20/06/2019
Andrea De Maria
Morassut, Annibali, Ascani, Benamati, Braga, Carnevali, Ciampi, Dal Moro, De Filippo, De Luca, Del Basso De Caro, Marco Di Maio, Fiano, Franceschini, Martina, Morgoni, Mura, Pezzopane, Rossi, Scalfarotto, Schirò, Siani, Ungaro, Viscomi, Gariglio, Sensi, Incerti
1-00199

La Camera,

premesso che:

come raccontano i dati di cui si dispone e le realtà che si hanno sotto gli occhi, le città contemporanee vivono un'epoca di grandi contraddizioni in termini di crescita demografica, sicurezza, distribuzioni delle ricchezze, disuguaglianze sociali, utilizzo dei suoli, mutamenti climatici e approvvigionamento energetico;

secondo gli studi e le ricerche delle maggiori organizzazioni internazionali (Ocse, Onu), che da oltre un decennio si occupano della trasformazione delle grandi aree urbane e metropolitane e delle principali tendenze che le caratterizzano, l'accelerazione dell'urbanizzazione ha rafforzato il peso delle grandi città e delle aree metropolitane. Ormai quasi i due terzi della popolazione mondiale si avvia a vivere (entro il 2050) nelle grandi città o in centri «meta-metropolitani»;

già nel 2006 la «zona Ocse» annoverava il 53 per cento della popolazione residente in grandi aree urbane e ben 78 aree metropolitane con una popolazione superiore ad 1,5 milioni di abitanti;

una ricerca Onu del 2015 stima che entro il 2025 l'aumento della popolazione urbanizzata sarà mediamente di 65 milioni di abitanti per anno e che il 96 per cento delle città europee con oltre 300 mila abitanti è destinato a crescere nell'arco dei successivi 15 anni;

la crescente concentrazione demografica, che assume intensità e velocità diverse a seconda delle varie aree continentali, produce una concentrazione di ricchezza cui si accompagna una crescita di diseguaglianze ed un aumento della povertà all'interno delle aree urbane;

molte grandi città dell'Europa, delle Americhe e dell'Asia, concentrano quasi la metà del prodotto interno lordo nazionale nelle loro aree metropolitane ed un prodotto interno lordo pro-capite superiore a quello nazionale;

nello stesso tempo, in gran parte delle medesime situazioni, i tassi di disoccupazione o di inattività lavorativa sono superiori agli indici nazionali ed in molti casi alle zone rurali e scarsamente urbanizzate;

la povertà e l'esclusione non sono più da tempo fenomeni urbani e metropolitani propri delle città meno avanzate o dei cosiddetti «Paesi in via di sviluppo» ma segnano profondamente (con una marcata accelerazione dei fenomeni dopo il 2008) anche le città e le metropoli dei Paesi più avanzati, configurando un forte assottigliamento dei ceti medi urbani tradizionali e delle condizioni medie di prosperità e di benessere;

gli immigrati ed i loro discendenti rappresentano, insieme ai gruppi sociali impoveriti dal restringimento delle classi medie, le componenti più vulnerabili delle popolazioni che tendono a raggrupparsi nelle grandi città;

tutto ciò produce costi elevati; la povertà e l'esclusione si traducono in alti livelli di criminalità che rafforzano le reti e le organizzazioni criminali che ormai agiscono su scala globale e operano sempre più attivamente anche nel settore finanziario;

già nel 2006 l'Ocse segnalava un tasso di criminalità, nelle città principali dell'area, superiore del 30 per cento al tasso nazionale ed una forte concentrazione spaziale dei fenomeni di criminalità in quartieri depressi con minore accessibilità alle infrastrutture, ai servizi, ai poli formativi principali (università, scuole) e sui quali i livelli di investimenti pubblici e privati pro-capite sono nettamente inferiori ai quartieri più integrati;

