Data: 
Lunedì, 18 Settembre, 2017
Nome: 
Anna Ascani

A.C. 2950-A

Discussione generale

Grazie, Presidente. È con particolare emozione che oggi intervengo in quest'Aula, più per raccontare un percorso che per ripetere quanto benissimo ha fatto la relatrice che mi ha preceduto, vale a dire spiegare quali siano gli intenti e il contenuto della proposta di legge in esame. Inizio dal percorso perché ogni legge di iniziativa parlamentare che arriva qui, soprattutto quelle che arrivano a fine legislatura, hanno una storia, delle radici, hanno appunto un percorso lungo. Questa proposta di legge in particolare nasce da una chiacchierata di un gruppo di ragazzi che hanno deciso di scommettere sui propri talenti, di fare impresa a partire dal talento che hanno, di costruire un'impresa culturale; e l'hanno fatto mettendo su un'associazione culturale, cercando di arrangiarsi con strumenti che oggi la proposta di legge mette loro in mano. Infatti in un Paese che ha come principale problema di avere troppe leggi, esiste ancora una parte del Paese che, invece, non ha una legge che gli riconosca dignità e gli riconosca un ruolo. Quindi oggi prima di tutto ci vogliamo ricordare di quella chiacchierata, di quei ragazzi che poi abbiamo incontrato molte volte: la prima volta nel 2013, nella mia terra, in Umbria, e poi da allora ogni volta che la proposta di legge ha cambiato nome, ha cambiato senso, ha cambiato definizioni anche grazie al lavoro preziosissimo svolto in Commissione cultura. Spesso il Parlamento diventa teatro di discussioni che hanno tonalità molto accese, che ci fanno anche vergognare di fronte ai cittadini per le parole esagerate, per i gesti di cui ci rendiamo protagonisti. Nelle Commissioni si fa invece un lavoro preziosissimo che forse meriterebbe maggiore attenzione. La proposta di legge è la dimostrazione chiara che, quando il Parlamento si mette a lavorare insieme per sanare un vulnus, è possibile davvero arrivare a grandi risultati.

Quindi il percorso ha inizio fin dal 2013, e poi c'è stato il lavoro di un gruppo di ragazzi, che si chiama Cultura democratica, che ha posto il tema all'attenzione del Parlamento. Era il 2014. Voglio ringraziare la presidente della Commissione cultura, Flavia Piccoli Nardelli, per aver investito personalmente sulla proposta di legge, attraverso una conferenza stampa, sostenendone anche la calendarizzazione, e da allora in avanti si è svolto il percorso di audizioni, formali ed informali, che la collega Manzi ha poc'anzi ricordato, fino appunto all'approdo in Aula.

Perché è così importante parlare di imprese culturali e creative, e perché ben 70 colleghi di diversi gruppi parlamentari hanno deciso di sottoscrivere la proposta di legge in esame? In realtà i dati sono già stati citati dalla collega Manzi, ma forse vale la pena ricordarne alcuni. Ad esempio secondo i dati riportati da Symbola, nel giugno scorso, al sistema produttivo, culturale, creativo si deve il 6 per cento della ricchezza prodotta in Italia, 89,9 milioni di euro, un dato che è in crescita dell'1,8 per cento rispetto all'anno precedente. Pensiamo al panorama della crisi e a quanto accaduto all'industria manifatturiera italiana, pensiamo alle molte difficoltà e ai posti di lavoro persi, e poi pensiamo ad un settore che invece cresce, che dà lavoro e ricchezza. Nel 2011 secondo un bellissimo approfondimento prodotto nel 2012 da Il Sole 24 Ore le imprese culturali e creative rappresentavano già il 10 per cento dell'export italiano e penso sia una stima sostanzialmente stabile, se non addirittura in crescita. Ma l'importanza delle imprese culturali e creative non trova base solo su questi numeri bensì su un fattore molto più importante e generale, ancorché difficile da misurare. Nell'epoca della culturalizzazione dell'economia, che tra l'altro non diminuisce ma anzi aumenta in periodi di crisi, il soft power è un asset strategico, è un moltiplicatore in tutti i settori. Nel country brand l'Italia è tra le prime nazioni del mondo, ma non tanto quanto potrebbe: c'è una competitività non adeguata che bisogna migliorare.

Ma il soft power non è solo una questione economica. Se, per dirla con Ulrich Beck, alla nostra condizione cosmopolitica manca una consapevolezza cosmopolitica, l'uomo si rinchiude a scopo di difesa nella costruzione di tribù, demarcando noi da loro. Questo è un istinto naturale e prende forme di ritorno al tribalismo, al nazionalismo, comunque a muri violenti, fisici e non. Costruire cultura nel senso di identità e soft power è la risposta di civiltà a un istinto che viene prima della civiltà; è una risposta tra l'altro che produce eterogenesi dei fini, ed è in questo il suo valore straordinario: nasce per definire noi stessi ma produce il dialogo, e quindi la pace. La strada per la condizione cosmopolitica che Ulrich Beck auspica o passa tramite la cultura o non passa.

