Discussione generale
Data: 
Martedì, 14 Novembre, 2017
Nome: 
Marco Miccoli

A.C. 1041-A

 

Grazie, Presidente. Non c'è un settore del mondo del lavoro dipendente che non abbia conosciuto questo vergognoso fenomeno, quello relativo, appunto, ai datori di lavoro che corrispondono una retribuzione inferiore a quella presentata in busta paga. Purtroppo, l'ultimo episodio è sui giornali di stamattina: un imprenditore di Agrigento, peraltro candidato alle recenti elezioni siciliane con un'importante forza politica che del tema dell'onestà ne ha fatto un cavallo di battaglia, è stato arrestato per estorsione per aver costretto i suoi dipendenti proprio a firmare delle buste paga false. E non possiamo non ricordare che all'indomani del decesso della bracciante agricola Paola Clemente, avvenuto nelle campagne di Andria il 13 luglio 2015, il giudice per le indagini preliminari di Trani emise un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di sei persone a conclusione dell'attività di indagine per contrastare il fenomeno del caporalato in quel territorio. Dalle indagini emerse che le giornate lavorative e il relativo compenso risultanti nelle buste paga dei lavoratori erano falsi; le braccianti lavoravano molte più giornate e molte più ore di quelle dichiarate. In un'azienda di Tortona, sempre nel campo dell'agricoltura, un imprenditore agricolo, appunto, attivo nella zona utilizzava un simile metodo nei confronti di ben 54 lavoratori di origine extracomunitaria. A Specchia, in provincia di Lecce, un imprenditore è stato condannato a sei anni di reclusione per estorsione ai danni delle lavoratrici, quasi tutte madri di famiglia, perché minacciate di licenziamento nel caso non avessero firmato le buste paga, anche queste false. A Palermo, invece, passiamo a un imprenditore che aveva attività sparse in tutta l'isola, da Sciacca a Mazara del Vallo, da Caltagirone a Capo d'Orlando, ed era gestore di un impero di milioni di euro tra punti vendita Benetton, Geox, Golden Point e Oviesse. È stato rinviato a giudizio, anche lui per estorsione, perché secondo l'accusa avrebbe pagato i propri dipendenti con somme inferiori a quelle riportate nelle buste paga. A Reggio Calabria la Guardia di Finanza - e qui passiamo al settore degli alimentari - ha eseguito un'ordinanza di custodia cautelare emessa a carico di un imprenditore del settore alimentare accusato di estorsione ai danni di propri dipendenti utilizzando lo stesso metodo di pagamento sopra descritto. Potrei continuare.

Tutti questi casi sono uniti da un unico comune denominatore: l'estorsione compiuta sotto la minaccia di licenziamento e la possibilità di successo di questa pratica grazie alla crisi economica e all'alto tasso di disoccupazione nei territori dove tutto ciò avviene. La paura di perdere il posto di lavoro, la consapevolezza di non poterne trovare uno nuovo, determinano debolezza dei lavoratori - soprattutto delle lavoratrici - di fronte a datori di lavoro senza scrupoli. Per questi motivi sia la magistratura sia la Guardia di Finanza incontrano sempre grandi difficoltà nello svolgere queste inchieste, perché si tratta di inchieste difficili da concludere senza la testimonianza e le denunce dei lavoratori. L'omertà, proprio per le situazioni di difficoltà sopra descritte, la fa da padrone. Non a caso in quasi tutti gli esempi analizzati le incriminazioni e le condanne sono state determinate dalle denunce delle lavoratrici e dei lavoratori.

Il fenomeno delle buste paga false non si ferma allo sfruttamento e all'estorsione per garantire più proventi ad ogni singolo datore di lavoro, spesso proprietario di piccole imprese, ma viene utilizzato anche da imprenditori molto spesso aiutati da esperti consulenti che emettono migliaia di buste paga finalizzate all'evasione contributiva e fiscale e a volte per favorire l'immigrazione clandestina, come, ad esempio, è avvenuto a Prato. Qui imprenditori cinesi e consulenti italiani emanavano 80 mila buste paga false, scoperte dalla Guardia di Finanza su un'inchiesta avviata dalla stessa procura locale proprio per fare ottenere i permessi di soggiorno. Si tratta di un'inchiesta che ha coinvolto ben 17 imprenditori nel settore dell'abbigliamento operanti in Toscana, Campania, Veneto, Piemonte e Umbria.

Bastano questi casi a far capire l'importanza e la giustezza di questo provvedimento che può sembrare piccola cosa ma che, invece, potrà rivelarsi importante soprattutto in termini di prevenzione di tali fenomeni.