parte rilevante della disgregazione del tessuto sociale è rappresentato dai fenomeni di intolleranza tra gruppi etnici o religiosi di diversa radice e che trovano alimento in particolare nella contrapposizione tra nuovi poveri immigrati e non, figli di una medesima condizione di diseguaglianza ed esclusione;

la crescita demografica delle aree urbane e la conseguente tendenziale espansione dei perimetri urbani costituisce una delle componenti più allarmanti sullo stato complessivo della salute del pianeta;

mutamenti climatici, aumento esponenziale delle superfici impermeabilizzate e del consumo di suolo, riduzione e compromissione delle riserve idriche, ritardi e sperequazioni nelle politiche di riconversione energetica finalizzate alla riduzione ed al progressivo abbandono dell'uso dei derivati fossili, rappresentano le grandi sfide dell'umanità di questo secolo, sfide che possono essere vinte o perse principalmente nel teatro urbano e metropolitane;

anche perché la crescente urbanizzazione a livello mondiale sta producendo, per converso, un crescente degrado del suolo mondiale non urbanizzato che, secondo una stima della Fao, già per il 33 per cento «altamente degradato» anche per l'impoverimento che ne è derivato per la concentrazione delle moderne coltivazioni intensive; una condizione che mette a rischio il benessere di 3 miliardi e mezzo di persone;

da questi dati emerge quindi il profilo di una «nuova questione urbana» che si configura come un vero e proprio transito da una civiltà urbana ad un'altra il cui destino è tutto da scrivere e che, seppure con caratteristiche specifiche e scale dimensionali diverse e spesso assai distanti, caratterizza l'intero pianeta e si gioca su una nuova strategia di crescita nella quale l'aumento della popolazione urbana e delle possibilità di ricchezza e di benessere debbono necessariamente convivere con maggiore eguaglianza, risparmio delle risorse naturali, nuovi modelli energetici, contenimento del consumo di suolo e dell'espansione del suolo urbanizzato;

una ricerca del Cresme del 2016 (World Cities Vision 2030-2050) documenta ancor meglio e con dati aggiornati la crescita delle grandi metropoli delle economie emergenti ma anche delle città della vecchia Europa e come esse stiano cercando di progettare la loro «rivoluzione» attrezzandosi per crescere e competere, offrendo nuove opportunità di lavoro e di sviluppo e una nuova qualità della vita;

le linee di azione in corso nelle principali metropoli capitali europee si sviluppano su indirizzi comuni e che fanno riferimento ai contenuti di Agenda urbana europea 2030;

tali indirizzi contemplano: piani climatici riguardanti l'ambiente e l'energia, per migliorare la qualità dell'aria e ridurre le emissioni di CO2; grandi investimenti per la mobilità sostenibile, per la rigenerazione dei tessuti urbani ed edilizi, per la riconversione energetica degli edifici e per la loro rifunzionalizzazione, grandi programmi per la digitalizzazione; potenziamento delle infrastrutture culturali e formative e dei centri per la ricerca scientifica e tecnologica; programmi di housing sociale valorizzazione dello spazio pubblico;

sono in atto importanti trasformazioni condotte con politiche di partnership pubblica e privata, inscritte all'interno di piani strategici con obiettivi temporalizzati;

le strategie di agenda 2030 sono dunque in pieno sviluppo nella gran parte delle nazioni europee, sorrette da programmi e finanziamenti nazionali ed europei all'interno dei quali è possibile ravvisare l'ormai strettissima relazione, fin quasi alla coincidenza, tra politiche urbane in senso generale e politiche per la riqualificazione delle periferie;

in Italia tale condizione assume una speciale connotazione e si inserisce in un contesto di particolare complessità nel quale le crescenti e nuove contraddizioni si sommano ad antichi problemi mai del tutto risolti e superati e ad una condizione distorsiva dello sviluppo moderno delle principali città italiane guidato per lungo tempo dalla rendita urbana, da un rapido e concentrato inurbamento che ha modificato in poco tempo il rapporto tra città e campagna consolidatosi in secoli di storia di un Paese ancora prevalentemente agricolo fino ai primi anni del secondo dopoguerra;

