25/10/2016
Elena Carnevali
Binetti, Abrignani, Monchiero, Beni, Burtone, Chaouki, Gadda, Gelli, Giuseppe Guerini, Moretto, Patriarca, Gnecchi, Fiano, Cinzia Maria Fontana, Vico, Piccione
1-01406

La Camera, 
premesso che: 
la crescita in Italia è tornata positiva nel 2014, ha accelerato nel 2015 e si sta rafforzando nel 2016: le revisioni al rialzo recentemente operate dall'Istat sui dati annuali del prodotto interno lordo 2014 e 2015 hanno determinato a consuntivo un'evoluzione dell'economia italiana più positiva di quanto rilevato, non solo in termini di prodotto ma ancor più in termini di occupazione (588.000 occupati in più ad agosto 2016 rispetto a febbraio 2014); 
il ritmo della ripresa, tuttavia, è rallentato dalla durezza della doppia e profonda recessione che ha caratterizzato il periodo 2009-2013 e ulteriori ostacoli sono rappresentati dal peggioramento delle prospettive di crescita a livello internazionale, che rispetto alle attese risultano modeste, diseguali e caratterizzate da significativi rischi al ribasso; 
in particolare, l'Eurozona appare esposta al rischio di prolungata bassa crescita più di altre regioni nonostante le politiche monetarie non convenzionali e fortemente espansive messe in atto dalla Banca centrale europea, anche a causa del più avanzato invecchiamento demografico, del ridotto tasso di innovazione, dell'incertezza sulla governance dell'area, di persistenti squilibri macroeconomici, che si associano a tassi di interesse e d'inflazione su livelli storicamente assai contenuti e prossimi allo zero, tutti fattori che stanno rallentando il processo di recupero dei livelli di prodotto nazionale pre-crisi; 
è di tutta evidenza come, una fase negativa di tali dimensioni e durata abbia profondamente inciso su contesto sociale del Paese, aggravando la condizione delle fasce sociali già più deboli e delle aree territoriali economicamente meno dinamiche, che storicamente già scontavano un gapinfrastrutturale e del tessuto produttivo; 
il Governo, fin dal suo insediamento, ha caratterizzato la sua azione con una strategia orientata al rilancio degli investimenti, pubblici e privati e, in modo particolare, al sostegno dei consumi interni, attraverso l'aumento del reddito disponibile delle famiglie e la riduzione della pressione fiscale, scesa dal 43,6 del 2013 al 42,1 del 2016 (al netto del bonus degli 80 euro), fattori chiave assieme all'ambizioso programma pluriennale di riforme strutturali, che sta contribuendo a migliorare la competitività del sistema; 
il Governo, in questi anni per far fronte alla crisi e per arginare il rischio povertà che riguarda circa un terzo della popolazione, e che, ad eccezione del 2014, negli ultimi anni ha registrato una costante crescita ha messo in campo una serie di provvedimenti volti al sostegno del reddito e dell'inclusione sociale delle fasce più deboli della popolazione, alla conciliazione dei tempi tra lavoro e famiglia, alla condivisione delle responsabilità genitoriali, al contrasto della povertà estrema in particolare di quella infantile; 
in particolare, la legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015) ha previsto una serie di interventi per il contrasto alla povertà mediante l'istituzione di un fondo strutturale con una dotazione di 600 milioni di euro per l'anno 2016 e di 1.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017 e l'adozione di uno o più provvedimenti di riordino della normativa in materia di strumenti e trattamenti, indennità, integrazioni di reddito e assegni di natura assistenziale o comunque sottoposti alla prova dei mezzi, anche rivolti a beneficiari residenti all'estero, finalizzati all'introduzione di un'unica misura nazionale di contrasto alla povertà, correlata alla differenza tra il reddito familiare del beneficiario e la soglia di povertà assoluta; 
inoltre, con il decreto interministeriale del 26 maggio 2016 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 166 del 18 luglio 2016) il sostegno per l'inclusione attiva, sussidi economico che comprende una componente di servizi alla persona destinato ai nuclei familiari con figli minori o disabili, o donne in stato di gravidanza in situazione di difficoltà e già sperimentato nelle città più grandi del Paese, è stato completamente ridisegnato ed esteso a tutto il territorio nazionale. La misura, attiva dal 2 settembre 2016, è finanziata con 750 milioni di euro per l'anno in corso. Ed ancora, la legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014) ha previsto il « bonus bebé» pari a 960 euro annuo per ogni figlio nato o adottate dal 1o gennaio 2015 al 31 dicembre 2017 raddoppiato in caso di Isee sotto i 7.000 euro; la concessione di buoni per l'acquisto di beni e servizi a favore dei nuclei familiari con quattro o più figli, la carta famiglia volta all'accesso a beni e servizi a tariffe scontate; ha prorogato per il 2016 i voucher per la fruizione di servizi di baby sitting per la madre lavoratrice, al termine del congedo di maternità e in alternativa al congedo parentale, ovvero, un contributo per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati, da utilizzare negli undici mesi successivi al congedo obbligatorio, per un massimo di sei mesi; è stato costantemente finanziato il fondo per le non autosufficienze; 
parimenti, sul fronte occupazionale, l'azione del Governo si è caratterizzata attraverso una coraggiosa rivisitazione dei principali istituti lavoristici, affiancando ad una profonda revisione delle tipologie contrattuali, con l'eliminazione delle forme più precarizzanti, alla maggiore equità sociale tramite l'universalizzazione degli strumenti di sostegno al reddito per chi è disoccupato (ampliamento della base dei beneficiari della «Naspi», semplificazione dell'accesso alla «Discoll», assegno di disoccupazione involontaria (ASDI), una volta conclusa la «NASPI», per i soggetti più svantaggiati), al ridisegno delle politiche attive per il lavoro, attraverso l'istituzione dell'Agenzia nazionale, in coordinamento con i servizi per l'impiego operanti sul territorio, e la stipula dei patti di servizio personalizzato, un significativo impegno finanziario finalizzato al rilancio dell'occupazione stabile, attraverso la decontribuzione per le nuove assunzioni; 
il complesso delle misure portate avanti dal Governo per ridurre il divario sociale e per rilanciare l'economia del Paese è stato affrontato, in chiave anticiclica, pur nel rispetto dei vincoli di bilancio e dei parametri di stabilità europei e nonostante si sia dovuta affrontare, spesso senza il dovuto sostegno internazionale, la sfida dei flussi migratori dai teatri di guerra, sempre più virulenti, e dalle aree più arretrate del mondo; 
