La Camera,
premesso che:
le decisioni della Banca centrale europea relative ai tassi di interesse di riferimento hanno avuto un effetto positivo sulla redditività complessiva degli intermediari ascrivibile quasi interamente all'aumento degli interessi attivi netti;
la diversa dinamica dei tassi tra depositi e prestiti, infatti, sta ampliando il margine finanziario delle banche e aumentando, pertanto, i loro profitti: secondo i dati della Banca d'Italia (relazione annuale del 31 maggio 2023), nel 2022 il margine di interesse delle banche italiane ha raggiunto i 45,5 miliardi di euro, il valore più alto di sempre, superiore anche al picco del 2008 (44,8 miliardi di euro);
rispetto al 2021, il margine della gestione finanziaria è aumentato di 7,1 miliardi di euro (+19 per cento). Un aumento simile si è verificato anche per gli utili netti, che sono saliti a 21,8 miliardi di euro nel corso dell'anno, un incremento di 7,7 miliardi di euro (+55 per cento);
le relazioni trimestrali dei principali gruppi bancari nel marzo 2023 hanno evidenziato una crescita tendenziale del 38 per cento del margine finanziario e del 48 per cento degli utili rispetto all'intero anno 2022;
al contrario, le famiglie devono fare i conti non solo con l'alta inflazione, ma anche con l'aumento delle rate e degli interessi annuali sui mutui per un totale di 4,2 miliardi (da 7,1 a 11,3 miliardi) su 426 miliardi di euro di mutui in corso per l'acquisto di abitazioni, dato ancor più significativo in considerazione del fatto che i mutui a tasso fisso stipulati negli anni passati abbiano mediamente contenuto l'aumento dal 1,67 per cento al 2,66 per cento; i tassi dei nuovi mutui, invece, hanno superato il 4 per cento, rispetto all'1,2 per cento di dicembre 2021;
nel complesso, le famiglie stanno pagando un aumento degli interessi di 6,5 miliardi di euro sui 679 miliardi di prestiti ottenuti dal sistema bancario, mentre stanno ricevendo un maggior introito di poco più di 4,3 miliardi sui 1.610 miliardi di raccolta diretta (depositi familiari e raccolta da obbligazioni e prodotti strutturati) affidati alle banche;
le imprese stanno pagando persino di più: nonostante abbiano 31 miliardi in meno di finanziamenti (da 674 miliardi di euro a luglio 2022 a 643 miliardi a marzo 2023), l'ammontare degli interessi è più che raddoppiato, passando da 12,1 a 25,3 miliardi; i tassi, principalmente variabili, si sono rapidamente allineati alle nuove condizioni;
come ricordato dal Governatore Visco alla recente assemblea dell'Abi, dal dicembre del 2021 al maggio 2023 i tassi di interesse sui nuovi prestiti alle imprese e sui nuovi mutui alle famiglie sono cresciuti in Italia rispettivamente di circa 360 e 280 punti base, portandosi al 4,8 e 4,2 per cento, a fronte di rialzi dei tassi ufficiali sui rendimenti dei depositi a vista ancora molto contenuti;
da quando la Bce ha iniziato ad aumentare i tassi a luglio 2022, le imprese pagano alle banche 13,2 miliardi di euro di interessi passivi in più sui prestiti, guadagnando 2,1 miliardi in più di remunerazione sui depositi;
nel complesso, ad aprile 2023 ammontava a quasi 15 miliardi di euro l'aumento annuo netto degli interessi che le banche stanno guadagnando dai loro clienti, rispetto a luglio 2022 (fine dei tassi negativi);
occorre evitare che l'inflazione sia pagata soprattutto dai settori più deboli della società e assumere misure di carattere redistributivo tra chi sta perdendo molto e chi sta guadagnando moltissimo,
impegna il Governo
1) ad adottare, per quanto di competenza, iniziative normative urgenti volte a ridurre l'onere gravante su famiglie e imprese determinato dagli incrementi dei tassi di interesse, anche consentendo l'allungamento dei piani di rimborso dei mutui e dei prestiti a tasso variabile, finanziate con il gettito derivante dall'applicazione di un contributo, a carattere redistributivo, a titolo di prelievo solidaristico straordinario a carico dei soggetti che esercitano l'attività bancaria, la cui base imponibile sia commisurata all'incremento della differenza tra il tasso medio sui prestiti e il tasso medio sulla raccolta rispetto ai periodi antecedenti alla fine dei tassi negativi.