tutto questo consegna una condizione nella quale esistono larghi squilibri territoriali tra diverse aree del Paese e tra diverse aree urbane del Nord, del Centro e del Sud, nella quale la dimensione pubblica della città, che ha caratterizzato peculiarmente lo sviluppo delle città italiane dall'antichità, al Medioevo, al rinascimento e fino all'Ottocento e che ancora si mantiene viva e presente nella sostanziale conservazione dei tessuti storici di borghi e città, si è fermata progressivamente e va declinando, minacciata o totalmente compromessa dalle vecchie e nuove contraddizioni;

gli strumenti normativi posti a presidio e garanzia di un equo sviluppo urbano tra le componenti «pubbliche» (servizi, spazi pubblici, attrezzature collettive, urbanizzazioni primarie, infrastrutture, edilizia sociale) e quelle private (residenza privata, attrezzature per servizi privati o per la produzione manifatturiera) sono fermi agli anni ’60 e ’70, figli di una stagione ormai lontana;

del tutto particolare e legato alle peculiari contraddizioni dell'inurbamento post unitario e post bellico è il fenomeno dell'abusivismo edilizio che ha generato enormi costi finanziari, sociali ed ambientali, che ancora oggi rappresenta una delle cause della fragilità idrogeologica del modello insediativo italiano e che non accenna a diminuire anche per il cedimento periodico delle istituzioni e delle amministrazioni che più o meno esplicitamente, più o meno surrettiziamente hanno alternato campagne di lotta e di repressione del fenomeno con soluzioni indultive;

il fenomeno dell'abusivismo ha segnato la forma della gran parte delle città italiane sia in relazione alle forme insediative sia in relazione ai tessuti produttivi e commerciali accentuando il carattere distributivo «sprawl» dei perimetri urbani e metropolitani, più dispersivi e costosi sotto ogni punto di vista;

oggi, in presenza delle nuove contraddizioni globali (precedentemente descritte) le periferie urbane vanno assumendo una connotazione trasversale che riguarda il complesso dell'organismo urbano nel quale i fenomeni di degrado e marginalità, di impoverimento dei ceti medi urbani, di abbandono dello spazio pubblico e di patrimonio privato, di crescita delle sacche di insicurezza urbana e di aumento della criminalità non riguardano più solo le aree esterne delle città, ma interessano anche zone centrali o semicentrali, investite dalle modificazioni del mercato immobiliare, dai flussi insediativi di immigrati, dall'invecchiamento del patrimonio edilizio diffuso;

si parla ormai di «spappolamento», di «lacerazione», di «sfaldamento» dei corpi urbani e, per converso si contrappone la necessità di una «ricucitura» dei tessuti;

l'Italia appare, nel contesto europeo e mondiale caratterizzato, come si è visto, da un grande dinamismo e da grandi obiettivi tesi ad affrontare i termini della «nuova questione urbana» e a contrastare gli aspetti negativi della globalizzazione, come il fanalino di coda delle politiche urbane; si tratta di una condizione di ritardo e di arretratezza o al meglio di stasi segnata da assenza di progetti di grande respiro, irrigidimento normativo, scarsezza di risorse, conflitto di competenze tra diversi enti territoriali, incapacità di molte regioni ad avvalersi delle risorse messe a disposizione dall'Unione europea per programmi e progetti innovativi e di rigenerazione urbana;

dopo anni di inerzia e di sostanziale episodicità degli interventi sulle città, senza un quadro organico e coordinato, con la legge 28 dicembre del 2015, n. 208, articolo 1, commi 974, 975, 976, 977, 978, è stato istituito un «Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia» che ha segnato una significativa inversione di tendenza nelle politiche pubbliche nazionali a sostegno delle aree urbane;

