07/11/2023
Anthony Emanuele Barbagallo
Casu, Bakkali, Ghio, Morassut, Serracchiani, Orlando, Cuperlo, Porta, Lai, Lacarra, Provenzano, Stumpo, roggiani, Amendola, D'Alfonso, De Luca, Malavasi, De Maria, Gnassi, Graziano, Zingaretti, Andrea Rossi, Fassino, Peluffo, Fornaro, Ubaldo Pagano, Fossi, Marino, Scotto, Forattini, Toni Ricciardi, Bonafè, Iacono, Girelli, Curti, Gribaudo, Berruto
2-00264

  I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:

   secondo quanto riportato da fonti giornalistiche, il Governo sta lavorando ad un piano per quotare Ferrovie dello Stato in borsa fino al 40 per cento, sul «modello Terna» che possiede la rete elettrica per il 40 per cento del gruppo;

   il Ministro dell'economia e delle finanze, alla fine dell'audizione in Parlamento sulla Nadef, non avrebbe smentito l'ipotesi di un piano di «dismissione» delle Ferrovie nel tentativo di finanziare la manovra di bilancio 2024, per venire incontro alle aspettative della maggioranza e, nello stesso tempo, ridurre il debito pubblico, rassicurando i mercati sulla stabilità delle finanze pubbliche;

   dall'operazione ci si attenderebbe un valore compreso tra i 4 ed i 5 miliardi di euro nell'ambito dei più cospicui incassi che il Governo punta a realizzare con le privatizzazioni, in relazione alle quali nei documenti di finanza pubblica il Governo ha indicato la cifra di 20 miliardi di incassi nel triennio;

   l'operazione relativa alle Ferrovie è, comunque, molto complessa e per portare a fondo un'operazione del genere le medesime fonti dichiarano che occorre almeno un anno; ciò che rende complicata l'operazione è il conseguente riassetto societario poiché la rete non può essere venduta come il business dei treni, dato che è la stessa sulla quale transitano i treni privati di Italo; si paventa, quindi, la possibilità di seguire due strade;

   da una parte si potrebbe procedere attraverso una separazione secca fra le due grandi controllate del gruppo, ovvero Trenitalia e Rete ferroviaria italiana, con quest'ultima che gestisce l'infrastruttura e che resterebbe per intero allo Stato. Tale soluzione richiede molto tempo e determinerebbe minori introiti;

   la seconda ipotesi prevede di rendere preventivamente «neutrale» la rete ed allo stesso tempo remunerativa per alcuni privati. L'ipotesi è quella di permettere ai fondi pensione di partecipare ai nuovi investimenti infrastrutturali sulla rete; in questo modo si massimizzerebbero gli introiti e si eviterebbe la censura delle istituzioni comunitarie;

   il PNRR ha assegnato al gruppo Ferrovie dello Stato oltre 26 miliardi di euro, rendendo l'azienda il più grande appaltatore del Paese. Inoltre l'azienda ha definito un piano da 200 miliardi di investimenti in un decennio per colmare il divario infrastrutturale tra Nord e Sud e per il potenziamento delle interconnessioni tra porti e aeroporti, stazioni ferroviarie e terminal merci;

   il gruppo Ferrovie è l'ultima società pubblica privatizzabile di cui lo Stato possiede ancora il 100 per cento ed il business ferroviario richiama l'attenzione di molti investitori, come dimostra il caso Italo;

   il Ministro interpellato in audizione sulla Nadef dichiarato che la prossima manovra di bilancio presuppone un taglio della spesa ed un piano di dismissioni «monstre» da 20 miliardi di euro, in «un percorso ad ostacoli che vogliamo comunque perseguire»;

   il finanziamento di misure sociali ed il perseguimento di riforme strutturali non può essere realizzato con introiti una tantum derivanti dalla cessione delle quote di partecipazioni dello Stato –:

   quale siano le intenzioni del Governo sulle questioni esposte in premessa e se intenda garantire l'interesse nazionale evitando in ogni modo la privatizzazione della rete ferroviaria, tutelandone, in tal modo, la funzione strategica per il Paese.

