17/03/2021
Laura Boldrini
Gribaudo, Quartapelle Procopio, Carbonaro, Pallini, D'Arrando, Bonomo, Ehm, Ascari, Elisa Tripodi, Berlinghieri, Bruno Bossio, Pezzopane, Serracchiani, Schirò, Frate, Martinciglio, Bologna, Casa, Cancelleri, Gagnarli, Muroni, Emanuela Rossini, Baldini, Cenni, Spadoni, Mura, Sarli, Sportiello, Papiro, Azzolina, De Lorenzo, Villani, Aprile, Ciampi, Deiana, Giordano, Suriano, Ianaro, Barbuto»
2-01132

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per le pari opportunità e la famiglia, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:

   si apprende da notizie di stampa (Corriere della Sera – sport del 9 marzo 2021 «Lara Lugli, la pallavolista incinta rimasta senza stipendio e citata per danni dal Volley Pordenone») che l'atleta pallavolista Lara Lugli, 38 anni, è stata citata per danni dalla società di volley per la quale lavorava in opposizione al decreto ingiuntivo da lei depositato per avere lo stipendio che le spettava di diritto e come da contratto;

   la sua storia, simile a quella di tante atlete che giocano in campionati dilettantistici ma che di dilettante hanno solo il nome della categoria, non di certo gli allenamenti, quotidiani, con giorni di doppia seduta, e la partita ogni sabato, è prima di tutto la storia di una donna lavoratrice e del suo diritto alla maternità;

   nel 2018/2019 l'atleta, rimasta incinta, comunica alla Società il suo stato, risolvendo il contratto, in quanto una clausola dello stesso prevedeva la risoluzione per giusta causa in caso di comprovata gravidanza. Pochi giorni dopo, purtroppo, perde il bambino. A due anni di distanza viene citata per danno da questa società a seguito di un decreto ingiuntivo fatto dalla stessa ragazza, per reclamare lo stipendio relativo all'ultimo mese durante il quale la giocatrice aveva lavorato interamente;

   l'associazione Assist (Associazione nazionale atlete), che ha denunciato la vicenda, si è fatta promotrice di un appello al Presidente del Consiglio e al presidente del Coni, Giovanni Malagò, per sensibilizzarli sul tema dei diritti delle donne e della loro non discriminazione nel mondo dello sport;

   in particolare, Assist fa presente come il caso in esame sia emblematico, perché l'iniquità della condizione femminile nel lavoro sportivo è talmente interiorizzata che non solo la si ritiene disciplinabile, nero su bianco, in clausole di un contratto visibilmente nulle, ma addirittura coercibile in un giudizio, sottoponendola a un magistrato, che secondo la visione del datore di lavoro sportivo, dovrebbe condividere tale iniquità come fosse cosa ovvia;

   questo caso – dichiara la presidente di Assist, Luisa Garribba Rizzitelli – non solo non è unico e non riguarda certo solo il volley, ma evidenzia una pratica abituale quanto esecrabile e indegna, denunciata da 21 anni dalla Associazione. In forza di questa consuetudine, le atlete degli sport di squadra o individuali, non appena incinte, si vedono stracciare i loro contratti, rimanendo senza alcun diritto e alcuna tutela. E ciò anche quando non vi sia la presenza di una esplicita clausola antimaternità che, prima delle denunce di Assist, era la norma nelle scritture private tra atlete e club;

   la legge di bilancio per il 2018 (legge n. 205 del 2017, articolo 1, comma 369) ha introdotto una prima importante novità istituendo presso l'Ufficio per lo sport il Fondo unico a sostegno del potenziamento del movimento sportivo italiano, con lo scopo di destinare risorse al finanziamento, tra gli altri, di iniziative che sostengono la maternità delle atlete non professioniste (mille euro per 10 mesi);

   tuttavia, la realtà dei fatti dimostra quanto sia importante intraprendere un percorso che riconosca il lavoro sportivo e tuteli le atlete –:

   quali urgenti iniziative, anche normative, si intendano intraprendere per porre fine alla situazione per la quale le atlete italiane, non avendo di fatto accesso ai benefici della legge n. 91 del 1981 sul professionismo sportivo, vengono esposte a casi clamorosi come quello di Lara Lugli, citata per danni per essere rimasta incinta.

