Grazie, signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe. Innanzitutto, signor Presidente, mi permetta di esprimere, a nome mio personale e del gruppo, la solidarietà per quanto è accaduto prima e confermarle la nostra indistinta stima.
Oggi, all'attenzione di questo nostro Parlamento, c'è una questione assolutamente centrale per il nostro futuro economico, sociale e istituzionale: la piena e puntuale attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, il PNRR. Siamo, ormai, a poco più di un anno dalla scadenza del 30 giugno 2026, termine ultimo entro il quale devono essere completati tutti gli interventi previsti dal piano. Questa scadenza non è semplicemente un orizzonte temporale, è una prova decisiva della nostra credibilità come Paese, una cartina tornasole della nostra capacità di programmare, attuare e rendicontare investimenti straordinari, in linea con le sfide europee e globali. Eppure, a fronte di questo scenario, ciò che osserviamo con crescente preoccupazione è un quadro segnato da ritardi strutturali, continui cambi di rotta, modifiche non trasparenti e una governance sempre più debole e confusa. Non bastano più le rassicurazioni generiche da parte del Governo.
La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha di recente annunciato la nuova modifica del Piano - la quinta in due anni - confermando quanto era già stato anticipato dall'allora Ministro Fitto. Al contempo, il Ministro Giorgetti ha paventato l'ipotesi, non praticabile, di una proroga della scadenza. Proposta, fra l'altro, respinta già a chiare lettere dalla Commissione europea e, ciò nonostante, l'Esecutivo continua ad avanzare modifiche sostanziali, ignorando la necessità di trasparenza e di coinvolgimento parlamentare.
La relazione tecnica - lo so, è una relazione tecnica - ma è stata trasmessa alle Camere il 19 maggio, due giorni fa, ed è un comportamento che rende estremamente difficile l'esame approfondito e tempestivo da parte del Parlamento. Non è questa la collaborazione istituzionale che serve al Paese. L'assenza di un vero confronto ha portato a revisioni che riducono drasticamente l'ambizione del Piano: si tagliano obiettivi; si espungono misure cruciali; si spostano risorse su interventi più assorbibili, spesso a scapito di qualità, equità e impatto strategico.
La Corte dei conti, nella sua ultima relazione, è stata chiarissima: al 31 dicembre 2024 la spesa effettivamente sostenuta ammontava a poco meno di 64 miliardi di euro, appena il 33 per cento del totale. Se escludiamo gli incentivi fiscali, come gli ecobonus e Transizione 4.0, più semplici da realizzare, la percentuale scende sotto il 22 per cento. In particolare, sono in forte affanno le Missioni su inclusione e coesione, salute, REPowerEu, con livelli di attuazione inaccettabilmente bassi. Gravissimi sono i ritardi che coinvolgono gli enti locali, soprattutto i comuni che lamentano ritardi nei trasferimenti e una pressione crescente sulla tenuta dei bilanci. Mi permettete un piccolo esempio? Non più tardi di venerdì scorso ho incontrato un sindaco del mio territorio, un comune di 15.000 abitanti, un comune che però è riuscito a costruire una nuova scuola secondaria di primo grado, previa demolizione, potendo contare - almeno così pareva - su un contributo statale di 2.400.000 euro confluiti nel PNRR, Missione 4, Piano di messa in sicurezza e riqualificazione dell'edilizia scolastica. Questo comune ha completato l'iter progettuale; il cantiere è stato avviato nell'aprile del 2022; il 28 agosto 2024 ha approvato il collaudo tecnico-amministrativo e ha regolarmente presentato, sulla piattaforma ReGiS, il rendiconto. È passato quasi un anno e, da allora, silenzio. Né risposte, né erogazioni. E questo comune sta mettendo a rischio, avendo impegnato naturalmente risorse proprie per realizzare l'opera, i servizi e ciò che può rendere alla sua cittadinanza.
Ma potremmo, come questo, parlare di molti, di molti altri casi. Non è necessaria la revisione a monte, ma un rafforzamento della capacità amministrativa e della governance attuativa. Le case della comunità, su cui tanto si era puntato per il rilancio della sanità territoriale, sono operative in 46 sulle 1.000 previste. E per gli ospedali di comunità il dato è ancora più desolante: 23 i cantieri che sono stati completati su 307, la spesa intorno all'11 per cento. Serve personale, serve pianificazione e, soprattutto, serve volontà politica. Lo stesso si può dire per gli studentati universitari, dove si è ipotizzato, evidentemente non conoscendo la situazione delle nostre università, addirittura un dimezzamento rispetto ai 60.000 posti letto previsti. Tacciamo sugli asili nido, i cui numeri già sono stati dimezzati, con buona pace per la crescita di questo Paese, la natalità e la conciliazione dei tempi di vita e lavoro delle donne. Ma analoghi rischi stanno incontrando i Piani urbani integrati e i trasporti ferroviari strategici. Grazie, signor Ministro, per la sua completa informativa circa il loro stato, ma la preoccupazione resta, e su settori chiave come la transizione ecologica e la mobilità elettrica o l'uso dell'idrogeno verde gli obiettivi sono ridimensionati e i tempi più lunghi. La sola, per esempio, voce, relativa all'utilizzo dell'idrogeno verde a emissioni zero nei settori industriali più inquinanti e difficili da riconvertire, ha visto la riduzione delle risorse stanziate da un miliardo a 360 milioni, e la revisione proposta destina, quindi, centinaia di milioni già assegnati a infrastrutture per la transizione verde a misure alternative come la rottamazione delle auto, che nulla hanno a che vedere con la logica trasformativa del PNRR.
Ma se tutto questo non bastasse, si ipotizza un ulteriore dirottamento di ben 14 miliardi del PNRR e 11 miliardi dei Fondi di coesione per un nuovo programma di aiuti alle imprese colpite dai dazi commerciali del nostro - si fa per dire - amato Presidente Trump. Ma dove verrebbero questi fondi? Su quali progetti si interverrebbe? Il Governo non lo dice, non una parola chiara, non una valutazione d'impatto. È lecito temere che ad essere penalizzate siano, ancora una volta, le misure più vicine ai territori, alle famiglie, alle comunità. E qui c'è il nodo politico, il nodo politico profondo: le risorse del PNRR sono state pensate per colmare i divari territoriali, non per perpetuarli. Non possiamo accettare che i Fondi di coesione vengano sacrificati sull'altare della spesa più facile. I giovani, le donne, il Sud, le aree interne, l'ambiente, tutte le priorità trasversali del Piano rischiano oggi di essere messe da parte in nome di una gestione emergenziale e senza visione.
Chiediamo, quindi, che il Governo rispetti il Parlamento e lo coinvolga tempestivamente in tutte le fasi di modifica del Piano. Chiediamo trasparenza, chiarezza, responsabilità. Serve un quadro stabile e definitivo delle risorse e una pianificazione rigorosa per l'ultimo anno e mezzo. Servono misure urgenti per rafforzare la capacità amministrativa, semplificare le procedure, accelerare i pagamenti, sbloccare i cantieri. Non si può affrontare questa fase finale continuando a stralciare, ridurre, rimodulare. Il rischio non è soltanto quello di perdere le risorse, è perdere fiducia, credibilità internazionale e un'irripetibile opportunità di crescita. Non ci sono più alibi: se il PNRR fallisce, fallisce l'Italia e noi, colleghi, abbiamo il dovere di non permetterlo.