Dell'importanza della cultura nell'economia abbiamo traccia anche a livello europeo, per cui si ricorda anzitutto il Libro verde della Commissione europea su Le industrie culturali e creative, un potenziale da sfruttare, del 27 aprile 2010, elaborato nell'ambito della strategia Europa 2020 che si è proposta di far emergere nuovi fonti di crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Il Libro verde ha fornito un elenco di espressioni tipiche del settore delle industrie culturali presenti nell'Unione, come il patrimonio artistico e monumentale, gli archivi, le biblioteche, i libri, la stampa, le arti visive, l'architettura, le arti dello spettacolo, i media, multimedia, audio e audiovisivo. In secondo luogo ha indicato le funzioni di cui le industrie culturali e creative stesse dovrebbero farsi carico: conservazione, creazione, produzione, diffusione, commercio, vendita e istruzione. Analogamente si ricorda la risoluzione del Parlamento europeo sulla valorizzazione dei settori culturali e creativi per favorire la crescita e l'occupazione, del 12 settembre 2013; e soprattutto il programma Europa Creativa istituito dal regolamento UE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre 2013. Qui mi unisco ai ringraziamenti della relatrice Manzi alla presidente della Commissione istruzione e cultura del Parlamento europeo, Silvia Costa, che non solo ha seguito il lavoro del Parlamento italiano ma che in queste vicende europee ha giocato sicuramente un ruolo da protagonista, e quando parlamentari italiani giocano in Europa un ruolo da protagonisti non possiamo che rallegrarcene a prescindere dal colore politico.

Ma torniamo per un attimo ai dati. L'industria culturale e creativa si può ampliare come campo a includere tutta la filiera culturale, e dividere quindi in sette macrosettori; e quindi la quota di PIL pari al 6 per cento, se guardiamo al sistema complessivo di tutti e sette i settori, arriva al 15 per cento del PIL nazionale, che è un numero assolutamente spaventoso. Peraltro tale suddivisione, che tiene insieme il nucleo non industriale, le industrie culturali che hanno alta densità di contenuti culturali e creativi, le industrie creative, le piattaforme digitali e via dicendo, ci mostra come il mondo culturale e creativo coinvolge un coacervo di professionalità che sono difficilmente omologabili.

Ma non solo. L'organizzazione del lavoro è tale che solo in pochissimi settori permane una sorta di industria che presenta alcuni caratteri del fordismo: nella maggioranza dei casi, se non proprio come organizzazione sicuramente come attitudine, si tratta di un mondo composto da imprenditori di se stessi. È l'apoteosi del mondo liberale moderno, però con un elemento in più: nell'epoca dell'automazione, come dicevamo, della culturalizzazione dell'economia, già oggi ma sempre più in futuro i nuovi lavoratori sono i lavoratori dell'industria culturale e creativa, ma appunto disgregati, senza fordismo, senza industria fordista, senza organizzazioni di tutela contemporanea, senza coscienza di essere una classe proprio perché sparpagliati. Sta alla politica cercare di organizzare tali disgregazioni in un sistema, trasformarle in un'opportunità: non solo per il bene di quel tipo di lavoratori che pure sono una fetta amplissima, ma per il bene del sistema Italia, del branding, della competitività del nostro Paese, per il nostro soft power.

Su tali basi muove la proposta di legge e soprattutto l'articolo 1, ricordato prima dall'onorevole Manzi, che regolamenta un nuovo tipo di organizzazione per l'industria culturale e creativa che può rispondere alle esigenze di mercato, domanda e offerta di lavoro. L'impresa culturale, infatti, ha come oggetto la promozione dell'offerta culturale nazionale attraverso lo sviluppo, la produzione, la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico e attraverso l'uso di tecnologie e lo sviluppo di software. Se Industria 4.0 è un framework generale imprescindibile per lo sviluppo contemporaneo e il futuro del Paese, declinare l'approccio 4.0 alla peculiarità dei settori strategici è importantissimo. Sarà importante anche muoversi, ad esempio, verso Energia 4.0, come alcuni Paesi tra cui la Germania stanno già facendo. La definizione dell'impresa culturale e creativa quale figura riconosciuta dall'ordinamento è forse il nostro primo piccolo passo verso Cultura 4.0. Da qui, dicevamo, passa l'unico sviluppo possibile del nostro Paese: dall'investimento in ciò che nella storia siamo stati, in ciò che è il DNA del sistema Italia, in ciò che siamo, un Paese straordinariamente ricco di cultura e di creatività. Ce lo riconoscono gli altri: forse con la proposta di legge stiamo cominciando a riconoscercelo anche noi.