Seduta del 19 marzo 2021

Illustrazione e replica di Laura Boldrini, risposta della Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Maria Valentina Vezzali

LAURA BOLDRINI: Grazie, signor Presidente. Signore rappresentanti del Governo, colleghi e colleghe, allora io espongo brevemente i contenuti di questa interpellanza urgente che è stata sottoscritta da 40 deputate, 40 colleghe appartenenti a diversi gruppi parlamentari. In questa interpellanza denunciamo la clamorosa ingiustizia che ha dovuto subire Lara Lugli, una donna di 38 anni, un'atleta, un'atleta del Volley Pordenone. L'accordo che la legava alla società sportiva - e questo che sto per dire è già gravissimo, di una gravità inaudita - conteneva una clausola, una clausola secondo la quale in caso di gravidanza si sarebbe proceduto al licenziamento per giusta causa. Ci rendiamo conto quale livello di discriminazione si può raggiungere? Cioè, un uomo, un atleta può diventare padre e non succede niente nella sua carriera sportiva; invece, se una donna, un'atleta, vuole diventare madre deve anche mettere una croce sulla sua carriera sportiva. Ma vado avanti, signor Presidente. Nel 2019 Lara rimase incinta e lo comunicò ai dirigenti del suo club. La risoluzione dell'accordo fu l'immediata conseguenza e altrettanto immediatamente venne privata dello stipendio. Ma pochi giorni dopo un altro evento colpì duramente Lara Lugli: la perdita del bambino. Lara reclamò lo stipendio dell'ultimo mese, in quanto aveva lavorato, e per tutta risposta che cosa fece la società? La citò per danni. Sì, Presidente, ha capito bene: la citò per danni, la citò per danni! Sì, perché, secondo loro, un'atleta che sceglie di essere madre reca un danno alla società sportiva. Ma che mondo è questo? Che mondo è questo? Ecco, semplicemente è il mondo dello sport italiano. Questo è il mondo dello sport italiano: un mondo in cui gli atleti professionisti possono essere soltanto uomini.

Sono soltanto quattro le discipline sportive che riconoscono il professionismo: il calcio fino alla Lega Pro, il ciclismo su strada, il golf e la Serie A1 di pallacanestro. Ma, attenzione: lo riconoscono soltanto per gli uomini. Significa che le atlete non sono ritenute professioniste in nessun campo, in nessuno, e neanche quando vincono le medaglie d'oro alle Olimpiadi, e lo dico qui alla sottosegretaria che so che capisce il tema, essendo lei stessa un'atleta: la sottosegretaria Vezzali sa di che cosa parlo. E la prima conseguenza di questa situazione è la mancanza di un vero contratto di lavoro nazionale che dia, quindi, alle atlete ciò che spetta a qualsiasi lavoratrice e a qualsiasi lavoratore regolare - d'accordo? -, dal trattamento di fine rapporto alle tutele previdenziali, assicurative, ma anche quelle sanitarie. E, allora, che cosa succede? Allora, ci sono accordi privati, com'è il caso che ha riguardato Lara Lugli, quindi stipulati tra l'atleta e la società, accordi in cui si può scrivere perfino - perfino! - che se decidi di essere madre automaticamente sei fuori.

