La Camera,
premesso che:
la guerra commerciale scatenata dalla nuova Amministrazione statunitense nel quadro di una più ampia strategia protezionistica ha innescato una grave crisi commerciale e finanziaria a livello globale;
l'annuncio continuo di nuovi dazi e la sospensione di alcuni di essi poco dopo l'entrata in vigore – come arma contrattuale – oltre ad aver provocato una tempesta sui mercati finanziari, genera incertezza, frena gli investimenti e comporta una contrazione degli scambi commerciali e un aumento dei prezzi che si ripercuote su consumatori e imprese, rallentando le prospettive di crescita economica;
in pochi giorni, l'effetto destabilizzante della guerra commerciale ha provocato perdite nei mercati azionari per oltre 14.000 miliardi di dollari e una pericolosa turbolenza nel mercato dei titoli di Stato americani, inducendo l'Amministrazione statunitense a sospendere per 90 giorni – con l'eccezione della Cina – l'applicazione dei dazi;
dopo mesi non si è ancora trovata una soluzione alla crisi e l'Amministrazione americana continua a mostrarsi altamente imprevedibile e inaffidabile, annunciando ulteriori dazi e l'invio di lettere ai Paesi partner con offerte «prendere o lasciare»;
l'Unione europea, dopo aver adottato controdazi e averli a sua volta temporaneamente sospesi, ha avviato i negoziati con gli Stati Uniti, ma non è ancora stato raggiunto un accordo, dopo il tentativo fallito nel corso del vertice G7 in Canada su una tariffa generalizzata al 10 per cento, e la serie di incontri tra il commissario al commercio Maros Sefcovic con i negoziatori americani;
il 9 luglio 2025 terminerà la sospensione dei dazi nei confronti dell'Unione europea decisa dall'Amministrazione americana e, nell'ipotesi di un mancato accordo, saranno ripristinati i dazi per Paese;
l'Unione europea e gli Stati Uniti hanno sempre avuto la più rilevante relazione bilaterale commerciale su scala globale, rappresentando insieme quasi il 30 per cento degli scambi mondiali di beni e servizi e costituendo reciprocamente i partner commerciali più importanti per quanto riguarda gli scambi di beni: nel 2024 gli scambi transatlantici di beni e servizi hanno superato i 1.680 miliardi di euro;
gli Stati Uniti sono il principale partner commerciale dell'Unione europea per le esportazioni e il secondo partner (dopo la Cina) per le importazioni;
oltre 30 milioni di posti di lavoro (ossia un posto di lavoro su sette) nell'Unione europea dipendono dalle esportazioni al di fuori dell'Unione;
l'Italia, seconda manifattura d'Europa, è tra i Paesi europei maggiormente esposti alle conseguenze della decisione dell'Amministrazione statunitense di imporre dazi su un'ampia gamma di beni europei: nel 2024 ha esportato verso gli Stati Uniti beni per 65 miliardi di euro, con un avanzo commerciale di 39 miliardi di euro, il secondo in Europa dopo la Germania;
recenti stime di Confindustria mostrano che il vero impatto sulle esportazioni italiane risulta ben superiore al dato nominale dei dazi: si parla solo di dazi al 10 per cento, ma con la svalutazione del dollaro che vale il 13,5 per cento si arriva al 23,5 per cento. Le stime sull'impatto per l'industria italiana indicano un valore di circa 20 miliardi di euro con il coinvolgimento di 118 mila occupati;
nel settore dell'agricoltura, secondo alcuni autorevoli studi, l'introduzione di nuovi dazi statunitensi potrebbe costare all'export italiano di prodotti alimentari e non food all'incirca mezzo miliardo di euro;
le esportazioni agroalimentari negli Stati Uniti, il cui valore era già diminuito con i dazi imposti durante la prima presidenza Trump, si sono drasticamente ridotte da quando sono entrate in vigore le nuove tariffe aggiuntive; i dazi comportano un aggravio di spesa per i cittadini statunitensi che si traducono inevitabilmente in ricadute anche sulle aziende italiane, vista la richiesta di «sconti» da parte degli importatori riscontrata nelle scorse settimane. La diminuzione dei consumi si tradurrà inevitabilmente in prodotto invenduto per le imprese italiane, costrette a dover cercare nuovi mercati;
