Data: 
Lunedì, 18 Settembre, 2017
Nome: 
Michele Nicoletti

A.C. 2801

Discussione generale

Relatore

 

Grazie, Presidente, intervengo anche a nome del relatore per la II Commissione, onorevole Vazio, impossibilitato a prendere parte alla seduta odierna.

Avviando la mia esposizione sugli ambiti di competenza della III Commissione, mi accingo a delineare brevemente il quadro giuridico internazionale nel quale si collocano i due protocolli oggi all'esame.

Ricordo che la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatta a Roma il 4 novembre del 1950, è stata ratificata dall'Italia con legge del 4 agosto 1955. Con tale fondamentale testo, la comunità internazionale ha elaborato il miglior strumento giuridico ad oggi esistente per la protezione dei diritti umani. Non si tratta solo, come è noto, di un elenco dei diritti umani, ma anche di uno strumento che prevede l'istituzione di un organo di tutela sovranazionale, quale appunto la Corte europea.

In questo senso, riconoscendo la natura sovranazionale fondamentale dei diritti umani e, dunque, precedente rispetto alle legislazioni nazionali, si è istituito un giudice sovranazionale come giudice di ultima distanza, rappresentato da una Corte in cui siedono giudici di tutti di Paesi contraenti.

È bene specificare che questo sistema ha un carattere sussidiario rispetto alle forme di protezione dei diritti umani esistenti negli ordinamenti degli Stati membri, che rimangono i principali responsabili, nel sistema CEDU, del rispetto dei diritti umani.

Tale carattere sussidiario non vuol dire tuttavia che la Convenzione abbia un'importanza secondaria; basterebbe osservare quanto è accaduto anche in questa legislatura nel nostro Paese, per valutare l'importanza della giurisprudenza della Corte europea in materia di diritti umani: molti provvedimenti assunti dal nostro Parlamento e dal nostro Governo sono anche il frutto di questa giurisprudenza.

Negli anni successivi al 1950 alla Convenzione sono stati aggiunti dei protocolli.

Il disegno di legge al nostro esame reca la ratifica ed esecuzione dei protocolli n. 15 e 16, fatti rispettivamente a Strasburgo il 24 giugno e il 2 ottobre del 2013.

Il Protocollo n. 15 non è ancora in vigore a livello internazionale: è stato firmato da 44 Stati membri del Consiglio d'Europa, 33 dei quali hanno depositato gli strumenti di ratifica, ma potrà entrare in vigore solo all'atto della firma da parte di tutti gli Stati membri.

Neanche il Protocollo n. 16, in vigore a livello internazionale, è stato finora firmato da diciotto Stati membri, sette dei quali hanno depositato gli strumenti di ratifica, per questo secondo Protocollo è prevista la firma di almeno dieci Stati membri. Per questo è importante l'atto da parte del nostro Paese.

Per quanto concerne il Protocollo n. 15, esso si inserisce negli sforzi che negli ultimi anni hanno riguardato anche la necessità di porre rimedio all'arretrato accumulato dalla Corte, nonché di adeguarne la struttura e le procedure a un'utenza potenziale, che raggiunge ormai circa 800 milioni di cittadini, coprendo la Convenzione Paesi quali la Russia, la Turchia e la regione caucasica, oltre a tutti i Paesi del continente europeo.

Nell'articolo 1 viene ribadito il carattere di sussidiarietà della Corte e il margine di apprezzamento da parte degli Stati nazionali.

Nell'articolo 4 si interviene abbassando da sei a quattro mesi il termine per adire la Corte.

E, ancora, l'articolo 5 limita la ricevibilità dei ricorsi a un pregiudizio importante dei propri diritti da parte del ricorrente.

Per quanto concerne invece il Protocollo n. 16, esso si ricollega alle conclusioni della Conferenza di Brighton, che aveva affermato l'opportunità di introdurre un'ulteriore potere della Corte europea, che gli Stati avrebbero potuto accettare in via facoltativa, ovvero il potere di emettere, su richiesta, pareri consultivi non vincolanti sull'interpretazione della Convenzione, nell'ambito di una specifica causa a livello nazionale. È un tema su cui la Corte ricorre spesso, l'importanza della prevenzione per tutelare al meglio, appunto, i diritti umani e anche per facilitare il lavoro della Corte stessa. Questo giudizio preventivo, che può essere richiesto solo dalle più alte autorità giurisdizionali di uno Stato, è appunto uno strumento per rafforzare questo meccanismo di prevenzione.

Concludo dicendo che, per la parte relativa ai profili della II Commissione, depositerò la relazione dell'onorevole Vazio. Sottolineo l'importanza di questo tema della possibilità, da parte delle più alte corti italiane, di chiedere un parere preventivo - e all'interno della richiesta di un parere preventivo può collocarsi anche il parere del commissario dei diritti umani del Consiglio d'Europa -, perché pone il problema dell'armonizzazione tra la Convenzione e il nostro ordinamento. Noi stiamo facendo un passo importante per l'armonizzazione sul piano giurisdizionale. Voglio qui ricordare che più volte il Consiglio d'Europa ha raccomandato anche al nostro Parlamento di dotarsi di meccanismi specifici di armonizzazione della nostra legislazione in materia di diritti umani. Personalmente ho depositato una proposta di legge, assieme ad altri colleghi, su questo tema e mi auguro che il nostro Parlamento, nel momento in cui avrà approvato questo Protocollo, possa poi dedicarsi anche a quest'importante discussione sui meccanismi parlamentari di armonizzazione della nostra legislazione con la Convenzione.