Nel 2019 è esploso in Italia il tifo per la nazionale di calcio femminile (le abbiamo viste tutte queste ragazze straordinarie). La nazionale era guidata da Milena Bertolini e abbiamo tifato per loro durante i campionati del mondo. In tanti abbiamo anche ammirato la forza e la bravura di Sara Gama, di Barbara Bonansea, di Laura Giuliani e di tutte le ragazze che scendevano in campo. Bene, tutte non professioniste - sia chiaro, Presidente - ai campionati del mondo (ma non professioniste). Eppure, intorno a quel campionato hanno girato milioni di euro di diritti televisivi, di inserzioni pubblicitarie, come succede, d'altronde, nei tornei maschili (quelli, però, sì sono considerati ufficiali). Ma lo stipendio di una calciatrice, in quanto non professionista, non è neanche lontanamente paragonabile a quello che guadagnano i colleghi maschi. Vede, Presidente, è il gender pay gap di cui spesso parliamo in quest'Aula; è il gender pay gap portato sulla stratosfera, all'ennesima potenza (non saprei neanche come definirlo). E sappiate, sappiate signor Presidente e signore rappresentanti del Governo, che quello che è accaduto a Lara, a Lara Lugli, non è affatto un caso isolato. Basta con le ipocrisie! Diciamolo in quest'Aula: basta con le ipocrisie! Va bene? Si tratta, invece, al contrario di una pratica abituale, di una consuetudine. Non sono poche, come denunciano - noi lo denunciamo nell'interpellanza, ma lo denunciano in tante - le atlete dello sport di squadra o individuale che non appena incinte si vedono stracciare gli accordi rimanendo senza alcun diritto e alcuna tutela e questo accade quando non c'è - non c'è! - anche quella esplicita clausola antimaternità come nel caso di Lara Lugli. C'è da indignarsi, non c'è da stupirsi, perché lo sappiamo e lo sanno tutti: quando una lavoratrice e un lavoratore non hanno tutele riconosciute giuridicamente o da un contratto collettivo sono completamente in balia della controparte. La vita di queste atlete è vita da professioniste a tempo pieno, perché si allenano tutti i giorni, fanno i ritiri, i campionati nazionali, i campionati internazionali, ma è un professionismo non riconosciuto e questo non è normale.

Allora, con questa interpellanza chiediamo al Governo non solo di esprimere un giudizio su un'ingiustizia di cui è stata vittima Lara Lugli, ma anche se e quali iniziative, anche normative, intenda assumere per porre fine a questa situazione, una situazione in cui le atlete italiane, non avendo di fatto accesso ai benefici di cui alla legge n. 91 del 1981 sul professionismo sportivo, vengono esposte a discriminazioni clamorose come quella subita da Lara Lugli, discriminazioni inaccettabili in un Paese democratico e che non siamo più disposte veramente a subire e a tollerare. Dunque, confido nella risposta del Governo.

 

MARIA VALENTINA VEZZALI, Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Grazie. Signore onorevoli, vi ringrazio per aver presentato questa interpellanza, perché mi consente di esprimere la mia volontà su una questione che sta molto a cuore al Governo e a me personalmente: quella dei diritti dei lavoratori sportivi non professionisti e, in particolare, delle donne.

Il caso dell'atleta di pallavolo Lara Lugli, sul quale si attendono le pronunce dell'autorità giudiziaria, ha portato al clamore della stampa e posto al centro del dibattito nazionale la situazione del lavoro sportivo femminile, una criticità che penalizza le donne e i soggetti più deboli. La disciplina vigente del contratto di lavoro sportivo, utilizzato dalla stragrande maggioranza dei lavoratori sportivi (atleti dilettanti, istruttori, tecnici), prevede espressamente l'assenza di qualunque vincolo di subordinazione e, quindi, delle tutele assicurative e previdenziali ad esso connesse. Tale impostazione riflette una visione del lavoro sportivo come una sorta di hobby da praticare nel tempo libero, affiancandosi a un impiego ordinario. È evidente come tale ricostruzione non sia più attuale, in quanto, secondo i dati raccolti in sede di corresponsione delle indennità previste per l'emergenza COVID-19, diverse centinaia di migliaia di persone fanno del lavoro sportivo la loro unica fonte di sostentamento.

L'attività del Governo negli ultimi anni è stata improntata a cercare di porre rimedio a questa situazione, incominciando dalle fattispecie che riguardano i soggetti più fragili. È stata già ricordata l'introduzione, nell'ambito del Fondo unico a sostegno del potenziamento del movimento sportivo italiano, l'istituzione con legge di bilancio per il 2018 e nel 2020, al sostegno della maternità delle atlete e sono stati destinati 500 mila euro.

Anche gli alti vertici del mondo sportivo italiano hanno mostrato una sensibilità al tema, se non altro da un punto di vista sportivo.

