25/10/2016
Donata Lenzi
Gelli, Amato, Argentin, Beni, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, D'Incecco,Fossati, Grassi, Mariano, Miotto, Murer, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Giuditta Pini, Sbrollini, Marazziti
1-01404

La Camera, 
premesso che: 
secondo l'ultimo report della Commissione europea (direzione generale affari economici e finanziari) e dal Comitato di politica economica (CPE) «la spesa pubblica per l'assistenza sanitaria e assistenza a lungo termine è andata aumentando nel corso degli ultimi decenni in tutti gli Stati membri». Nel 2015, esso rappresentava l'8,7 per cento del PIL nell'Unione europea e potrebbe arrivare fino al 12.6 per cento del PIL nel 2060; secondo la relazione congiunta sulla Salute e i Sistemi di assistenza a lungo termine e la sostenibilità fiscale il documento esplora «le principali sfide e le possibili soluzioni politiche per assicurare la sostenibilità fiscale dei sistemi sanitari nell'Unione europea in un contesto di invecchiamento delle popolazioni e tenendo conto delle costose innovazioni tecnologiche che faranno aumentare l'assistenza sanitaria e le spese di assistenza a lungo termina nel futuro»; 
secondo l'ultimo rapporto Eurostat del marzo 2016 l'Italia spende il 7,2 per cento del prodotto interno lordo per la salute. Un dato che ci colloca nella media europea. Al vertice la Danimarca (8,7 per cento), seguita da Finlandia (8,3 per cento), Francia (8,2 per cento), mentre all'ultimo posto per il peso dell'istruzione sulla spesa pubblica (7,9 per cento nel 2014 a fronte del 10,2 per cento medio dell'Unione europea) e al penultimo posto per quella destinata alla cultura (1,4 per cento a fronte del 2,1 per cento medio dell'Unione europea). L'Italia paga soprattutto il peso preponderante della spesa per la protezione sociale (41,8 per cento a dispetto del 40,4 per cento dell'Unione europea) nonché della spesa per il funzionamento della pubblica amministrazione ove l'Italia spende l'8,9 per cento del prodotto interno lordo (a fronte del 6,7 per cento medio dell'Unione europea), e il 17,4 per cento della spesa pubblica a fronte del 13,9 per cento dell'Unione europea; 
per quanto riguarda la spesa pubblica per la sanità in Italia (esclusa la Long term care) essa dovrebbe crescere (nel Riskscenario) dell'1,2 per cento sul prodotto interno lordo al 2060, meno di quanto è stimata la crescita nell'Unione europea (+1,6 per cento sul prodotto interno lordo); 
la nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2016 presenta una revisione al ribasso delle stime sull'andamento dell'economia italiana per l'anno in corso rispetto alle previsioni formulate nel documento di economia e finanza 2016, in considerazione del nuovo contesto internazionale meno favorevole, e, in relazione alle incertezze che caratterizzano lo scenario internazionale, anche le previsioni di crescita per il 2017 sono ridimensionate; 
per quanto riguarda il quadro macroeconomico programmatico per gli anni 2017 e successivi, la manovra di bilancio 2017-2019, come indicato nella nota, avrebbe un impatto positivo sulla crescita, sia pur nell'ambito di una valutazione che rimane prudenziale dato il pesante lascito della crisi degli ultimi anni, grazie anche alla politica fiscale che il Governo intende impostare per i prossimi anni; 
con specifico riguardo al settore sanitario, nel conto economico della pubblica amministrazione e legislazione vigente, relativamente alla spesa sanitaria, è indicata una cifra pari a 113,654 miliardi di euro per il 2016, con un aumento di 278 milioni rispetto a quanto indicato del DEF (secondo i decreti di riparto approvati tra Io Stato e la Conferenza per il 2014 erano stati 109,928, per il 2015 107,252 e per il 2016 108,472); 
nell'ambito degli interventi nel settore sanitario, la nota segnala l'intesa del 7 settembre 2016, raggiunta in Conferenza Stato-regioni, sullo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che prevede l'aggiornamento del decreto del 2001 riguardante i livelli essenziali di assistenza garantiti dal sistema sanitario nazionale (LEA), ricordando che allo scopo la legge di stabilità 2016 (articolo 1, comma 555) ha autorizzato una spesa di 800 milioni di euro annui a valere sulle risorse del fondo sanitario nazionale, il piano nazionale della cronicità, volto a rafforzare le reti assistenziali e ridurre i ricoveri ospedalieri, l'Intesa raggiunta sul patto per la sanità digitale; 