Seduta del 10 novembre 2023

Risposta della Sottosegretaria di Stato per l'Economia e le finanze, Lucia Albano, replica di Anthony Emanuele Barbagallo

LUCIA ALBANO, Sottosegretaria di Stato per l'Economia e le finanze. Grazie, Presidente. Con riferimento all'interpellanza in esame, si rappresenta preliminarmente che, nella nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, la NADEF, è previsto che, nel triennio 2024-2026, il rapporto debito-PIL scenda al di sotto del 140 per cento, attingendo anche alle risorse rinvenienti dai proventi da dismissione di asset, incluse quote di partecipazione del capitale di società controllate dallo Stato. In particolare, è stata ipotizzata l'attivazione di risorse da cessioni di asset pari ad almeno l'1 per cento del PIL nell'arco del triennio in argomento, ossia circa 20 miliardi.

Tanto premesso, si evidenzia che la NADEF non ha specificato le operazioni di privatizzazione da realizzare e le relative società interessate e che il Ministro dell'Economia e delle finanze, in audizione sulla NADEF dinanzi alle Commissioni parlamentari congiunte V della Camera e V del Senato, non ha fatto alcun riferimento a dismissioni riguardanti particolari gruppi. Il Governo procederà alle attività propedeutiche all'avvio dei processi, quali quelli volti a dismettere quote di partecipazioni nel capitale di società in mano pubblica e ricordo che tali attività, proprio in ragione della loro complessità, richiedono tempi adeguati di preparazione. È infatti necessario che sia adeguatamente valutata la configurazione delle strutture organizzative del business aziendale e che siano individuate le migliori modalità attuative per la valorizzazione degli asset. Tali valutazioni dovranno sempre tener conto dell'importanza di garantire il mantenimento del controllo dello Stato sugli asset ritenuti strategici.

 

ANTHONY EMANUELE BARBAGALLO. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi e rappresentante del Governo, in sede di replica, non possiamo non evidenziare che, grazie all'iniziativa assunta oggi dal Partito Democratico, abbiamo parlamentarizzato l'affaire FS. Fino ad ora, è stato soltanto un susseguirsi di indiscrezioni e articoli di stampa su posizioni anche articolate, e certamente non aiuta, da questo punto di vista, anche la risposta - che, Sottosegretario, mi permetto di definire “tattica” - di oggi del Governo.

Gli italiani hanno diritto di sapere e hanno diritto di sapere in modo chiaro. Fino a questo momento, il dibattito sull'ultima grande società statale è rimasto chiuso nella stanza dei bottoni. Le considerazioni generiche non ci soddisfano e anche la conferma, più o meno velata, delle indiscrezioni non ci sembra il modo opportuno per affrontare questo tema. È insopportabile, infatti, che l'iniziativa sia dovuta venire dalle opposizioni e il Governo non abbia sentito il bisogno e il dovere di un confronto preliminare, sereno e democratico con il Parlamento sul destino di Ferrovie.

Questa scelta fa il paio con la sequela impressionante di decreti-legge e voti di fiducia, che danno l'idea appunto di come il Governo consideri questo Parlamento soltanto come un fastidio. Non ve lo permetteremo - l'abbiamo ribadito anche la scorsa settimana, in quest'Aula - e lo ribadiamo anche oggi e, poiché il Parlamento è la sede deputata all'esercizio della democrazia, esprimiamo tutta la nostra contrarietà rispetto alla paventata dismissione. Innanzitutto, una contrarietà nel metodo: questo percorso va avanti, infatti, senza un confronto serio, senza coinvolgere le parti sociali, i lavoratori e le categorie produttive, ma anche le regioni e gli enti locali interessati al passaggio dei treni. Nel momento in cui si dovrebbe mettere, con decisione, il piede sull'acceleratore per sfruttare le ingenti risorse del PNRR e investire sull'ammodernamento della rete ferroviaria o delle macchine, o, meglio ancora, sull'intermodalità, vengono appositamente alimentati dubbi e lanciate le trattative nelle segrete stanze per avviare un processo di dismissione statale, con l'intento poi di rifilare, al momento giusto - come abbiamo visto, in questi mesi - un bel decreto-legge che ne prevede la vendita.

