23/03/2021
Emanuele Fiano
Avossa, Bazoli, Benamati, Berlinghieri, Boccia, Boldrini, Bonomo, Bordo, Enrico Borghi, Braga, Bruno Bossio, Buratti, Campana, Cantini, Carla Cantone, Cappellani, Carè, Carnevali, Ceccanti, Cenni, Ciampi, Critelli, Dal Moro, De Filippo, De Luca, De Maria, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Delrio, Di Giorgi, Fassino, Fragomeli, Frailis, Gariglio, Giorgis, Gribaudo, Gualtieri, Incerti, La Marca, Lacarra, Lattanzio, Lepri, Lorenzin, Losacco, Lotti, Madia, Gavino Manca, Mancini, Mauri, Melilli, Miceli, Morani, Morassut, Morgoni, Mura, Nardi, Navarra, Nitti, Orfini, Pagani, Ubaldo Pagano, Pellicani, Pezzopane, Piccoli Nardelli, Pini, Pizzetti, Pollastrini, Prestipino, Quartapelle Procopio, Raciti, Rizzo Nervo, Andrea Romano, Rossi, Rotta, Sanga, Sani, Schirò, Sensi, Serracchiani, Siani, Soverini, Topo, Vazio, Verini, Viscomi, Zan, Zardini
2-01146

 I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:

   con un decreto presidenziale firmato il 21 marzo 2021 la Turchia ha lasciato la Convenzione contro la violenza sulle donne, la cosiddetta Convenzione di Istanbul del 2011, il primo trattato al mondo vincolante per prevenire e combattere la violenza contro le donne. La Convenzione di Istanbul, la cui prima ratifica fu proprio della Turchia, impone ai Governi di adottare una legislazione che persegua la violenza domestica e gli abusi, nonché lo stupro coniugale e le mutilazioni genitali femminili;

   il fenomeno della violenza nei confronti delle donne viene definito dall'articolo 3 della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, come «una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella sfera pubblica che nella sfera privata»;

   il ritiro è stato giustificato dal fatto che, secondo i conservatori, il provvedimento minerebbe l'unità familiare, incoraggiando il divorzio e dando spazio alla comunità Lgbt per essere maggiormente accettata nella società;

   nel 2012 la Turchia era stato il primo Paese a ratificare il documento, col sostegno dall'Akp guidata dall'attuale presidente Recep Tayyip Erdoğan. La convenzione è poi entrata in vigore nel 2014, ma mai realmente applicata secondo la piattaforma civile «We Will Stop Femicide Platform» (Noi fermeremo i femminicidi). Sette anni dopo arriva la revoca, il Ministro per la famiglia, ZehraZumrutSelcuk è arrivata a sostenere che i diritti delle donne sono comunque già garantiti nella legislazione;

   negli ultimi anni, la Turchia è stata teatro di un'impennata di femminicidi e di violenze di genere. Sono 6.732 le donne uccise, secondo il rapporto del partito di opposizione Chp, da inizio 2000 ad oggi, 17 mila invece le donne detenute. Come accade ovunque gli uomini guadagnano di più delle donne, in media il 31 per cento in più, ed il dato è in aumento rispetto al 2006 quando la differenza si attestava sul 12 per cento;

   «La violenza sulle donne è un problema ovunque. In Turchia abbiamo un movimento per i diritti delle donne forte, ma dobbiamo anche confrontarci con molta opposizione», ha spiegato Fidan Ataselim (di «Fermeremo il Femminicidio», secondo cui negli ultimi 20 anni la società è cambiata molto: «Sempre più donne stanno reclamando il loro diritto a lavorare e ad andare all'università. Più scelte abbiamo, più intensa è la reazione che riceviamo». Il ruolo del Governo di Erdoğan, infatti, è centrale sia per le repressioni delle mobilitazioni sia per le politiche sociali e culturali che cercano di togliere diritti e spazi alle donne in Turchia, dove la donna dovrebbe essere mamma e sorella, e avere solo un ruolo di cura. E, come denunciano le attiviste, alle donne turche stanno vietando lentamente la possibilità di vivere lo spazio pubblico in solitaria;

   in queste ore, un movimento di supporto alla convenzione è stato espresso in rete attraverso l'hashtag #istanbulconventionsaveslives (la Convenzione di Istanbul salva vite) e sta cercando di dare battaglia al Governo e di portare la decisione di uscire dalla convenzione davanti alla Corte costituzionale del Paese;

   la decisione del ritiro è stata commentata anche dalla segretaria generale del Consiglio d'Europa, Marija Pejčinovič Burić, che ha definito la decisione della Turchia «un enorme passo indietro che compromette la protezione delle donne in Turchia, in Europa e anche oltre», ha dichiarato. La convenzione «è stata firmata da 34 Stati europei ed è considerata lo standard internazionale per la protezione delle donne dalla violenza che subiscono quotidianamente», ha aggiunto. Il Consiglio d'Europa, fa sapere un suo portavoce, non ha avuto alcun preavviso;

