02/11/2021
Chiara Gribaudo
VISCOMI, MURA, CARLA CANTONE, LACARRA, LEPRI, BERLINGHIERI, LORENZIN, FIANO e CARNEVALI
3-02585

Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   l'Inps con il messaggio n. 3495 ha comunicato che l'assegno mensile di invalidità, di cui all'articolo 13 della legge n. 118 del 1971, sarà liquidato soltanto per i soggetti beneficiari per i quali risulti l'inattività lavorativa;

   tale determinazione discenderebbe dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale secondo l'Inps «con diverse pronunce, è intervenuta sul requisito dell'inattività lavorativa di cui all'articolo 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118, come modificato dall'articolo 1, comma 35, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, affermando che il mancato svolgimento dell'attività lavorativa integra non già una mera condizione di erogabilità della prestazione ma, al pari del requisito sanitario, un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale, la mancanza del quale è deducibile o rilevabile d'ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio»;

   tale giustificazione fa venire meno la percepibilità del sussidio a prescindere dalla misura del reddito ricavato, che fino ad oggi veniva concesso ai beneficiari con invalidità civile ricompresa fra il 74 e il 99 per cento e con un limite di reddito annuo di 4.931,29 euro, che in una precedente interpretazione dell'istituto veniva considerato un reddito derivato da attività lavorativa non rilevante;

   l'Inps applicherebbe così alla lettera l'articolo 13, comma 1, della legge n. 118 del 1971, il quale recita: «Agli invalidi civili di età compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo anno nei cui confronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74 per cento, che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste, è concesso, a carico dello Stato ed erogato dall'Inps, un assegno mensile di euro 242,84 per tredici mensilità, con le stesse condizioni e modalità previste per l'assegnazione della pensione di cui all'articolo 12»;

   a parere degli interroganti, privare di tale assegno una platea di cittadini con invalidità rilevante, che con sforzo e dedizione si impegnano per svolgere un'attività lavorativa anche residuale al fine di una piena partecipazione alla società, come richiamato dal dettato costituzionale agli articoli 3 e 4, rappresenta un grave passo indietro del Paese nella tutela dei diritti dei più deboli e nell'incentivare l'integrazione di chi versa in condizioni di disabilità –:

   quali iniziative di competenza si intendano adottare per rendere nuovamente idonei all'assegno di invalidità civile i cittadini esclusi sulla base del citato messaggio n. 3495 del 2021.

Seduta del 3 novembre 2021

Illustrazione di Stefano Lepri, risposta del Ministro per il lavoro e le politiche sociali Andrea Orlando, replica di Chiara Gribaudo

STEFANO LEPRI. Grazie Presidente. L'INPS ha comunicato che l'assegno di invalidità sarà dato, d'ora in avanti, solo a fronte di una totale inattività lavorativa da parte del beneficiario. Questa interpretazione deriverebbe dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo la quale non lavorare sarebbe un requisito necessario, al pari dell'accertamento previsto sanitario della condizione di invalidità. Finora, invece, all'invalido con invalidità tra il 74 e il 95 per cento e fino ad un reddito di 4.931 euro annuo, è stato concesso l'assegno di invalidità, in forza di un'interpretazione secondo la quale si tratterebbe di un reddito non rilevante.

Per noi questa interpretazione dell'INPS è evidentemente un grave passo indietro, almeno per due fondamentali ragioni. La prima è che in questo modo si disincentiva la persona con invalidità ad attivarsi, a darsi da fare ed a non ripiegarsi nella sua condizione di validità. La seconda ragione è che in questo modo si mortifica la grande attività di molte associazioni, enti e imprese sociali del Terzo settore, che attraverso borse lavoro e altre forme di lavoro occasionale hanno provato, con successo in molti casi, a inserire queste persone nel lavoro. Quindi, le chiediamo, signor Ministro, cosa intende fare.

ANDREA ORLANDO, Ministro del Lavoro e delle politiche sociali. Grazie, signor Presidente. Il quesito che è stato posto dagli onorevoli è oggetto in questi giorni - e giustamente - di grande attenzione, da parte dei cittadini, delle associazioni di settore e del Parlamento stesso, come conferma questa iniziativa di sindacato ispettivo. La tutela delle categorie di invalidi civili, che hanno diritto al riconoscimento di determinate prestazioni economiche, richiede con urgenza una soluzione efficace a una questione che investe la vita di persone e di famiglie in condizioni di fragilità e difficoltà.

