Data: 
Lunedì, 9 Ottobre, 2017
Nome: 
Chiara Scuvera

A.C. 4620 - Doc. LXXXVII, n. 5

Discussione generale congiunta

 

Presidente, oggi più che mai l'Europa è al centro del dibattito, nella politica e nella società. L'Europa viene spesso raccontata, e purtroppo anche percepita come la causa dell'impoverimento e della marginalizzazione. Xenofobia, protezionismi e sovranismi minacciano ciò che passo dopo passo la cooperazione tra gli Stati ha costruito. Illusioni di autosufficienza rischiano di impoverire ulteriormente le nostre periferie. Credo, però, che bisogni cogliere anche l'occasione di questo dibattito - che c'è anche tra i cittadini e non solo tra gli addetti ai lavori, e non solo nella politica - appunto sull'Europa, per raccontare i vantaggi che dall'Europa sono derivati per gli Stati, e anche per cogliere le nuove sfide che devono essere perseguite e non possono più essere eluse, come quella di una grande riforma istituzionale.

Con le Primavere arabe è iniziato un nuovo ciclo anche della storia europea: storici flussi migratori e crisi del petrolio impongono un cambiamento di paradigma; e sta maturando, a giudicare anche dai documenti che sono stati approvati in Europa, una presa di coscienza nella classe dirigente europea sulla necessità di una svolta nelle politiche economiche di sviluppo, che non solo vadano oltre l'ordinaria amministrazione, come abbiamo già detto nei programmi e nelle relazioni programmatiche, ma che puntino a una vera e propria riconversione, poggiando sui pilastri della cooperazione internazionale e di un rapporto paritario con l'Africa, su una strategia energetica che punti sulla decarbonizzazione e sull'energia pulita, sul sostegno all'innovazione in impresa.

Certo, sarebbe imperdonabile se questo nuovo sviluppo che vogliamo costruire non fosse inclusivo.

Una strategia di crescita non può non essere accompagnata da strumenti di welfare adatti a processi produttivi investiti dalla cosiddetta quarta rivoluzione industriale. È chiaro che la digitalizzazione spinta dei processi può rappresentare un'opportunità di miglioramento anche delle condizioni di lavoro, per esempio, per il superamento del lavoro usurante; però, è anche vero che la nuova sfida dei diritti si gioca sul tempo del lavoro e, quindi, sull'orario di lavoro, sulla formazione continua, sul sostegno al reddito e alla ricerca di un nuovo lavoro.

Forse è questa la sfida che riguarda i progressisti sulle politiche del lavoro nel nuovo tempo; la proposta dell'Italia di un sussidio europeo di disoccupazione è sempre evidentemente attuale e, a proposito degli incoraggianti segnali di ripresa interna, il Presidente Gentiloni ha opportunamente affermato che si tratta di fare in modo che questa crescita sia inclusiva, vada a vantaggio dei più deboli. L'Italia ha, per la prima volta, uno strumento universale di sostegno al reddito, rappresentato, appunto, dal reddito di inclusione, e di contrasto alla povertà e di inclusione attiva nel mondo del lavoro e nella società.

Per combattere i nazionalismi e la xenofobia e farsi riconoscere come soggetto, e non come nemico, nelle periferie, l'Europa deve puntare su una misura universale di contrasto alla povertà e contrastare il racconto falso e in mala fede che addossa sui migranti e sui rifugiati la responsabilità della crisi. Stati Uniti d'Europa e bilancio unico europeo non devono più essere vissuti come utopie, ma come obiettivi, come politiche praticate e non come sogni. I Governi possono, effettivamente, incidere ed avere voce in capitolo in questo processo di cambiamento, ponendosi come interlocutori credibili. E io credo che, in questi anni, i nostri Governi e il Parlamento abbiano dato buona prova in tal senso; ciò è avvenuto con il grande sforzo per il superamento delle infrazioni europee, praticamente dimezzate, anche grazie all'infaticabile lavoro del sottosegretario Sandro Gozi, e il migliore utilizzo dei fondi europei; è avvenuto attraverso la strategia riformista dei nostri Governi, con parole nuove in Europa, come quelle sulla necessità di superare il paradigma dell'austerity, su una strategia di responsabilità sulle migrazioni - e la giurisprudenza, sappiamo, ha dato ragione all'Italia sulla questione delle ricollocazioni -, sul protagonismo del sud Europa per una strategia globale di cambiamento nei rapporti tra il nord e il sud del mondo e nei rapporti tra il nord del mondo e i tanti sud del mondo che ci sono anche in Europa.