I principi fondamentali degli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate, deliberati dal CONI nel 2018, all'articolo 14, stabiliscono che le atlete in maternità, che esercitano anche in modo non esclusivo attività sportiva, hanno diritto al mantenimento del tesseramento nonché alla salvaguardia del merito sportivo acquisito, con la conservazione del punteggio maturato nelle classifiche federali, compatibilmente con le relative disposizioni di carattere internazionale e con la specificità della disciplina sportiva praticata.

Un significativo passo avanti per i diritti delle lavoratrici si verificherà con l'entrata in vigore dei decreti attuativi della legge delega 8 agosto 2019, n. 86. In particolare, il decreto attuativo dell'articolo 5 della predetta legge delega, elaborato sentite le organizzazioni rappresentative del settore, riforma totalmente la disciplina del lavoro sportivo, introducendo tutele e forme assistenziali per le lavoratrici e i lavoratori del settore. Il titolo quinto del suddetto decreto prevede che l'attività di lavoro sportivo possa costituire oggetto di un rapporto di lavoro subordinato o di un rapporto di lavoro autonomo con tutte le tutele del caso. Le prestazioni sportive cosiddette amatoriali vengono circoscritte ad ipotesi stringenti e con presupposti economici specifici.

L'articolo 33 del decreto attuativo prevede espressamente che ai lavoratori sportivi si applichi la vigente disciplina anche previdenziale a tutela della malattia, dell'infortunio, della gravidanza, della maternità e della genitorialità, contro la disoccupazione involontaria, secondo la natura giuridica del rapporto di lavoro.

È evidente come l'entrata in vigore del decreto garantirà le tutele minime alle categorie dei lavoratori sportivi, dando finalmente loro la dignità che spetta. Ed è evidente come l'introduzione delle tutele in tema di maternità e di genitorialità farà sì che situazioni come quelle di Lara Lugli non avvengano mai più. Certo, sarà essenziale vigilare, affinché l'applicazione del dettato normativo sia piena e rigorosa, e che le lavoratrici e i lavoratori sportivi siano adeguatamente informati dei loro diritti e assistiti nell'inevitabile contenzioso che si creerà.

Inoltre, è ferma intenzione mia e del Governo considerare il decreto come un mero punto di partenza. Verrà effettuato un monitoraggio continuo circa l'efficacia delle misure previste, al fine di effettuare eventuali aggiustamenti in sede di decretazione correttiva, estendendo ulteriormente l'efficacia delle tutele previste.

Da ultimo, vorrei segnalare una misura specifica prevista per il lavoro femminile. L'articolo 39 del decreto attuativo introduce un fondo per passaggio al professionismo e l'estensione delle tutele sul lavoro negli sport femminili, la cui dotazione, per il 2021, è di 3,9 milioni di euro. Tale fondo sarà utilizzabile dalle federazioni sportive che abbiano deliberato il passaggio al professionismo di campionati femminili e, tra le sue finalità, è previsto anche l'utilizzo per l'allargamento delle tutele assicurative e assistenziali delle atlete.

In conclusione, mi sento di assicurare che il Governo e l'autorità delegata in materia di sport siano concretamente impegnati ad assicurare al lavoro sportivo e, in particolare, alle lavoratrici del settore tutte le tutele previste negli altri settori e comparti. Mai più dovranno accadere casi come quello dell'atleta Lara Lugli, che rimandano a periodi bui della storia del lavoro e sono convinta, con l'attenzione e la vigilanza che l'autorità delegata in materia di sport e gli organismi sportivi dedicheranno alla questione, non si verificheranno mai più (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Forza Italia-Berlusconi Presidente).

 

LAURA BOLDRINI: Presidente, signora sottosegretaria, allora, il caso di cui abbiamo parlato - lei ha ragione - è salito all'onore delle cronache. Ne ha parlato anche la stampa internazionale, il The New York Times, il The Guardian. Le assicuro: non ci abbiamo fatto una bella figura: c'è da vergognarsi! E, allora, bisogna sapere e dirselo che denunce da parte di associazioni su casi di questo genere sono state promosse già da tempo, ma il CONI e le federazioni interessate hanno fatto finta di niente. D'accordo?