sotto la spinta determinante dell'Italia, anche memore del proprio passato migratorio, l'Europa ha accettato la dimensione duratura, e chiaramente sovra-nazionale, dei flussi migratori in atto, e la conseguente necessità di trovare una soluzione unitaria che, nel pieno rispetto delle convenzioni internazionali e della normativa europea, consenta di dare una risposta adeguata all'arrivo sul suolo dei Paesi europei di un numero elevato di richiedenti protezione internazionale; 
tuttavia, nonostante la predisposizione della cosiddetta «Agenda Juncker», l'Europa non è riuscita fino ad oggi a gestire il fenomeno in maniera unitaria e solidale, in coerenza con il principio di solidarietà ed equa ripartizione delle responsabilità fra gli Stati membri (ai sensi dell'articolo 80 del Trattato di Lisbona), sotto la spinta «egoistica» dei Paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia), lasciando il nostro Paese e la Grecia a dover farsi carico del salvataggio e dell'accoglienza di flussi crescenti di migranti; 
un tale sforzo deve fare i conti con la mancanza di risultati concreti nell'attuazione delle strategie europee in tema di migrazione: la riforma del regolamento «Dublino III», in favore di un sistema europeo di gestione delle domande di asilo, più volte annunciata dall'Esecutivo comunitario, è ferma ai tavoli di un negoziato che stenta a partire; sono falliti i programmi comunitari già adottati, come la relocation dei rifugiati (dei 160 mila previsti dall'impegno del 2015 da trasferire in due anni, è stato ricollocato appena il 3,5 per cento da Italia e Grecia) per la persistente opposizione dei Paesi del gruppo di Visegrad e di Paesi che progressivamente alzano muri e sospendono l'accordo di libera circolazione di Schengen; è ancora non applicata la proposta italiana del Migration compact per la quale non sono state ancora impegnate risorse europee atte a far decollare gli accordi con i Paesi africani di maggiore flusso e transito; 
su tali temi strategici, alcuni primi segnali positivi emergono dal documento conclusivo della prima sessione di lavori del Consiglio europeo del 20-21 ottobre, segnali a cui dovranno corrispondere atti concreti; 
al 24 ottobre di quest'anno, il numero dei migranti sbarcati in Italia si è attestato a 153.450, contro i 139.712 del 2015 e i 152.100 del 2014, a dimostrazione della natura ormai strutturale del fenomeno migratorio negli ultimi anni, ma che in questi ultimi mesi e settimane ha visto una vera e propria impennata che rischia di mettere in difficoltà la macchina dell'accoglienza e che richiede una risposta solidale dell'intera Europa; 
come ricordato anche dal capo dipartimento delle libertà civili del Ministero dell'interno, in occasione della recente audizione al comitato Schengen, l'Unione europea impone un monitoraggio costante e ossessivo dei flussi di immigrazione, ma poi non rispetta i patti, poiché ad oggi solo 1.318 ricollocamenti sono stati fatti, poiché le richieste di disponibilità di posti avanzate dall'Italia non trovano risposta. La Spagna ne ha dati 13, la Germania che ne aveva promessi 500 al mese ne ha accolti 20; 
come evidenziato, sempre nella stessa audizione, non tutti i comuni si sono impegnati nell'accoglienza; infatti solo 2.600 su 8 mila hanno dato la loro disponibilità creando grande disomogeneità, con aggregazioni imponenti e l'esclusione di un numero importante di centri abitati. Anche l'ultimo rapporto Caritas pubblicato in occasione della Giornata internazionale contro la povertà ha evidenziato come «L'obiettivo di una redistribuzione più equa a livello nazionale non appare al momento implementabile, soprattutto in quelle regioni che non intendono in alcun modo accogliere nuovi migranti, pur avendo numeri molto al di sotto di quelli registrati in altre regioni». E l'attuale situazione, anche se migliore rispetto all'anno scorso, «è frutto anche della reticenza ad accogliere da parte di moltissimi comuni (circa il 75 per cento) che oggi sul proprio territorio non hanno nemmeno un centro»; 
dall'ultimo rapporto annuale 2015 del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati Sprar, si evince, infatti, come sia fondamentale il ruolo degli enti locali come protagonisti del sistema pubblico di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Sono 29.761 le persone accolte nello Sprar nel 2015. I progetti hanno messo a disposizione 21.613 posti di accoglienza con una rete di 376 enti locali titolari di progetto (339 comuni, 29 province e 8 unioni di comuni) per circa 800 comuni coinvolti nell'accoglienza. Oltre il 40 per cento delle presenze si è registrato nel Lazio (22,4 per cento del totale nazionale con 2.500 posti su Roma) e in Sicilia (20,1 per cento), seguite da Puglia (9,4 per cento) e Calabria (8,9 per cento). Il numero di minori stranieri non accompagnati accolti nei progetti dello Sprar sono stati 1.640 su una rete attiva di 977 posti. I progetti Sprar hanno erogato complessivamente 259.965 servizi. Tali servizi riguardano principalmente l'assistenza sanitaria (20,7 per cento), la formazione (16,6 per cento), le attività multiculturali (15 per cento), l'alloggio (14,9 per cento), l'istruzione/formazione (10,9 per cento) e l'inserimento scolastico dei minori (9,5 per cento). L'assistenza sanitaria rimane stabilmente la prima prestazione necessaria, ma il 2015 vede un peso più rilevante delle attività volte all'inserimento socio-lavorativo, mentre negli anni precedenti rivestivano maggiore peso i servizi riconducibili alle prime fasi di presa in carico dei beneficiari; 
la netta predominanza di strutture a carattere straordinario, rispetto al sistema ordinario dello Sprar, sta mettendo in difficoltà la tenuta complessiva del sistema e solo una tutela reale dei comuni aderenti allo Sprar con garanzie certe può incentivare le amministrazioni ad aderire; 
tuttavia, a fronte dell'immane sforzo che il nostro Paese affronta per la gestione del fenomeno migratorio, non può essere sottaciuto che la presenza e l'integrazione degli stranieri rappresenta allo stesso tempo anche un forte elemento di dinamicità ed opportunità di crescita economica; 
come dimostrato dal «Rapporto annuale sull'economia dell'immigrazione», predisposto dalla Fondazione Leone Moressa, con il patrocinio dell'Organizzazione internazionale per la migrazione e il Ministero degli affari esteri e la cooperazione internazionale, l'apporto economico al Paese del lavoro degli stranieri si traduce in quasi 11 miliardi di contributi previdenziali pagati ogni anno, in 7 miliardi di euro di Irpef versata, in oltre 550 mila imprese straniere che producono ogni anno 96 miliardi di valore aggiunto, mentre la spesa destinata agli immigrati è invece pari al 2 per cento della spesa pubblica italiana, ovvero 15 miliardi di euro,