   «Non possiamo che rammaricarci fortemente ed esprimere la nostra incomprensione davanti alla decisione del governo turco», ha detto l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione Europea Josep Borrell. E, proprio la prossima settimana, è previsto un summit tra la Turchia e i rappresentanti dell'Unione europea per discutere di vari temi, tra cui l'immigrazione e i rapporti tesi nel Mediterraneo orientale, e il ritiro dalla Convenzione di Istanbul dovrà essere posto al centro della discussione stessa;

   la violenza di genere, incluse le pratiche dannose, rappresenta una delle più estese e gravi violazioni dei diritti umani delle donne e delle ragazze che i Governi si sono impegnati a contrastare con diverse politiche e meccanismi nazionali, europei e internazionali in ogni contesto, incluso quello umanitario;

   la prevenzione resta centrale nella lotta alla violenza di genere. Essa passa inevitabilmente da una profonda opera di promozione di una cultura ispirata alla parità di genere, al superamento degli stereotipi, del sessismo e della misoginia. Un cambiamento che deve investire in maniera decisa e forte tutti gli istituti scolastici e gli enti di formazione e culturali e gli organismi di comunicazione; il ritiro dalla Convenzione della Turchia, segna un altro, grave, passo indietro nella lotta alla violenza contro le donne –:

   quali iniziative intenda assumere il Ministro interpellato, nei rapporti bilaterali con la Turchia e nei consessi internazionali ed europei e, in particolare, al prossimo summit tra la Turchia e i rappresentanti dell'Unione europea, per esprimere rammarico e la preoccupazione dell'Italia per la scelta di lasciare la Convenzione di Istanbul e, soprattutto, per venire a un ripensamento in tal senso della Turchia e scongiurare questo passo che segna un precedente pericoloso nella lotta di tutte le donne e gli uomini delle stesse istituzioni europee impegnate contro la violenza sulle donne;

   quali iniziative intenda intraprendere il Governo, nei rapporti bilaterali con la Turchia, per garantire, in generale, il rispetto dei diritti umani da parte delle autorità turche.

 

Seduta del 26 marzo 2021

Illustrazione e replica di Lia Quartapelle Procopio, risposta del Sottosegretario di Stato per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale Marina Sereni

 

LIA QUARTAPELLE PROCOPIO: Grazie, Presidente, dieci anni fa a Istanbul veniva firmata la Convenzione, denominata secondo quella città, la Convenzione che è conosciuta come Convenzione di Istanbul, che è il primo strumento giuridicamente vincolante che riconosce la violenza contro le donne e la violenza domestica come una violazione dei diritti umani. All'inizio della scorsa legislatura, in quest'Aula, si alzò Federica Mogherini, allora deputata del Partito Democratico, per chiedere che l'Italia fosse il primo Paese a ratificare uno strumento giuridico importantissimo. L'Italia, però, non fu il primo Paese a ratificare quella Convenzione, noi fummo solo il quarto Paese. Il primo Paese che ratificò quella Convenzione nel 2014 fu proprio la Turchia: il Presidente Erdogan, allora, volle il suo Paese alla frontiera della lotta contro la violenza di genere. Dieci anni dopo, sabato scorso, il Presidente Erdogan ha preso una decisione molto diversa, ha deciso di ritirare la Turchia dalla Convenzione di Istanbul.