con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 dicembre 2016, è stata approvata la graduatoria dei progetti (n. 120), il cui valore finanziario complessivo ammonta a circa 3,8 miliardi di euro comprensivo dei cofinanziamenti a carico di altri bilanci pubblici, dello stesso ente partecipante, o di altri enti pubblici o privati, mentre la quota complessiva da imputare al finanziamento statale corrisponde a un valore di circa 2,1 miliardi di euro;

i comuni dal n. 1 al n. 24 hanno beneficiato delle risorse previste all'articolo 1, comma 978, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (500 milioni di euro);

per i restanti Comuni (n. 96 comuni) il finanziamento è stato assicurato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 maggio 2017 che, ai sensi dell'articolo 1, comma 140 della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (cosiddetta legge di bilancio 2017) ha assegnato al programma 800 milioni di euro a valere sol fondo per il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale e dalle delibere del CIPE n. 2 del 3 marzo 2017 e n. 72 del 7 agosto 2017 che, ai sensi del comma 141 della citata norma, hanno assegnato l'importo residuo di 761,32 milioni di euro a valere sul Fondo per lo sviluppo e la coesione relativo al periodo di programmazione 2014-2020;

a seguito della disponibilità dell'intero ammontare delle risorse necessarie, nel mese di gennaio 2018 è stata completata la sottoscrizione di tutte le convenzioni;

su questo contesto si è innestata, nel 2018, la modifica legislativa introdotta con l'articolo 13 del decreto-legge 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 settembre 2017, n. 108, cosiddetto «Milleproroghe». Tale norma ha differito al 2020 l'efficacia delle convenzioni concluse con i 96 comuni. Successivamente, in Conferenza unificata, è stato sancito l'accordo del 18 ottobre 2018 a cui è stato dato seguito con l'approvazione della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio 2019);

le disposizioni in questione, contenute all'articolo 1, commi da 913 a 916, stabiliscono che le convenzioni dei 96 enti successivi ai primi 24, producono effetti nel corso dell'anno 2019 relativamente al rimborso delle spese sostenute e certificate dagli enti beneficiari in base al cronoprogramma, attraverso l'utilizzo dei residui iscritti sul fondo di sviluppo e coesione e che le economie realizzate dagli enti territoriali rimangono acquisite al bilancio statale per essere destinate al finanziamento di spese di investimento dei Comuni e delle Città metropolitane. A tal fine, la Presidenza del Consiglio dei ministri e gli enti beneficiari provvedono all'adeguamento delle convenzioni già sottoscritte. Sono, pertanto, in corso di perfezionamento gli atti integrativi alle convenzioni già sottoscritte con i citati 96 Enti;

nella passata legislatura la Camera dei deputati aveva anche istituito una «Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie» che aveva concluso i suoi lavori con un rapporto conclusivo votato sostanzialmente all'unanimità e che aveva condotto ad un'ampia indagine territoriale e all'indicazione di alcune linee unitarie di intervento;

purtroppo, sia le modifiche legislative al «bando per le periferie» che la decisione di non ricostituire la Commissione parlamentare nella XVIII legislatura hanno interrotto un proficuo lavoro che rischia di ritardare o compromettere molti progetti e di riportare l'Italia in una condizione di episodicità di interventi, di disinteresse delle istituzioni e di marginalità rispetto alle dinamiche in atto nelle trasformazioni strategiche in corso negli altri Paesi europei e nelle maggiori nazioni del mondo,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per rafforzare gli strumenti governativi e parlamentari per promuovere e gestire una nuova stagione delle politiche urbane, istituendo in particolare un dipartimento ad hoc di coordinamento delle politiche urbane;

2) ad adottare iniziative per una riforma delle competenze territoriali delle grandi aree metropolitane puntando alla istituzione di città metropolitane elette dai cittadini, con particolare riferimento alle città metropolitane con popolazione superiore ai 500 mila abitanti;