impegna il Governo:

1) a proseguire nel rafforzamento degli strumenti di contrasto della povertà e del disagio sociale, a cominciare dal prossimo disegno di legge di bilancio, favorendo, per quanto di propria competenza, una rapida conclusione dell’iter parlamentare dell'esame del disegno di legge di delega che introduce il reddito minimo come misura nazionale fondata sull'inclusione attiva; 
2) a valutare l'opportunità di predisporre interventi di incentivazione, anche finanziaria, nei confronti delle amministrazioni comunali che aderiscono al Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati; 
3) a valutare la possibilità di sperimentare, d'intesa con le amministrazioni comunali interessate, nuove forme di gestione dei servizi di accoglienza ed assistenza che vedano un maggiore coinvolgimento e la partecipazione più attiva dei migranti stessi; 
4) a rafforzare il sistema degli ammortizzatori sociali a favore dei lavoratori coinvolti in crisi aziendali nei settori e nei territori maggiormente colpiti dalla crisi economica; 
5) a potenziare, con adeguate risorse, gli interventi a favore delle politiche attive di ricollocamento e a favore dei centri per l'impiego, al fine di renderli sempre più efficaci nell'azione di sostegno ai disoccupati nella ricerca di occupazione. 
 

Seduta del 26 ottobre 2016

Dichiarazione di voto di Giuseppe Guerini