Sono fenomeni dietro ai quali non ci sono solo le storie che parlano di sfruttamento, di caporalato e di estorsione, ma ci sono anche decine di inchieste, effettuate dal Trentino alla Sicilia, dove imprenditori, commercialisti, avvocati e consulenti fiscali sono i registi di reti di società intestate a prestanome o a false cooperative, veri e propri racket con lo scopo di sfruttare lo Stato sfruttando agevolazioni e utilizzando gli ammortizzatori sociali che non spetterebbe loro, evadendo contributi e tasse. I tempi di intervento, quindi, sono determinanti soprattutto per rendere giustizia agli stessi lavoratori. I controlli spesso sono difficili, anche per lo scarso numero di ispettori, e spesso quando gli investigatori arrivano alle società le trovano in liquidazione, si trovano di fronte a patrimoni pari a zero e ad amministrazioni fittizie, a volte addirittura inconsapevoli.

Per questo l'obbligo dei datori di lavoro di pagare le retribuzioni attraverso istituti bancari, uffici postali o altre modalità che garantiscano la tracciabilità degli stessi pagamenti renderebbe molto più difficile e complicata l'estorsione e il relativo sfruttamento dei lavoratori e comporterebbe anche un più celere controllo dei dati incrociati, tra l'effettivo pagamento degli stipendi, i contributi previdenziali versati e le tasse pagate, consentendo così agli inquirenti di portare avanti indagini anche di controllo a distanza. Facevo l'esempio delle 80 mila buste paga emesse in modo falso; quella modalità non sarebbe stata resa possibile se fosse stata approvata questa legge, perché avrebbero dovuto sborsare centinaia di migliaia di euro prima di fare la truffa.

È necessario, quindi, evitare l'utilizzo di contanti e di assegni, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato. È chiarissimo, in merito, quanto disposto dalla sentenza della Corte di cassazione del 1° febbraio 2012, n. 4290, che afferma che integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato di lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell'offerta sulla domanda, costringa i lavoratori, con la minaccia larvata di un licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate e, più in generale, a condizioni di lavoro contrarie alla legge e contrarie ai contratti collettivi. È altrettanto necessario inserire nella comunicazione obbligatoria fatta al centro per l'impiego competente le indicazioni sulle modalità di pagamento delle retribuzioni nonché gli estremi dell'istituto bancario o dell'ufficio postale che provvede al pagamento delle retribuzioni.

Costringere un lavoratore a firmare una busta paga con un importo maggiore di quello percepito è un reato grave da un punto di vista penale. Ciò che purtroppo è mancato in questi anni sono state le misure di prevenzione che oggi con questo provvedimento vengono introdotte opportunamente. Si tratta di misure semplici che non comportano maggiori oneri a carico dei datori di lavoro - infatti, va detto che la stragrande maggioranza utilizza già modalità di pagamento tracciabili - ma che possono rivelarsi determinanti per debellare definitivamente questo vergognoso fenomeno. Peraltro, all'articolo 3 vedrete proprio che il Governo stipula una convenzione con le confederazioni dei lavoratori e degli imprenditori maggiormente rappresentative a livello nazionale, con l'associazione delle banche italiane - con l'ABI, quindi - e con Poste Italiane SpA, con le quali saranno individuati gli strumenti di comunicazione idonei a promuovere la corretta attuazione della legge.

Inoltre, non sfugge un elemento che potrebbe aiutare a comprendere e ad intervenite sulla giungla dei contratti di lavoro frutto di “accordi pirata” con minimi retributivi più bassi anche del 30 per cento. Proprio in questi giorni il CNEL ha fornito dei dati allarmanti: su 868 contratti solo 300 sono firmati da organizzazioni rappresentative. Si tratta, dunque, di 500 “accordi pirata”; un altro modo di creare condizioni di dumping, lo stesso determinato dalle false buste paga. Ci troviamo di fronte a due facce della stessa medaglia: l'utilizzo di espedienti per pagare di meno i lavoratori. È chiaro, quindi, che questo provvedimento fa fare un passo importante in avanti verso il riconoscimento di diritti elementari dei lavoratori. Certo, non risolve tutti i problemi; modalità per compiere illeciti, come quelli descritti, potranno sempre essere trovate, ma è pur vero che gli imprenditori e i datori di lavoro che aderiranno a queste corrette modalità, così come quelli che applicheranno contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni imprenditoriali e organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, daranno vita a una banca dati di imprenditori onesti e affidabili, isolando sempre di più quelli più propensi a delinquere e a sfruttare i lavoratori