gli Stati Uniti hanno minacciato da ultimo di colpire le esportazioni agricole dell'Unione europea con tariffe del 17 per cento, che rappresenterebbero una tassazione insopportabile per le imprese e il comparto agricolo, con conseguente perdita di mercato per le produzioni italiane che faticherebbero a competere con le merci di scarsa qualità provenienti da altre parti del mondo;
lungi dal rappresentare un'opportunità da sfruttare, come sostenuto da esponenti del Governo italiano, la guerra commerciale in atto richiede necessariamente una risposta dell'Unione europea «compatta, serena e determinata», per usare le parole del Presidente Mattarella;
in base ai Trattati, le questioni che rientrano nei settori della politica commerciale comune e dell'Unione doganale, quali dazi e scambi commerciali con Paesi terzi, sono di competenza esclusiva dell'Unione europea, cui spetta concludere accordi commerciali internazionali e adottare contromisure in caso di introduzione o aumento unilaterale di dazi da parte di un Paese terzo; iniziative di singoli Stati membri indeboliscono la posizione negoziale dell'Unione europea, a fronte di vantaggi limitati in un sistema economico fortemente integrato come quello europeo;
il Governo Meloni, invece, ha assunto una posizione ambigua, schiacciata sulla linea dell'Amministrazione Trump e isolata in Europa, relegando il nostro Paese ai margini delle trattative e perdendo tempo prezioso; occorre fare ogni sforzo per sostenere il negoziato dell'Unione europea sui dazi Usa per evitare una guerra commerciale che pagherebbero per primi le imprese e i lavoratori italiani, ma finora il Governo, pur di non infastidire Trump, ha sempre minimizzato l'impatto dei dazi, arrivando a sostenere nei giorni scorsi che i dazi al 10 per cento non sarebbero così impattanti per l'Italia;
nel corso del G7 è stata invece siglata un'intesa – definita dal Ministro dell'economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti un compromesso onorevole – che, nell'ambito della Global minimum tax, esenta le multinazionali statunitensi dal pagamento di maggiori imposte societarie all'estero;
l'Unione europea non può limitarsi alle misure difensive – che andrebbero peraltro orientate anche verso i servizi e i diritti di proprietà intellettuale delle cosiddette aziende big tech, laddove è più forte la specializzazione dell'economia americana e la sua pervasività nel nostro continente ma deve adottare una strategia proattiva, diversificando i mercati di sbocco, promuovendo nuovi accordi commerciali e attivando un quadro di sostegni per imprese e per i lavoratori sul modello Sure;
l'Unione europea è chiamata a rispondere con una strategia articolata e comune alla sfida protezionistica, senza rinunciare a rappresentare un punto di riferimento globale per un ordine economico multilaterale basato su regole condivise, garantendo scambi leali, aperti ed equi, al proprio modello economico e industriale basato sulla sostenibilità ambientale e la coesione sociale;
secondo Confindustria, «serve ancora negoziare tutti uniti come Europa» e la crescente incertezza rischia di compromettere le decisioni di investimento delle imprese;
l'Unione europea deve accelerare la conclusione di accordi commerciali con mercati alternativi, a partire dal Mercosur, con idonee compensazioni per i settori sensibili, come l'agricoltura. Lo stesso Presidente di Confindustria Orsini, ha sottolineato che tale accordo «può generare un incremento di export tra 5 e 7 miliardi» e che l'Italia può svolgere un ruolo di guida nei negoziati, alla luce della competitività dimostrata in precedenti intese commerciali internazionali;
occorre guardare anche ad altri mercati strategici per l'export italiano, come India, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, in cui i prodotti italiani godono di elevata attrattività;
il sistema Paese deve potenziare l'azione coordinata di Ice, Sace e Simest per supportare in modo più efficace l'internazionalizzazione delle imprese;
il costo dell'energia rimane il problema principale per il sistema economico italiano, con un prezzo medio dell'energia elettrica all'ingresso, nel 2024, di 108 euro al megawattora, il 35 per cento in più della Germania, il 72 per cento della Spagna, l'87 per cento della Francia, Paesi con mix energetici diversi che dimostrano la specificità italiana. Nelle prime settimane del 2025 siamo arrivati a 150 euro al megawattora con costi aggiuntivi stimati in 10 miliardi euro su base annua, che significa mettere fuori mercato interi settori produttivi;