3) a rilanciare politiche coordinate e finanziate per la riqualificazione delle periferie, come per il bando del 2015, con un programma poliennale della durata di dieci anni, in modo tale di allestire un vero e proprio programma con continuità di finanziamenti e obbiettivi, considerato che la promozione di un tale programma può consentire investimenti per 25-30 miliardi di euro in dieci anni e che le città italiane hanno bisogno di obbiettivi e programmazione coordinata a livello nazionale e locale;

4) a promuovere una organica riforma della normativa nazionale per il governo del territorio in un quadro unitario e coordinato, il quale, pur nel rispetto del carattere concorrente della materia secondo il dettato della Costituzione, consenta di semplificare procedure e normativa, dare un quadro unitario di principi alla variegata legislazione regionale, favorire una riforma della normativa sugli standard e le dotazioni territoriali per i servizi urbani e metropolitani, costruire le condizioni di una fiscalità urbana equa e che favorisca il finanziamento della «città pubblica», codificare un regime di incentivazioni e sostegno alle politiche di rigenerazione urbana, riconversione energetica, riuso del patrimonio dismesso, demolizione e ricostruzione e contenimento del consumo di suolo;

5) a favorire una nuova stagione di politiche di edilizia residenziale pubblica con sostegno diretto degli enti pubblici e con accordi con soggetti finanziari per la realizzazione di programmi di housing, finalizzati al recupero e alla riconversione del patrimonio dismesso, alla riqualificazione dei quartieri di edilizia pubblica esistenti e degradati, allo sviluppo della residenza per studenti e per giovani coppie e al potenziamento dell'offerta per anziani attraverso residenze sanitarie assistite pubbliche o convenzionate;

6) a favorire una politica di effettiva tutela della sicurezza pubblica, adottando iniziative per raccordare tutte le competenze e le autorità presenti sul territorio (comuni, prefetture, corpi di polizia) e costruendo dei «patti per la sicurezza» che in ogni città si avvalgano delle competenze e delle prerogative dei neoistituiti Comitati metropolitani per l'ordine e la sicurezza e che puntino a coniugare cooperazione col tessuto associativo, sussidiarietà e controllo del territorio da parte delle autorità di Pubblica Sicurezza, unendo quindi sicurezza e solidarietà;

7) ad adottare le iniziative di competenza per una lotta serrata al fenomeno delle occupazioni abusive ed illegali del patrimonio abitativo pubblico e privato ed una decisa azione finalizzata allo sgombero delle occupazioni abusive quando non motivate da una reale e comprovata necessità che le autorità pubbliche competenti debbono impegnarsi a risolvere preservando il diritto alla proprietà ed i beni comunque comuni;

8) ad assumere le iniziative di competenza per una riforma dell'ordinamento delle polizie locali che favorisca un loro maggior coordinamento con i corpi nazionali;

9) a favorire politiche attive per il sociale adottando iniziative per agevolare una crescita degli investimenti da parte delle amministrazioni locali sia in termini di realizzazione di nuove strutture (scuole, centri civici, centri anziani, strutture formative, impianti sportivi), sia in termini di sostegno al reddito delle fasce più deboli, di impegno lavorativo e di inserimento per gli immigrati regolari e di sostegno alle politiche per l'emergenza abitativa (buono casa, sostegno all'affitto);

10) ad adottare, in questo quadro, iniziative per valorizzare, in un'ottica di virtuose azioni di sussidiarietà, le risorse civiche dell'associazionismo e del volontariato che in campo ambientale, culturale, sociale, sportivo, di manutenzione dello spazio pubblico e dei beni comuni, già oggi rappresentano una risorsa di grandissimo valore e importanza e che supportano gratuitamente ma senza un quadro organico di regole e di obbiettivi l'azione spesso carente delle amministrazioni locali.

Seduta del 15 luglio 2019

Illustrazione di Davide Gariglio

Intervento di Filippo Sensi

Seduta del 17 luglio 2019

Dichiarazione di voto di Roberto Morassut