Che cos'è la Convenzione di Istanbul? È una Convenzione elaborata in seno al Consiglio d'Europa, un organismo internazionale che si occupa di diritti umani, di cui la Turchia fa parte, ed è uno strumento che è pensato per aiutare, vincolare, favorire la promozione dei diritti delle donne e il contrasto alla violenza di genere, soprattutto in quei Paesi che hanno una tradizione giuridica meno avanzata rispetto ai diritti della persona e, in particolare, ai diritti delle donne. Non è una Convenzione imposta da qualcuno contro qualcun altro, ma è uno strumento elaborato da un organismo internazionale e pensato soprattutto per favorire quei Paesi che, sulla legislazione a tutela delle donne, sono più arretrati. Si tratta, quindi, di uno strumento importantissimo, perché favorisce, da un lato, l'adozione di normative, che magari in alcuni Paesi non esistono a tutela delle donne vittime di violenza, e, dall'altro, favorisce la collaborazione tra i diversi attori istituzionali (i media, la Polizia, il settore giudiziario, le amministrazioni pubbliche) a sostegno delle donne vittime di violenza.

Il ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul discende da una pressione molto forte degli ambienti più reazionari all'interno del partito di Erdogan, che hanno visto in questa legislazione un attentato ai valori della famiglia tradizionale e, più in generale, una penetrazione di lobby o di istanze estranee alla cultura turca. Certamente significativo che questo avvenga proprio nel Paese che ospitò la firma di tutti i Paesi firmatari della Convenzione di Istanbul. Si tratta, nella scelta di Erdogan, di togliere alle donne turche un sostegno contro la lotta alla violenza contro le donne. È importante quindi - ed è per questo che con vari colleghi del Partito Democratico abbiamo presentato questa interpellanza - che il nostro Paese, che è stato appunto tra i primi a favorire la negoziazione intorno alla Convenzione di Istanbul e l'adozione da un numero sufficiente di Paesi, perché la Convenzione entrasse in vigore, è importante che il nostro Paese si faccia sentire nei confronti del Governo turco. Noi chiediamo quali sono le iniziative che il Governo italiano ha in mente, da un lato, sulla protesta per la decisione del Governo turco, perché è una decisione che smentisce un impegno preso dalle stesse persone che erano al Governo, quando la Convenzione fu negoziata, ratificata e approvata dal Parlamento di Ankara. Chiediamo, poi, che cosa farà l'Italia per il sostegno a tutti quei movimenti per i diritti e per le donne, che in Turchia stanno protestando contro questa decisione del Governo, e che cosa farà il nostro Paese per sostenere le iniziative a sostegno delle donne vittime di violenza in Turchia, che, con questa decisione del loro Governo, si ritrovano con uno strumento in meno per difendere i propri diritti.

MARINA SERENI, Sottosegretario di Stato per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale. Grazie Presidente. L'Italia attribuisce grande importanza alla Convenzione del Consiglio d'Europa, sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne, inclusa la violenza domestica, firmata, come è stato ricordato, dieci anni fa proprio ad Istanbul. Questa Convenzione rappresenta il primo strumento internazionale vincolante, volto a creare un quadro giuridico completo, in materia di prevenzione, protezione e persecuzione di ogni forma di violenza di genere. Ad oggi la Convenzione è stata firmata da 45 dei 47 Paesi membri del Consiglio d'Europa, esclusi Russia e Azerbaijan, e ratificata da 34 Paesi, inclusa la Turchia. L'Italia, come è stato già detto, è stata tra i primi Paesi a ratificarla, la Turchia il primo. La decisione di Ankara di denunciare la Convenzione rappresenta un vulnus per il consiglio d'Europa e per i valori che esso incarna, confermando un preoccupante processo di arretramento della Turchia sui diritti umani e sulle libertà fondamentali, un grave passo indietro, come ha detto l'altro ieri il Presidente del Consiglio in quest'Aula. Il Presidente Draghi, il Ministro Di Maio e la Ministra Bonetti hanno espresso pubblicamente rammarico e preoccupazione per la decisione di Ankara. Analoghe le reazioni al più alto livello da parte dell'Unione europea e del Consiglio d'Europa. La situazione in materia di diritti umani è stata sollevata dal Presidente Draghi anche nel suo colloquio telefonico con il Presidente turco Erdogan, martedì 23 marzo.