Preliminarmente è necessaria una sintetica ricostruzione storico-giuridica, sottesa all'adozione da parte di INPS del messaggio n. 3495 del 14 ottobre scorso, relativa alla mancata concessione dell'assegno di invalidità. Fino al 31 dicembre 2007 la legge richiedeva, quale requisito costitutivo specifico per il diritto all'assegno di invalidità civile, l'incollocazione al lavoro, cioè la condizione di chi, secondo la definizione fornita dalla Corte di cassazione, pur iscritto nelle speciali liste degli aventi diritto al collocamento obbligatorio, non aveva conseguito un'occupazione in mansioni compatibili. Successivamente, la novella, che è stata introdotta dalla legge n. 247 del 2007, ha richiesto, come requisito per il riconoscimento dell'assegno mensile di assistenza, non più l'incollocazione al lavoro, bensì lo stato di inoccupazione, ovvero il mancato svolgimento dell'attività lavorativa, da comprovare con apposita dichiarazione sostitutiva e da presentare annualmente all'INPS. Con due messaggi del 2008 l'INPS ha ritenuto di identificare il requisito del mancato svolgimento dell'attività lavorativa con lo stato di disoccupazione, considerati i dati della non stabilità del rapporto di lavoro ovvero la soglia del reddito conseguito. Le indicazioni dell'INPS si ponevano in linea con le previsioni dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 181 del 2000, in base alle quali, ai fini dell'inserimento negli elenchi di collocamento, lo stato di disoccupazione si considerava conservato, se il soggetto avesse svolto attività lavorativa, tale da assicurare un reddito non superiore alla soglia fiscalmente imponibile. A fronte di questa interpretazione dell'istituto, si è sviluppato un orientamento giurisprudenziale di segno diverso, nel ritenere che lo svolgimento dell'attività lavorativa, quale che sia la misura del reddito ricavato, precluda il diritto all'assegno di invalidità. Il messaggio dell'INPS, quindi, del 14 ottobre, che sembra recepire questo orientamento giurisprudenziale, ha determinato il timore della sospensione dell'assegno a favore dei beneficiari che svolgono attività lavorativa. Tale nuova interpretazione, come evidenziato dagli interroganti, non solo ha preoccupanti ricadute sulla vita delle singole persone, ma rischia di depotenziare fortemente il percorso verso l'inclusione lavorativa delle persone con disabilità, necessario per la realizzazione di quei progetti di vita indipendente, che rappresenta un obiettivo primario per le politiche pubbliche in questo ambito. Il Governo è pertanto consapevole che si rende necessario e imprescindibile un immediato intervento legislativo, che riconduca il quadro normativo a canoni di ragionevolezza, rispondendo a fini di tutela sostanziale delle persone con disabilità. A questo fine posso assicurare che il Ministero del Lavoro, sentito l'INPS, sta elaborando un intervento, volto a rivisitare la formulazione vigente del precetto normativo, per consentire l'erogazione della prestazione in certi limiti reddituali a prescindere dalla natura del reddito. Tale proposta emendativa sarà inserita nel veicolo normativo più opportuno tra quelli in discussione in Parlamento, molto probabilmente in sede di conversione del decreto-legge in materia fiscale, al fine di giungere ad una celere definizione della questione, che consenta il pieno sostegno economico agli invalidi civili parziali.

 

CHIARA GRIBAUDO. Grazie Presidente. Grazie Ministro, per queste parole e per l'impegno, soprattutto, che si prende di fronte a questo Parlamento, un impegno che si prende lei e, con lei, spero davvero, tutto il Governo.

Ovviamente, il Parlamento, ma in modo particolare il Partito Democratico, aveva da subito sollevato questo tema, perché, come giustamente ricordava lei, tocca migliaia di lavoratori disabili e, se viene a mancare questo sostegno, viene meno proprio quel principio a cui lei faceva riferimento, quei principi di integrazione e di inclusione sociale su cui non solo il nostro Paese, ma anche la storia delle nostre leggi ci dicono che abbiamo un percorso autorevole e riconosciuto sul quale non bisogna certo tornare indietro. Ancora ci sono molte barriere culturali da abbattere, ma questa scelta, questa legge ingiusta, per la quale, devo dire, da tempo l'INPS avrebbe, forse, potuto chiedere una modifica normativa visto il decennio di giurisprudenza in merito, ci arriva oggi e noi dobbiamo risolvere questo problema, ed è bene che il Ministro si sia espresso in questa direzione.

L'assegno di invalidità, oltre a dare un contributo, rende anche più autonomi e indipendenti non solo i disabili, ma anche le loro famiglie e consente di costruire un Paese decisamente diverso, anche perché noi dobbiamo fare in modo che quel principio di uguaglianza che la Costituzione ci chiede di attuare venga attuato soprattutto per chi è in difficoltà, soprattutto in un Paese già fortemente provato dalla pandemia. Il Parlamento è a disposizione e daremo tutto il contributo, certamente lo farà il Partito Democratico, per correggere una distorsione ingiusta che non può gravare sulle spalle di chi è più in difficoltà.