Discussione generale
Data: 
Martedì, 12 Dicembre, 2017
Nome: 
Paolo Bolognesi

Doc. XXIII, n. 29

Grazie Presidente, onorevoli colleghi, dopo tre anni di indagine parlamentare sul rapimento e l'omicidio dell'onorevole Aldo Moro, consegniamo agli atti del Parlamento gli esiti di un'inchiesta che restituisce al Paese una documentata e inedita verità su ciò che avvenne in quei cinquantacinque giorni che cambiarono il corso della storia italiana. Un importante risultato, raggiunto nonostante l'avversione di chi ha fin dall'inizio denigrato e ostacolato l'istituzione ed il lavoro della Commissione. Oggi conosciamo una realtà dei fatti che, dopo trentanove anni, ci permette di demolire molte delle falsità costruite, avallate e protette dai portatori di interessi convergenti sull'eliminazione dello statista italiano.

Il caso Moro è stato un omicidio blindato nell'armadio della Repubblica, privato del diritto alla giustizia, attraverso i depistaggi, i ricatti e l'occultamento di atti e prove eseguiti da molteplici protagonisti, la cui modalità operativa ritroviamo nel DNA della strategia della tensione. Da via Fani a via Caetani e nei lunghi cinquantacinque giorni di prigionia dello statista, è ormai certa la presenza e l'azione di soggetti esterni alle Brigate Rosse per l'eliminazione di Aldo Moro e della sua politica, che, in anticipo sulla storia, puntava al superamento degli equilibri di Yalta e alla costruzione di un'Europa dei popoli con un Partito Comunista indipendente da Mosca.

Grazie al lavoro svolto dalla Commissione, oggi abbiamo iniziato ad aprire l'armadio della Repubblica ed accertato le falsità dell'avversione propalata per trentanove anni sul sequestro e l'uccisione di Moro. Una falsità di Stato che trae origini dalle menzogne contenute nel memoriale di Valerio Morucci e Adriana Faranda, oggetto di trattativa tra i brigatisti e soggetti istituzionali perché si affermasse anche a livello giudiziario una verità dicibile, funzionale ad un'operazione di stabilizzazione e di chiusura della stagione del terrorismo, omettendo in cambio le responsabilità di molteplici soggetti politici e dei loro apparati a fronte delle garanzie anche di benefici penitenziari previsti dai dissociati. Un accordo nell'interesse di un'impunità generale di dimensioni nazionali e internazionali, possibile grazie anche alle omissioni della magistratura, alle complicità politiche, alle negligenze giornalistiche, ad indagini pilotate o non compiute.

La prima farsa smascherata è, come riferito nel novembre del 2014 dal Procuratore della Repubblica di Roma, Ciampoli, che la mattina del 16 marzo 1978, insieme alle Brigate Rosse a rapire Moro vi fossero elementi dei servizi segreti dello Stato, uomini della mafia romana, Banda della Magliana, e uomini di nazionalità straniera che avevano interesse per lo meno a creare la destabilizzazione del quadro politico italiano.

La dinamica di quello che definisco un golpe attuato con un'imboscata prevista dalla tattica militare e che si svolse in via Fani la mattina del sequestro di Moro, è contrastata in modo evidente con l'impreparazione nel maneggiare le armi descritte nel memoriale Morucci. E l'epicentro di quella azione sarà il bar Olivetti, situato in prossimità del luogo dell'agguato e che la Commissione ha scoperto essere aperto quella mattina, al contrario di quanto affermato in passato. Un'attività di copertura di proprietà di due uomini legati ai servizi segreti e della figlia dell'ex Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, forse ignara di ciò che stava avvenendo.

Anche sulla prigione di Moro e sulla sua uccisione le Brigate Rosse hanno mentito. Abbiamo raccolto elementi che indicano chiaramente che l'appartamento di via Montalcini o non è stato il solo ad essere utilizzato o, addirittura, non è mai stato impiegato come prigione di Moro, che invece è probabile si trovasse nella zona della Balduina, in via Massimi 91, in un complesso di proprietà dello IOR, caratterizzato dalla presenza di prelati, società statunitensi legate all'Intelligence USA, esponenti tedeschi, finanzieri libici e in cui fu ospite anche Prospero Gallinari, allora latitante nell'autunno del 1978.

La versione delle Brigate Rosse su come uccisero Moro, nell'incidente probatorio che abbiamo fatto in Commissione assieme ai RIS, è risultata falsa: Moro non è morto istantaneamente, non è stato steso vivo sul cofano della Renault e il numero di colpi che lo ha ucciso non è quello che dicono i brigatisti. Quindi a sparare non sono solo Maccari, Gallinari e Moretti, i tre brigatisti che si sono autoaccusati, perché la dinamica accertata è totalmente diversa da quanto hanno raccontato. Il sequestro, la prigionia, la morte: oggi possiamo affermare che ciò che accade nei tre principali passaggi di questa tragedia è stato occultato per trentanove anni.

La magistratura approfondirà i nuovi elementi emersi dall'inchiesta parlamentare compiuta dalla Commissione che la relazione che voteremo consegnerà agli atti del Parlamento. Questo Paese deve comprendere l'importanza di fare i conti col proprio passato, non lasciare la propria storia chiusa negli armadi nascosti della Repubblica e fare piena luce sul passato, che altrimenti non passa mai, attraverso l'impegno civile e politico nel ricercare la verità, che è fondamentale per depurare la vita democratica dai ricatti e dai condizionamenti che inquinano e che la hanno inquinata. Il caso Moro è l'emblema di come il depistaggio possa cambiare la storia di un Paese e il lavoro svolto dalla Commissione dimostra che è possibile dare risposte anche dopo decenni per cambiare il futuro e tutelare appieno la democrazia.