Data: 
Mercoledì, 24 Febbraio, 2021
Nome: 
Dario Franceschini

Grazie, Presidente. Mi associo, a nome del Governo, alle parole che lei ha pronunciato e a questo dibattito davvero molto intenso. Però, faccio fatica a distinguere il ruolo istituzionale dal legame di affetto, di amicizia verso Franco Marini, un maestro, quasi un padre politico. Io l'ho conosciuto che aveva già compiuto il suo percorso di leader sindacale e l'esperienza di Governo; stava per diventare segretario del Partito popolare e chiamò due, allora, giovani, Enrico Letta e il sottoscritto, a fare i suoi vicesegretari.

Aveva scelto, da dirigente organizzativo, una stanzetta secondaria in quel luogo così importante per la storia d'Italia che è Piazza del Gesù. Eppure, da quella stanzetta aveva determinato il percorso del Partito popolare e, in buona parte, del bipolarismo italiano, scegliendo la strada de L'Ulivo, del centrosinistra, a prezzo di una divisione dolorosa e, anche per questo, credo che possa essere annoverato tra i padri del bipolarismo italiano. Poi, il percorso ne La Margherita, nel PD, sempre tra i fondatori convinti di un percorso politico che ha avuto molte tappe ma che ha portato all'approdo nel Partito Democratico. Sempre, in questo percorso, infastidito dai riflettori ma determinante nelle scelte, sempre silenzioso in mezzo a tanto clamore, poche parole pronunciate nel momento giusto.

Forse aveva in mente la lezione di suo nonno - me l'ha raccontato tante volte - un emigrato negli Stati Uniti che, alla fine della sua vita, era tornato a San Pio delle Camere in Abruzzo e passava le giornate su una panchina, guardando nel vuoto e pensando probabilmente ai suoi anni trascorsi in America. Le persone passavano e lo salutavano “ciao Marini” e lui, appoggiato al bastone, rispondeva. Poi negli anni smise anche di rispondere, raccontava Franco, e si immerse nel suo silenzio di ricordi e di scelte difficili, di una vita difficile.

Un uomo autentico, duro, capace anche di intimorire nel confronto personale, nel confronto interno alla politica e ai partiti. Ruggiva, era capace di rispondere con un ruggito; ruggiva davvero! Ma, al fondo, era un uomo di una bontà pura e vera nell'animo. Sarebbe stato un grande Presidente della Repubblica, l'ho detto già al Senato e lo ripeto qui, se quel voto del 2013 fosse andato diversamente; e, invece, fu travolto da un vento ubriaco di nuovismo ad ogni costo. Sarebbe stato un Presidente della Repubblica popolare come fu Sandro Pertini, immerso nel popolo, con la pipa, con il cappello da alpino, quel cappello che aveva sul petto nella camera ardente, qualche giorno fa. È stato giusto mettere quel cappello perché, tra i tanti ruoli importanti, quello era la sua prima identità e il suo primo orgoglio: la montagna, San Pio delle Camere, l'Abruzzo, i canti nelle cene con gli amici veri, le camminate in montagna. La sua lezione di vita continuerà a indicarci la strada.