l'Italia ha bisogno di più energia a minor costo; per ottenerlo è fondamentale aumentare le rinnovabili, i contratti a lungo termine e adottare un'iniziativa a livello europeo per un approccio unitario sui costi dell'energia, con un prezzo unico dell'elettricità europea, interagendo anche a livello comunitario per intervenire sul meccanismo del «prezzo marginale» ricollegando in maniera fattuale i prezzi ai costi di produzione delle singole tecnologie. In questa ottica, si potrebbe disaccoppiare il segmento delle tecnologie ad elevati costi del capitale (capex based) e con costi variabili quasi nulli per kilowattora come le rinnovabili elettriche (idrico, geotermoelettrico, eolico e solare) da quelle caratterizzati da elevati costi variabili governati per lo più dal costo delle materie prime energetiche fossili;
come segnalato in varie occasioni dal gruppo del Partito Democratico e dalle associazioni datoriali e sindacali in merito alla politica energetica, il costo dell'energia in Italia, che rende poco competitive le imprese, impone un forte rilancio degli investimenti in fonti rinnovabili (oltre 150 GWh di richiesta), oltre a interventi in campo fiscale o, in alternativa, la reintroduzione di strumenti efficaci come l'Aiuto alla crescita economica;
il «piano» presentato l'8 aprile 2025 dal Governo Meloni alle associazioni d'impresa è privo di risorse nuove, basato esclusivamente sulla riprogrammazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza e dei fondi di coesione e insufficiente ad affrontare le reali esigenze del sistema produttivo,
impegna il Governo:
1) a definire con urgenza una strategia nazionale organica di risposta alla crisi commerciale in atto, coinvolgendo le parti sociali, le associazioni d'impresa, le istituzioni territoriali e le forze parlamentari di maggioranza e opposizione;
2) a sostenere una risposta europea unitaria alle politiche dei dazi dell'Amministrazione Trump, che escluda ogni controproducente e inadeguata tentazione di bilateralizzare la risoluzione del conflitto commerciale, miri alla progressiva eliminazione dei dazi e ampli le contromisure includendo i servizi e i diritti di proprietà intellettuale delle big tech, nonché a promuovere l'istituzione di un fondo europeo di sostegno per rispondere agli effetti dei dazi sul sistema economico e sociale, attivando anche un meccanismo simile a Sure per rafforzare la rete di protezione sociale dei lavoratori;
3) a promuovere una politica commerciale europea volta alla diversificazione dei mercati di sbocco, anche accelerando la ratifica di nuovi accordi commerciali di libero scambio, a partire dal Trattato Mercosur, con idonee compensazioni per i settori agricoli sensibili e a rilanciare la Global minimum tax;
4) ad adottare iniziative nazionali immediate e straordinarie, finalizzate:
a) a potenziare gli strumenti di garanzia pubblica per l'accesso al credito, in particolare il Fondo centrale di garanzia per le Pmi e Sace;
b) a rifinanziare gli ammortizzatori sociali e sostenere il rinnovo dei contratti collettivi nazionali scaduti;
c) ad aumentare le risorse a favore dell'export e dell'internazionalizzazione delle imprese, anche per prevenire rischi di delocalizzazione verso gli Stati Uniti, e realizzare una vera ed effettiva politica di tutela del made in Italy;
d) a favorire il disaccoppiamento del prezzo dell'energia elettrica da quello del gas attraverso la stipula di contratti di lungo termine di compravendita di energia elettrica rinnovabile tra produttori e acquirenti/consumatori, nonché a revisionare l'attuale meccanismo di formazione dei prezzi dell'energia elettrica e prevedere l'approvvigionamento tramite acquisti congiunti europei;
e) ad accelerare lo sviluppo delle fonti rinnovabili, favorire i public purchase agreement e legare le concessioni energetiche alla riduzione dei costi per imprese e famiglie;
f) a rafforzare il programma Transizione 4.0, rifinanziare il Fondo automotive e riorientare le risorse del programma Transizione 5.0 verso strumenti più efficaci.
Seduta del 23 giugno 2025
Intervento in discussione generale di Alberto Pandolfo
Seduta dell'8 luglio 2025
Dichiarazione di voto di Piero De Luca