Il tema del rispetto della democrazia, dello Stato di diritto e delle libertà fondamentali in Turchia ha influenzato negli ultimi anni l'andamento dei rapporti con l'Unione europea. Come è noto, il Consiglio europeo, in corso ieri e oggi a Bruxelles, sta facendo il punto sulle relazioni tra Unione europea e Turchia. Occorre sviluppare con Ankara un'agenda positiva e favorire una dinamica costruttiva in chiave di stabilità regionale, ma ribadendo con fermezza l'esigenza di rispettare i diritti umani. La cooperazione con la Turchia su dossier per noi strategici, quali immigrazione, lotta al terrorismo e Libia, è essenziale, ma noi non possiamo fare passi indietro sui diritti umani. L'impegno italiano a questo riguardo in seno all'Unione europea è sempre stato forte e deciso, per promuovere il rispetto dei principi dell'acquis communautaire da parte della Turchia. La protezione delle donne dalla violenza e, in generale, la difesa universale dei diritti umani sono un valore europeo fondamentale e identitario e rappresentano linee direttrici dell'azione di politica estera italiana anche in ambito multilaterale. Quali membri attivi del Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite per il periodo 2019-2021 seguiamo con attenzione la situazione dei diritti umani in Turchia, come in molti altri Paesi. 26 Stati membri dell'Unione europea, tra cui l'Italia, con la sola eccezione dell'Ungheria, hanno menzionato la Turchia, nel corso della sessione del Consiglio diritti umani dello scorso 12 marzo, dedicata alle situazioni più gravi. In tali interventi è stata ribadita la forte preoccupazione per i continui sviluppi negativi, per quanto riguarda lo Stato di diritto, i diritti umani e la magistratura in Turchia, anche con riferimento alla libertà di espressione, di riunione, di associazione, di religione o credo e alle violenze contro donne e ragazze. Ricordo che, lo scorso 22 febbraio, il Consiglio dell'Unione europea, nelle sue conclusioni sulle priorità nei fori multilaterali in materia di diritti umani, aveva inserito la Turchia tra i Paesi a cui l'Unione europea guarda con preoccupazione, per quanto riguarda il corretto funzionamento delle istituzioni democratiche e dello Stato di diritto. Posso assicurare che il Governo italiano continuerà a seguire con la massima attenzione l'evoluzione della situazione in Turchia, in coerenza con la nostra tradizionale azione a tutela dei diritti fondamentali e con gli impegni assunti con la risoluzione approvata l'altro ieri da quest'Aula.

 

LIA QUARTAPELLE PROCOPIO: Grazie, Presidente. Mi dichiaro soddisfatta. La telefonata fatta dal Presidente Draghi al Presidente Erdogan è un passaggio estremamente importante nel dialogo tra Italia e Turchia, soprattutto sul fronte dei diritti umani.

Non ricordo alcuna iniziativa analoga da parte di precedenti Presidenti del Consiglio, e credo che sia un passaggio fondamentale per la voce dell'Italia sui temi dei diritti umani, dei diritti delle donne, della protezione dei prigionieri politici, perché c'è anche questa vicenda in Turchia particolarmente complicata, che riguarda due partiti di opposizione, il partito filo-curdo HDP e il partito CHP. Quindi, è importantissima la telefonata del Presidente Draghi, in cui l'Italia ha esposto tutte le preoccupazioni relative ai diritti umani, successive anche all'uscita dalla Convenzione di Istanbul.

Sono, purtroppo, anni in cui i vari attori nel mondo segnalano la loro non appartenenza alla sfera occidentale prendendosela con le donne: lo fa Boko Haram, in Nigeria, quando rapisce le studentesse nelle scuole, e lo ha fatto Daesh, il cosiddetto Stato islamico, quando ha reso schiave le donne yazide e, purtroppo, a questi gruppi terroristi si aggiunge anche, in questa simbologia cruenta, anche un grande Paese come la Turchia, perché l'uscita dalla Convenzione di Istanbul, da parte del Presidente Erdogan, non è leggibile se non all'interno di uno stesso tipo di retorica a livello internazionale. Erdogan ha fatto un gesto simbolico; è importantissimo continuare a fare sentire direttamente la nostra voce nei colloqui tra Presidenti, ma è importante che, dopo il suo gesto simbolico, ci siano anche dei gesti simbolici e di sostanza da parte dell'Italia. Il gesto simbolico di Erdogan ha delle conseguenze di sostanza: la Turchia vede un aumento dei femminicidi - ci sono circa 400 femminicidi l'anno - e vede un aumento della violenza contro le donne. è importante che l'Italia sia a fianco di tutte quelle donne, in Turchia e nel mondo, ovviamente, che sono vittime di violenza, con progetti di cooperazione e con progetti di sostegno a quello che già esiste.