparare il danno causato dalla commissione del reato, prima nei confronti della vittima e poi nei confronti della società, costituisce la chiave di volta per rendere accettabile agli occhi della pubblica opinione una pena scontata fuori dal carcere: il ricorso, reso più semplice e più efficace, alle pene alternative si sta rivelando positivo ed efficace in termini di rieducazione, legalità e sicurezza, a dimostrazione che le sterili politiche securitarie a parole, lungi dal dimostrarsi garanzia di legalità, sono superate dal punto di vista della modernità del diritto; 
la strada però è ancora lunga e richiede impegno, investimento di risorse e determinazione in tema di formazione, lavoro, socializzazione, mediazione culturale, recupero e riabilitazione e reinserimento dei detenuti –: 
se il Ministro interrogato non ritenga utile e opportuno fornire dati il più possibile aggiornati in merito all'effettivo grado di applicazione sull'ammissione al lavoro esterno, nonché in merito all'impatto dell'applicazione delle nuove norme in materia di messa alla prova e, più in complessivamente, sull'andamento dell'esecuzione penale esterna, e infine, nel quadro più generale delle politiche carcerarie, quali ulteriori iniziative intenda adottare al fine di assicurare un decisivo impulso alla formazione del personale, al lavoro esterno e alla socializzazione e al reinserimento dei detenuti, in linea con quanto emerso anche dai lavori degli Stati generali dell'Esecuzione Penale. 

Seduta del 14 gennaio 2016

Illustrazione di Giuditta Pini, risposta del governo di Andrea Orlando, Ministro della Giustizia, replica di Walter Verini.

Illustrazione

L'articolo 27 della nostra Costituzione stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. L'Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo con la sentenza Torreggiani e poi ha avuto anche un accorato appello alle Camere dal Presidente Napolitano. Dopo quest'appello, il Governo e il Parlamento hanno dato vita a un percorso di interventi in materia carceraria come la messa alla prova e l'ammissione al lavoro esterno. 
  Sappiamo bene che la strada è ancora lunga e richiede impegno, investimento di risorse e determinazione. Chiediamo, però, se il Ministro non ritenga utile e opportuno riferire e fornire i dati più possibile aggiornati in merito all'effettivo grado di applicazione sull'ammissione al lavoro esterno, nonché in merito all'impatto relativo all'applicazione delle nuove norme in materia di messa alla prova e, infine, quali ulteriori iniziative intenda adottare al fine di assicurare un decisivo impulso alla formazione del personale al lavoro esterno, alla socializzazione e al reinserimento dei detenuti, in linea con quanto emerso anche nei lavori degli stati generali dell'esecuzione penale.

Risposta del Governo

Come giustamente ricordano gli onorevoli interroganti il tema del sovraffollamento carcerario ha rappresentato una delle questioni principali e più gravi con le quali ci si è dovuti confrontare sin dall'inizio di questa legislatura. Oggi possiamo affermare di essere usciti dall'emergenza, anche se naturalmente resta molto da fare. La centralità accordata dal Governo all'utilizzo sempre più ampio delle misure alternative al carcere, come elemento strutturale di una nuova politica di esecuzione della pena, emerge anche dalla nuova architettura offerta dal regolamento del Ministero della giustizia che prevede la istituzione del nuovo Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, che coniuga la sperimentata capacità del settore minorile nel trattamento al di fuori del circuito penitenziario con l'esecuzione penale esterna per gli adulti. 
  Il bilancio che può tracciarsi all'esito del primo anno di applicazione delle norme che hanno introdotto sanzioni non detentive è decisamente incoraggiante. Al 31 dicembre 2015 la popolazione carceraria è scesa a 52.164 detenuti, sono invece ben 39.274 i soggetti che si trovano in regime di esecuzione penale esterna. Per comprendere il salto di qualità cito un altro dato: alla fine del 2010, l'anno in cui venivano notificati i ricorsi Torreggiani al Governo italiano, il numero dei soggetti in esecuzione penale esterna era di 21.494 ed erano 67.971 i ristretti in carcere; una crescita di quasi 18.000 unità in termini assoluti e quasi del 100 per cento in termini percentuali. Ciò significa che nel ridurre la popolazione carceraria non abbiamo generato impunità, posto il numero di detenuti trattati dal sistema penale che è rimasto grosso modo invariato. Ciò che è cambiato è la cultura dell'esecuzione della pena e questo risultato si deve anche al lavoro straordinario svolto dalla magistratura e dalla polizia penitenziaria e all'apporto degli enti locali che sono chiamati sempre più spesso ad offrire possibilità di lavoro esterno per i detenuti. Peraltro, si sta sperimentando, in occasione dell'anno giubilare in corso, proprio un progetto di carattere significativo su questo tema. Le convenzioni stipulate nel corso del 2015, peraltro, hanno reso disponibili 12.687 posti di lavoro per lo svolgimento di attività di carattere riparativo. A fine del 2015 i detenuti ammessi al lavoro esterno erano 1.413 mentre la sanzione della messa alla prova era in corso in favore di 6.557 condannati in luogo dei 505 destinatari della misura al 1ogennaio dello stesso anno. Anche il dato delle misure eseguite nell'intero periodo, pari a 9.690, descrive un trend assolutamente positivo, dimostrando altresì da parte di avvocati e magistrati la condivisione di una comune cultura innovativa concretamente orientata nella prospettiva di cambiamento e di attuazione del dettato costituzionale.

Replica

 Grazie Presidente. La risposta del Ministro alla nostra interrogazione è da un lato importante, dall'altro incoraggiante. Importante perché i dati che ci ha fornito attestano come il lavoro compiuto in questi anni dal Governo e dal Parlamento lungo la strada del carcere come extrema ratio, lungo la decarcerizzazione, lungo l'adozione di provvedimenti che portano l'esecuzione penale all'esterno, abbia dato dei risultati importanti e naturalmente si parla di reati di non grave allarme sociale. Al tempo stesso sono dati incoraggianti, perché confermano l'inversione, anche culturale, che si è avuta in questi anni per affermare un concetto di pena e di certezza della pena che non sia vendetta. La Costituzione, ma anche i principi dell'umanità, il livello di civiltà europea dicono che il carcere deve essere un luogo dove chi ha sbagliato paga, ma dove viene rieducato, recuperato e reinserito. Occorre investire in questo senso, anche con il lavoro che avete compiuto e che si sta compiendo con l'esito degli stati generali dell'esecuzione penale, e si deve – secondo noi Ministro, e su questo invitiamo ancora il Governo ad andare avanti e troverà il nostro appoggio – lavorare ancora di più per fornire alle nostre carceri dotazioni e risorse per fare sempre più formazione, per insegnare un mestiere, per socializzare. Investire in queste cose, non significa soltanto, come è stato spesso detto, investire in umanità, ma anche in sicurezza, perché un detenuto che ha sbagliato, che paga il suo debito e che poi esce dal carcere reinserito, recuperato, con un mestiere in mano, non torna a delinquere; lo dicono le statistiche e lo dice la civiltà giuridica e penale del mondo occidentale. Questo, anche dal punto di vista dello spread che a noi interessa, è uno spread da saldare; l'Italia sarà più civile con delle carceri di questo tipo.