Mi permetta, Presidente, una nota a margine: ci stiamo abituando ormai a fare con decreto-legge di tutto, dall'aggiudicazione e dagli affidamenti delle gare alle varianti in corso d'opera, per non parlare delle vendite o delle dismissioni statali, per questo nutriamo le preoccupazioni odierne.

Ma se, da un lato, c'è il Governo impelagato nelle segrete stanze, dall'altro, c'è un Paese che aspetta risposte concrete proprio sui temi infrastrutturali, con sempre maggiori diseguaglianze fra il Nord e il Sud, con una situazione della rete ferroviaria in alcune regioni che è da terzo mondo, come nella mia e nella nostra terra, Presidente, la Sicilia, dove la gente deve fare i conti con treni in ritardo o soppressi e tariffe in aumento. Secondo i dati raccolti da Pendolaria e dal Comitato pendolari Sicilia, la tratta, ad esempio, Catania-Caltagirone risulta una delle più colpite dai disservizi, a livello nazionale. Nel primo semestre del 2022, il 26 per cento delle corse, quindi più di una corsa su quattro, ha subito ritardi o soppressioni. Tra l'altro, la prosecuzione della linea che da Caltagirone conduce a Gela è interrotta dal 2011 - quindi, 12 anni di interruzione - per il crollo di un ponte, rendendo inutilizzabile 135 chilometri di tracciato ferroviario. A detta di Ferrovie, i lavori si concluderanno soltanto nel 2026, con l'insopportabile beffa che su questa tratta il costo dei biglietti è aumentato del 10 per cento negli ultimi 2 anni. Ma anche altre linee interne sono state recentemente interessate da disagi non indifferenti. Per l'estate 2023 sono stati eseguiti i lavori lungo le principali ferrovie interne dell'Isola, concluse soltanto lo scorso settembre. Gli interventi, lenti e lentissimi, finalizzati prevalentemente alla manutenzione ordinaria o all'adeguamento delle strutture con le nuove tecnologie, non hanno comportato sostanziali modifiche in termini di velocizzazione delle linee. Sono stati soltanto interventi di manutenzione ordinaria e di ripristino di impianti e del tracciato ferroviario.

La ferita più profonda è quella sulla Palermo-Agrigento, due siti UNESCO, e la linea ferroviaria è addirittura rimasta chiusa per tutta l'estate nella città della Valle dei Templi e nel sito UNESCO Palermo arabo-normanno, per riaprire soltanto il 10 settembre. Gli abitanti del cuore della Sicilia sono rimasti vittime anche di numerosi disagi per quanto riguarda la ferrovia che collega Canicattì ad Aragona e Canicattì a Caltanissetta, oggetto di interventi di manutenzione, ma anche di demolizione e ricostruzione di alcuni tratti del tracciato ferroviario. Con buona pace degli utenti, in estate il trasporto su gomma è rimasto per mesi l'unica opzione per gli spostamenti nella zona della Sicilia orientale. L'estate è terminata ma non i disagi nelle aree interne. Fino a dicembre, infatti, l'intera circolazione ferroviaria che da Dittaino porta a Catania, - quindi la linea principale della Sicilia orientale - è stata sospesa per i lavori di potenziamento della linea: quindi, da qui a dicembre non ci sarà un solo treno. Allo stesso modo, per tutto il mese di novembre non ci saranno collegamenti da Caltanissetta a Modica e da Caltanissetta ad Agrigento, per interventi di manutenzione straordinaria.