l’iter di aggiornamento del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri relativo ai, livelli essenziali d'assistenza, atteso da ormai 15 anni e, quello del nomenclatore tariffario degli ausili e delle protesi, atteso da 19 anni (l'attuale elenco risale al 1999, per altro identico a quello originario del 1992) sono finalmente in dirittura di arrivo (il 6 settembre 2016 la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha dato il suo parere positivo), in quanto manca solo il parere delle Commissioni parlamentari competenti; 
le differenze regionali sono uno dei problemi maggiori del sistema sanitario nazionale e, secondo l'Ocse (rapporto divisione salute 2015) pubblicato a gennaio 2015, il sistema sanitario italiano è caratterizzato da un alto livello di frammentazione e mancanza di coordinamento dell'assistenza erogata dai diversi professionisti e da una bassa e disomogenea diffusione sul territorio nazionale; sempre secondo l'Ocse ci sono in Italia 21 sistemi sanitari regionali con differenze notevoli sia per quanto riguarda l'assistenza che gli esiti, con un elevato numero di pazienti che si spostano da regione a regione; 
le ultime indagini conoscitive condotte dalle Commissioni di Camera e Senato sulla sostenibilità del sistema sanitario hanno consegnato al Parlamento ed al Governo impegnative conclusioni: una su tutte attiene alla necessità di non diminuire il finanziamento al sistema sanitario, ma di reinvestire nel sistema i risparmi che si debbono realizzare attraverso un'oculataspending review; 
un capitolo decisivo per l'efficienza del servizio sanitario nazionale riguarda il personale. Come evidenzia la relazione approvata in data 10 giugno 2015 presso la 12a Commissione del Senato della Repubblica, «il personale costituisce oggi uno dei fattori di maggiore criticità del Servizio sanitario nazionale. Nel Servizio sanitario nazionale lavorano oltre 715 mila unità di personale, di cui 665 mila dipendenti a tempo indeterminato, 34 mila con rapporto di lavoro flessibile e 17 mila personale universitario, A questo si aggiunge il personale che opera nelle strutture private (accreditate e non) e, più in generale, nell'industria della salute, fra i quali i 222 mila occupati nella filiera del farmaco (produzione, indotto e distribuzione); la sanità è, quindi, un settore ad alta intensità di lavoro, in gran parte molto qualificato»; 
ragione delle criticità è principalmente da ricondurre ai tanti vincoli imposti, sia alla spesa sia alla dotazione di personale, in questi ultimi anni, in particolare nelle regioni sottoposte a piano di rientro: riduzione della spesa rispetto al livello del 2009; blocco totale o parziale del turnover, in particolare in caso di disavanzo sanitario; blocco delle procedure contrattuali; blocco della indennità di vacanza contrattuale (congelata al 2013); blocco dei trattamenti accessori della retribuzione; contenimento della spesa per il lavoro flessibile; riduzione delle risorse per la formazione specialistica dei medici; 
un insieme di vincoli che, se hanno consentito sì una riduzione dei costi, nel contempo hanno anche prodotto una riduzione della capacità di risposta ai bisogni della popolazione, un aumento dell'età media dei dipendenti [secondo l'ultimo conto annuale curato dalla ragioneria dello Stato l'età media del personale arriva a 49,7 (uomini 51,7 donne 48,7) superiore a quella del pubblico impiego (48 anni) e, destinata ancora a crescere, visto che nel 2019 si prospetta una età media pari a 55,6 anni)], un incremento dei carichi di lavoro e dei turni straordinari di lavoro del personale nonché una serie di problematiche tra cui un malessere diffuso tra gli operatori ed una sempre più diffusa abitudine a ricorrere a varie forme di outsourcing elusive della normativa sul blocco; 
per ovviare in parte a questo, la legge n. 208 del 2015 (stabilità 2016) aveva previsto disposizioni in materia di monitoraggio, prevenzione e gestione del rischio sanitario, nonché di procedure concorsuali riservate per l'assunzione di personale precario del comparto sanità; 