Vede, signora sottosegretaria, io rispetto l'autonomia del CONI - ci mancherebbe - così come quella delle federazioni sportive. È un'autonomia da tutelare gelosamente: non devono rispondere ad altri se non alla Costituzione. E, però, la Costituzione, all'articolo 3, parla del principio di uguaglianza. Vede, il principio di uguaglianza: siamo tutti e tutte uguali e non può esserci nella società italiana una discriminazione in base al sesso, che è esattamente quello che sta succedendo nel mondo dello sport. Il concetto di parità nello sport è talvolta così umiliato. Per fare un esempio, che mi hanno riferito recentemente, nella federazione di pallamano, l'allenatore della nazionale maschile può prendere 80 mila euro l'anno e la sua omologa, che allena la nazionale femminile, 7.500 euro all'anno per lo stesso lavoro. Allora, questa situazione di disparità è chiaramente incostituzionale. Il Governo e il Parlamento debbono porvi rimedio senza ulteriori ritardi.

È per superare queste differenze che, durante il primo Governo Conte, io presentai alla Camera alcuni emendamenti, quando il provvedimento arrivò qui in Aula. Era il disegno di legge in materia di ordinamento sportivo. Il contenuto del primo emendamento fu accolto dall'allora sottosegretario Giancarlo Giorgetti e adesso, nel testo di quella legge, c'è scritto che bisogna garantire la parità di genere nell'accesso alla pratica sportiva a tutti i livelli. Furono accolti nel provvedimento anche altri miei emendamenti. In uno, si afferma per la prima volta il principio delle pari opportunità anche nell'accesso al professionismo sportivo e, nell'altro, la prevenzione di molestie e di violenze di genere e anche di condizioni di discriminazione. Nella legge di bilancio del 2020 fu introdotto un emendamento, per estendere alcune tutele previdenziali alle atlete, nel quale emendamento, però, si concedeva alle federazioni nazionali la facoltà - signora sottosegretaria: la facoltà! - di riconoscere il professionismo delle atlete. Certo, un passo avanti, d'accordo, lo possiamo dire, ma nulla cambierà finché questo rimarrà, appunto, una facoltà, anziché un obbligo. La battaglia sarà vinta quando, a decidere se puoi accedere al professionismo e godere delle tutele elementari di qualsiasi lavoratore e lavoratrice, non sarà il tuo datore di lavoro, ma una legge, una legge che ti riconosce, come lavoratore e come lavoratrice, titolare di diritti. Questo problema di fondo non è risolto. Lei è molto ottimista, signora sottosegretaria, ma non è risolto in modo efficace e definitivo neanche nel decreto legislativo, come lei infatti ha detto. Quindi, quel decreto è in attuazione della legge delega, di cui dicevo, del 2019, che ora le Commissioni parlamentari dovranno esaminare per il parere previsto.

Signor Presidente, contrariamente a quanto accaduto a Lara Lugli, un'altra atleta, ha avuto per fortuna un destino diverso. Il mese scorso Alice Pignagnoli, una calciatrice del Cesena, ha reso noto di essere incinta e la società ha deciso di tenerla nei suoi ranghi. Ma questa buona, anzi, quest'ottima notizia, è la conferma - non la smentita - di una situazione di ingiustizia. Il futuro di un'atleta ancora oggi è affidato non a diritti riconosciuti, ma al buon cuore della società e di chi la dirige.

Ma le cose nel mondo del lavoro - lo diceva anche lei, signora sottosegretaria - funzionavano così un paio di secoli fa. Nello sport siamo fermi a due secoli fa: questo è assolutamente inaccettabile! E allora facciamolo questo salto, signora sottosegretaria, facciamolo questo salto nella contemporaneità; riconosciamo anche alle atlete italiane pari diritti e pari dignità, e anche risparmiamoci veramente la vergogna di essere conosciuti come un Paese che anche nello sport stabilisce un principio: essere madre vuol dire essere fuori. Veramente non è più tollerabile.