Insomma, non serve andare oltre, ma mentre l'Europa va da una parte, investendo sul ferro e sui treni green, c'è una parte del Paese che è rimasta ferma alle vecchie ferrovie borboniche, quando va bene.

Signor Sottosegretario, l'appello è - a lei e, per lei, all'intero Governo -: quando deciderete veramente di occuparvi delle ferrovie del Mezzogiorno e delle ferrovie della Sicilia?

Tornando al tema centrale di oggi, proprio in relazione alla situazione di disastro che c'è in alcune aree del Paese, la paventata privatizzazione ci terrorizza, perché è evidente - e, da questo punto di vista, facciamo una considerazione che per noi è assorbente - che il Governo non può vendere asset fondamentali per fare cassa. La possibile quotazione sul mercato infatti porterebbe alle casse dello Stato un introito di circa 5 miliardi, una goccia nel mare rispetto ai 2.859 miliardi di debito pubblico del nostro Paese stimato, il mese scorso, dalla Banca d'Italia e che non contribuirebbe in maniera incisiva alla risoluzione degli attuali problemi. L'operazione, oltre che essere infruttuosa rispetto all'esiguità della cifra che ne deriverebbe, non porterebbe neanche a un miglioramento in termini di performance o di sviluppo del settore ma, al contrario, c'è il serio rischio di danneggiare una delle poche aziende sane e utili del Paese, con evidenti ricadute negative in termini di occupazione e di riflesso sulla circolazione di passeggeri e merci, mettendo in crisi l'intero comparto della mobilità.

Quanto da noi sostenuto non è solo in linea con le parti sociali ma è un sentimento diffuso e consolidato nel Paese. Per rilanciare l'Italia servono insomma player nazionali strutturati e non questa corsa continua a tappare buchi o a trovare risorse inseguendo la ricapitalizzazione o la vendita di turno, passando da ITA a Lufthansa, da TIM a Vivendi, eccetera. Insomma, serve una strategia di politica industriale degna di un paese della storia e del prestigio dell'Italia, che certamente, a nostro giudizio, questo Governo non ha. Anche nella sua risposta di oggi, Sottosegretario, non serviva questo tatticismo: serviva affrontare il tema in modo sereno e democratico, sottoponendo al Parlamento tale questione e oggi è la prima di una serie iniziative che intraprenderemo per correre ai ripari ed evitare in ogni modo questo processo di privatizzazione.

Signor Presidente, abbiamo un altro aspetto che ci preoccupa profondamente, che riguarda gli 85.361 dipendenti di Ferrovie, oltre a quelli dell'indotto, i quali meritano tutele e diritti, ma soprattutto considerazione e rispetto per avere, in tanti anni, messo la propria vita al servizio dell'azienda, e che non vogliono leggere dalla stampa indiscrezioni più o meno fondate. Ci batteremo in tutte le sedi per le giuste e opportune rivendicazioni salariali e per tutelare con ogni mezzo il sacrosanto diritto dei lavoratori, dal primo all'ultimo.

Concludo, con la preoccupazione più profonda. La natura statale di Ferrovie dello Stato è il modo migliore per garantirne il controllo rispetto anche alla sua mission, alle tratte sociali, ai collegamenti con le aree interne, alla sfida della sostenibilità, agli investimenti nel Mezzogiorno, al fatto di colmare il gap con la parte meno infrastrutturata del Paese, che rappresentano l'obiettivo principale della grande azienda di Stato. Tutte queste certezze e queste garanzie non possono essere sacrificate per recuperare 5 miliardi su 2.859 miliardi di debito pubblico e per iniziare il balletto che ha visto protagonista - ahimè - tante partecipate statali negli ultimi anni. Fermatevi finché siete in tempo: il PD, dentro e fuori il Palazzo, sarà contro questo disegno scellerato.