in particolare, si imponeva l'obbligo alle regioni a alle province autonome di dotarsi di un piano inerente al fabbisogno di personale tale da garantire il rispetto delle disposizioni dell'Unione europea in materia di orario di lavoro e, qualora sulla base del piano del fabbisogno del personale fossero emerse criticità, queste sarebbero state risolte attraverso procedure concorsuali straordinarie; 
inoltre, si prevedeva che vi fosse una riserva di posti nella misura massima del 50 per cento per il personale medico, tecnico-professionale ed infermieristico in servizio alla data di entrata in vigore della legge che alla data del bando avesse maturato almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi cinque anni con contratti a tempo determinato, di collaborazione coordinata e continuativa o con altre forme di rapporto di lavoro flessibile; 
come già evidenziato nella mozione approvata n. 1-01323 a prima firma Lenzi del 25 luglio 2016 la spesa farmaceutica rappresenta percentualmente il 13,1 per cento delle risorse che lo Stato annualmente impegna per la sanità. A fronte di un settore così rilevante anche sul versante della tutela della salute, sono stati progressivamente introdotti strumenti di monitoraggio e di governance della spesa e di controllo sull'appropriatezza dell'uso dei farmaci; 
la mozione approvata impegnava il Governo anche «ad attivare al più presto la sperimentazione al fine di introdurre anche in Italia uno o più validi farmaci generici, e non solo un brand, per la cura dell'epatite C (HCV) in tutti i suoi stadi di gravità al fine di poter curare tutti i pazienti registrati presso il Servizio sanitario nazionale»; 
secondo l'ultimo consuntivo pubblicato dall'Aifa sulla spesa farmaceutica (territoriale, ed ospedaliera) relativa al 2015 si sono superati i 18 miliardi di euro di spesa, sforando il tetto programmato di 1,880 miliardi di euro (331 milioni quella territoriale e 1.549 milioni di euro quella ospedaliera), spesa che nel 2020 arriverà a 35 miliardi di euro, anche a causa della produzione di nuovi e costosi farmaci; 
il 5 maggio 2016 la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha approvato un documento sulla governancefarmaceutica di cui al tavolo per la revisione della disciplina sul governo della spesa farmaceutica dove specifica i principali determinanti dell'aumento della spesa farmaceutica: elevati prezzi di farmaci soprattutto nell'area oncologica, onco-ematologica e dei farmaci impiegati nelle malattie rare; schemi terapeutici che associano più farmaci ad alto costo con conseguente raddoppio della spesa (Combo therapy); invecchiamento della popolazione; incremento del numero dei pazienti in trattamento in linee terapeutiche successive alla prima; cronicizzazione dei pazienti in trattamento; fenomeni di non appropriatezza prescrittiva generati dal pressante marketing dell'industria farmaceutica; stabilità dei prezzi dei farmaci per una insufficiente concorrenzialità nel mercato farmaceutico; insufficienti manovre di disinvestimento (la riduzione dei prezzi dei farmaci a brevetto scaduto non è sufficiente a controbilanciare gli aumenti dovuti ai nuovi farmaci; allo stesso modo ai farmaci generici e ai biosimilari stante la normativa vigente non viene imposto uno sconto obbligatorio minimo); 
sempre secondo questo documento, la Conferenza delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano propone l'introduzione di misure strutturali quali l'introduzione di una nuova procedura di prezzo/volume (P/V) per la quale il prezzo si riduce o si sconta in maniera progressiva in rapporto all'aumento dei pazienti trattati, delle estensioni delle indicazioni, delle terapie combinate e dell'incremento della durata della terapie; una nuova definizione di spesa farmaceutica ove la distinzione tra spesa territoriale e ospedaliera non si basa sui percorsi distributivi ma è in funzione delle diverse modalità di acquisto; la revisione dei registri tenuti da Aifa per i farmaci ad alto costo e di particolare impatto sanitario; nuovi criteri per l'attribuzione della innovatività al farmaco con i relativi vantaggi che ne derivano; la ridefinizione della cosiddette «liste di trasparenza» così come previste dall'articolo 7 dalla legge n. 405 del 2001; la sostituibilità automatica dei farmaci biosimilari con gli originatori; una maggiore concorrenza sul mercato farmaceutico come, del resto, avviene oggi per i dispositivi medici; la revisione della delibera del Cipe 3 del 2001 ed infine una maggiore attenzione ai farmaci CNN e a quelli inseriti negli elenchi della legge n. 648 del 1996; 