Abbiamo fatto la nostra parte, in questi anni, con le leggi europee, con le relazioni programmatiche, con le leggi di delegazione, come quella oggi all'esame dell'Aula. Certamente, come ha ricordato il relatore Bergonzi, si può ancora migliorare il dialogo tra Governo e Parlamento per adempiere al meglio la funzione di controllo ex post, ma, certamente, sono stati fatti degli enormi passi avanti, anche nel contributo dell'Italia nella fase ascendente e, quindi, il contributo dell'Italia nella fase di formazione della normativa europea. La nostra Commissione, per esempio, la X Commissione attività produttive, nel 2016, in tal senso, ha approvato ben 13 documenti finali, sia in materia di energia, sia in materia di politiche per l'innovazione in impresa, sia sulla tutela dei consumatori, sia per l'impulso al mercato unico digitale. E la Commissione europea ha costantemente interloquito con noi, offrendo un proficuo riscontro al lavoro che le Commissioni parlamentari hanno fatto in fase di dialogo politico. E d'altronde, come emergeva dalla relazione Tancredi, la legge di delegazione fa un grande passo avanti per il sostegno al nostro tessuto produttivo, soprattutto a quello più coraggioso, a quello creativo, a quello delle PMI innovative, che riguarda il mondo dei giovani. Per esempio, l'articolo 3 reca la delega per l'attuazione della direttiva (UE) 2015/2346 in materia di marchi di impresa e l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2015/2425 sul marchio europeo. Sappiamo che sia la direttiva che il regolamento rappresentano il cosiddetto “pacchetto marchi” che è finalizzato, da un lato, ad armonizzare gli ordinamenti nazionali in materia di marchi di impresa e, dall'altro, a rendere il più possibile omogenei gli ordinamenti giuridici interni rispetto all'ordinamento giuridico europeo, laddove disciplina, in materia diretta, il marchio europeo che, come sappiamo, è il titolo di proprietà industriale che viene rilasciato dall'Ufficio europeo per la proprietà intellettuale con effetto in tutti gli Stati membri.

Ancora, l'articolo 4 contiene la delega per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni, invece, del regolamento (UE) 1257/2012 che, invece, è relativo all'attuazione di una cooperazione rafforzata per l'istituzione di una tutela brevettuale unitaria e alle disposizioni dell'accordo sul tribunale unificato dei brevetti, accordo che abbiamo ratificato e poi è stato reso esecutivo e che è stato ratificato con la legge n. 214 del 2016. La legge di delegazione europea - è stato ricordato - contiene delle norme importanti per la tutela del segreto commerciale nonché per il conseguente contrasto alla contraffazione.

Ma, perché, Presidente, mi soffermo su queste iniziative? Perché noi sappiamo che ancora troppe sono le barriere che riguardano le nostre imprese, soprattutto le piccole e medie imprese, e i costi che esse devono affrontare, per esempio, dovendo, come avviene nel brevetto europeo tradizionale, validare il brevetto in tutti i singoli Stati aderenti. Ecco perché noi, in questi anni, abbiamo incoraggiato un'adesione convinta all'European Patent System, in modo, appunto, da potere dare alle nostre imprese uno strumento unico di brevettazione e, soprattutto, da affrontare un unico costo.

Ricordo che, pochi giorni fa, abbiamo anche ratificato un accordo internazionale e, quindi, la Convenzione di Ginevra va a rivedere l'accordo dell'AIA, che va a semplificare, invece, il deposito unico dei disegni e dei modelli industriali. Anche qui, semplificazione, strumento unico, possibilità di ristabilire delle condizioni di parità tra le imprese in Europa per poter tutelare il proprio know-how e la proprietà intellettuale e poter così, come dire, tutelare la propria capacità di innovazione e competere secondo il proprio potenziale. Sappiamo che quell'accordo prevede anche il dialogo con i sistemi regionali, quindi, con il sistema europeo e, poi, anche, con il sistema africano.

Quindi, io credo che questi sforzi che noi abbiamo fatto, questo lavoro che è stato fatto rispetto all'adeguamento alla normativa europea, ma anche come contributo alla formazione dell'ordinamento giuridico europeo, vada nella direzione, non soltanto del rafforzamento dell'integrazione, ma anche nella creazione di strumenti giuridici unici, di strumenti giuridici unificati che possano, in modo paritario, essere accessibili per i cittadini e le imprese in Europa. Questo, appunto, va fatto, non soltanto per le politiche di sviluppo, non soltanto per le politiche di impresa, ma va fatto anche sul welfare.

Ecco perché, nella parte iniziale, accennavo al sussidio europeo di disoccupazione per consentire proprio il dialogo diretto e l'uguaglianza dei cittadini anche in Europa. Ecco perché sono convinta che questa legge di delegazione vada approvata rapidamente, così come abbiamo fatto sulla legge europea e, quindi, andare avanti in questo dialogo sempre più proficuo e, soprattutto, costruttivo con le istituzioni europee.