almeno 350.000 italiani soffrono di infezione cronica derivante da virus dell'epatite C (HCV) e che circa il 20 per cento di tutti i pazienti con infezione cronica HCV è affetto da cirrosi, o da estesa fibrosi del fegato, e per questa ragione i pazienti con cirrosi, e sue complicanze, hanno avuto accesso prioritario ai farmaci anti epatite C orali, limitati come quantità per mantenere la sostenibilità del servizio sanitario nazionale; 
fino a fine giugno 2016 sono stati trattati con farmaci orali 50.000 italiani con tassi di guarigione superiore al 90-95 per cento, ma restano 300.000 pazienti con uno sforzo economico notevole, visto che per i primi 50.000 si sono spesi quasi 1,7 miliardi di euro; 
secondo l'ultima relazione «Sullo stato di attuazione della legge concernente le norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza» (dati definitivi – anno 2013) (dati preliminari – anno 2014) presentata in base all'articolo 16 della legge 22 maggio 1978, n. 194, alle Camere dal Ministro della salute Beatrice Lorenzin in data 27 ottobre 2015 (doc. XXXVII n. 3) si evince che per la prima volta, nel 2014, il numero di interruzioni volontarie della gravidanza (IVG) è inferiore a 100.000, infatti sono state notificate dalle regioni 97.535 Ivg con un decremento del 5,1 per cento rispetto al dato definitivo del 2013 (105.760 casi): più che dimezzate rispetto alle 234.801 del 1982, anno in cui si è riscontrato il valore più alto in Italia; 
al di là di questo risultato, il dato che più preoccupa è l'elevato tasso di medici obiettori in tutte le regioni. Risulta che in Italia il 70 per cento dei medici e degli infermieri siano obiettori di coscienza, ma ci sono regioni dove l'obiezione è ancora più alta. I picchi sono al Centro-sud, con percentuali di obiezione tra i ginecologi superiori all'80 per cento: in Molise (93,3 per cento), nella provincia autonoma di Bolzano (92,9 per cento), in Basilicata (90,2 per cento), in Sicilia (87,6 per cento), in Puglia (86,1 per cento), in Campania (81,8 per cento), nel Lazio e in Abruzzo (80,7 per cento). Per il personale non medico i valori si impennano in Molise (89,9 per cento) e in Sicilia (85,2 per cento). Si tratta, sicuramente, di una vera e propria emergenza visto che la maggior parte dei medici non obiettori, quelli che nel rispetto della legge n. 194 del 1978 praticano l'Ivg nelle strutture pubbliche, nonostante il Ministro della salute affermi che la percentuale media del 70 per cento del personale medico obiettore non incide e non leda il diritto all'accesso all'Ivg né incide sui carichi di lavoro per ciascun ginecologo non obiettore; 
le evidenze scientifiche dimostrano che sistemi sanitari con all'interno «radicati» sistemi di cure primarie sono associati ad una migliore salute della popolazione e, a differenza di sistemi basati sull'assistenza specialistica, garantiscono una più equa distribuzione della salute nella popolazione a costi minori; 
gli investimenti in edilizia e attrezzature, in ambito sanitario, sono strettamente connessi con gli sviluppi del programma straordinario di investimenti, noto come «articolo 20» della legge n. 67 del 1988, e con le sue evoluzioni successive dovute a modifiche istituzionali e all'esperienza che si è consolidata nella gestione del programma. In questi anni si è consolidata la certezza che presupposto base per la buona riuscita del programma, e in genere di ogni investimento, specie in un ambito così complesso come quello sanitario, è una attenta e coerente programmazione sanitaria, nonché l'utilizzazione di idonei strumenti; 
il programma, oggi alla fine della «fase II» di attuazione prevede una dotazione complessiva delle risorse pari a 24 miliardi di euro, di cui 820 milioni ancora da ripartire e, secondo la tabella di monitoraggio degli accordi di programma a febbraio 2016 (riferito ai soli 15,285 miliardi della «fase II», sono stati ammessi a finanziamento ben 2.289 interventi e le risorse ammesse a finanziamento sul totale degli accordi sottoscritti sono pari al 97,63 per cento; 
per quanto attiene alla prossima legge di bilancio il Ministro della salute Lorenzin, rispondendo in Aula il 19 ottobre all'atto di sindacato ispettivo n. 3-02564 a prima firma Binetti ha evidenziato come dal 2013 ad oggi il Fondo sanitario nazionale ha avuto un incremento del 5,5 per cento attestandosi per il 2017 a 113 milioni di euro e che «questo risultato (...) è stato reso possibile grazie alle significative misure di efficientamento del sistema sanitario» come la centralizzazione degli acquisti di beni e servizi, i piani di rientro aziendali, le disposizioni concordate con l'Anac per la lotta alla corruzione in sanità che hanno consentito di recuperare risorse che, come previsto dal patto della salute, è stato possibile reinvestire nel sistema sanitario. Il Ministro ha riferito che nel disegno di legge di bilancio sono contenute ulteriori disposizioni che proseguono il cammino di efficientamento del servizio sanitario nazionale e dei singoli sistemi sanitari regionali, con l'obiettivo di ridurre ed eliminare gli sprechi e reinvestire le risorse nel sistema e nelle prestazioni sanitarie tornando anche a immettere risorse nel sistema «risorse fresche», risorse che tuttavia non vengono distribuite a pioggia, ma vengono, invece, vincolate e finalizzate al raggiungimento di obiettivi di salute cruciali. Viene, infatti, istituito un Fondo strutturale per i farmaci innovativi dell'ammontare di 500 milioni di euro per l'acquisto di medicinali finalizzati alla cura di patologie gravi o fino ad oggi incurabili, come ad esempio i farmaci anti epatite C; viene istituito per la prima volta in Europa un fondo per il finanziamento dei farmaci oncologici innovativi – anche questo fondo è strutturale – per il quale vengono stanziati, anche in questo caso, 500 milioni di euro, per dare e garantire l'accesso in ogni luogo del nostro territorio nazionale ai nuovi farmaci contro il cancro; viene istituito un fondo per l'acquisto dei vaccini ricompresi nel nuovo piano nazionale vaccini, grazie al quale potranno essere assicurate gratuitamente vaccinazioni contro malattie pericolose come la meningite, che, come è noto, causa ogni anno diversi decessi, soprattutto tra la popolazione più giovane, oppure l'introduzione di nuovi vaccini, come per esempio il papilloma virus per il maschio,

impegna il Governo:

1) al fine di garantire la sostenibilità economico-finanziaria del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sull'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, ad assumere iniziative affinché nel prossimo disegno di legge di bilancio siano confermate le risorse come quantificate nell'intesa raggiunta in sede di Conferenza Stato-regioni l'11 febbraio 2016 in relazione al riparto delle risorse per il finanziamento del servizio sanitario nazionale; 
2) ad agire in modo da garantire il superamento delle differenze ingiustificate tra i diversi sistemi regionali e a procedere in modo da migliorare progressivamente i livelli di assistenza nelle aree del Paese in maggior difficoltà; 
3) ad inserire, nel prossimo disegno di legge di bilancio, misure volte a dare un'adeguata soluzione al problema del precariato in sanità nonché disposizioni per prevedere la proroga del termine per il rinnovo dei contratti a tempo determinato del personale degli enti locali occupato nell'attività di erogazione dei servizi sociali in attuazione di quanto previsto nella legge di stabilità per il 2016 per rispettare la normativa europea sugli orari di lavoro; 
4) a prevedere, nel prossimo disegno di legge di bilancio, adeguate risorse per il finanziamento dei farmaci innovativi in campo oncologico e, per quanto attiene alla cura dell'epatite C, a dare tempestiva attuazione a quanto previsto nella mozione citata in premessa; 
5) a predisporre, nei limiti delle proprie competenze, tutte le iniziative necessarie affinché nell'organizzazione dei sistemi sanitari regionali si attui il quarto comma dell'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, nella parte in cui si prevede l'obbligo di controllare e garantire l'attuazione del diritto della donna alla scelta libera e consapevole, anche attraverso una diversa gestione e mobilità del personale, garantendo la presenza di un'adeguata rete di servizi sul territorio in ogni regione, e dando piena attuazione alla mozione n. 1-00074. 
 

Seduta del 25 ottobre 2016

Dichiarazione di voto di Donata Lenzi