Grazie. Presidente Meloni, nel dicembre di 46 anni fa lei aveva solamente due anni. In quest'Aula prese la parola l'onorevole Benigno Zaccagnini. Si discuteva anche allora di un riarmo dell'Europa, con l'installazione in Italia dei missili Pershing II e Cruise, e quel leader democristiano si disse a favore della decisione. Subito dopo, rivendicando una continuità della politica estera dell'Italia, aggiunse: dev'essere comunque chiaro che il traguardo resta il disarmo bilanciato, la cooperazione, la convergenza sui diritti. Parole di un cattolico che aveva imbracciato le armi per restituire l'Italia alla libertà e l'Europa alla pace. Io lo rammento a lei e a noi tutti per dire che, anche nel pieno della guerra fredda, questo Parlamento, senza negare le differenze di giudizio sulla storia allora in atto, sentiva il dovere di tutelare l'autonomia di un grande Paese come l'Italia e l'Europa risorta dopo il nazismo.
Ci siamo angosciati per ciò che accade in angoli diversi del mondo e siamo allarmati perché vediamo che quel patrimonio è sempre più indebolito, sempre meno presente, prima ancora che nelle iniziative - quasi assenti -, nel modo di pensare, Presidente, persino di esprimersi, dei massimi vertici del Governo. Accade qui, nel nostro Paese. Accade a Bruxelles. Le leggo le parole pronunciate alcuni giorni fa dal suo, nostro, Ministro degli Affari esteri: ho parlato con i Ministri di Israele e dell'Iran e ho detto loro basta con l'escalation. All'Iran ho detto: non reagite più. Ho detto a Israele: basta, fermiamoci qua. Ora, in tutta onestà, signora Presidente, non scorge anche lei, in queste frasi, la distanza tra l'arte nobile della diplomazia e l'uso formale della parola? Il punto è che la diplomazia, senza le parole giuste, è come un discorso depurato del soggetto.
Nelle stesse ore, non un alleato dell'Occidente, ma il Presidente cinese affidava ai social un messaggio dove spiegava perché ogni impero che nella storia si era proclamato indispensabile - da quello spagnolo a quello britannico, passando per la Francia napoleonica - alla fine era stato superato. Era il suo modo strumentale di ammonire l'America sui rischi che corre quell'impero nel perdere il rispetto del mondo. Un esercizio di filosofia della storia, a cui l'Europa non può rispondere declamando princìpi che non trovano più nel diritto internazionale il punto di caduta, perché il nodo è qui, nel comprendere che l'uso della forza non può mai sostituire il primato del diritto.
Presidente, non si tratta di negare le tragedie di questi mesi: 600.000 morti in Ucraina, decine di migliaia le vittime a Gaza, carneficina spaventosa dopo l'orrendo pogrom di Hamas il 7 ottobre. E ora il fronte iraniano, voluto dal vero dominus della scena: quel Primo Ministro di Israele si chiama Netanyahu, nome che lei non è riuscita a pronunciare oggi, per il quale la Corte penale internazionale ha emesso un mandato d'arresto. Noi pensiamo che l'azione incostituzionale dell'Amministrazione americana sia un errore destinato a rendere il mondo meno sicuro.
Del resto, lei sa benissimo che un accordo sul nucleare iraniano c'era, nel 2015. A sabotarlo, tre anni dopo, è stato lo stesso uomo che adesso ha deciso di bombardare l'Iran. E lo ha fatto nonostante, a marzo, il Capo dell'intelligence americana avesse dichiarato al Congresso degli Stati Uniti che, secondo le conclusioni dei Servizi americani, l'Iran non stava costruendo la bomba atomica. Alcuni giorni fa, interrogato su quell'affermazione, Donald Trump ha risposto: non me ne frega niente. Quando il linguaggio anticipa lo statista.
In tutto questo, nella giornata di ieri, la Presidente della Commissione europea si è distinta per una dichiarazione tartufesca: l'Iran non deve assolutamente entrare in possesso della bomba! E due righe dopo: il rispetto del diritto internazionale è fondamentale. Ma è precisamente quel diritto, signora Presidente, che è stato calpestato. La risposta alla realtà è che, mai come oggi, l'Europa è afona, assente, con una Commissione che incarna la dichiarazione di immobilismo, di impotenza.
E allora, dai banchi dell'opposizione, oggi, ci rivolgiamo a lei: si batta, Presidente Meloni, perché l'Europa convochi gli iraniani e le altre parti a un tavolo e si attivi con i nostri principali Alleati per la firma di un nuovo accordo con garanzie precise. Sarebbe quello il solo modo per mettere davanti a Trump e al suo alleato criminale Netanyahu una prova che la guerra non è l'ultima e l'unica scelta. Noi conosciamo il regime di Teheran, lo abbiamo sempre contestato sostenendo l'opposizione delle donne iraniane. Ma anche per bloccare il progetto nucleare iraniano, la strada non è bombardare. La strada è trattare.
Il punto è che, per fare tutto questo, serve una strategia. Viceversa, se si sceglie di essere vassalli, si può solamente obbedire. Lei pensa, vuole portare questa voce al tavolo del prossimo Consiglio? Se lo farà, troverà quel sostegno che nei momenti più drammatici le culture radicate nella storia di questo Paese hanno saputo esprimere. Presidente Meloni, è proprio nei tornanti stretti, quando agli occhi di tutti gli ostacoli paiono insormontabili, che uno statista si colloca oltre gli steccati delle compatibilità.
Lei non ce ne vorrà se le diciamo che, pur apprezzando alcuni passaggi del suo discorso, in particolare sull'impegno umanitario del Governo, a mancare è stata una visione strategica della crisi - mai così profonda negli ultimi decenni - che il mondo sta vivendo in queste ore drammatiche. Il punto è che, quando la storia deraglia e abiura alla sua capacità di silenziare le armi, Presidente Meloni, solo la politica, non i generali o i tecnici, non i filosofi o gli economisti, solo la politica è in grado di ricucire e di rammendare i brandelli di una tela strappata.
E allora non basta limitarsi a dire che siamo e saremo alleati e buoni amici degli Stati Uniti, chiunque stia al vertice. Certo, Presidente Meloni, siamo e saremo alleati di Washington, e non solo per il contributo di vite che quella Nazione ha offerto alla sconfitta di Hitler e Mussolini. Però, lei lo sa, i veri alleati e i veri amici sono quelli che, quando l'alleato compie azioni o copre decisioni destinate a rendere il mondo un posto peggiore e meno sicuro, si alzano in piedi e, a schiena diritta, dicono: stai sbagliando e su quella strada noi non ti seguiremo. Non si chiama disobbedienza, si chiama dignità del sentirsi alla testa di un Paese che difende i suoi interessi alzando lo sguardo sul mondo.
Lei ci ha detto che nessun aereo americano è partito dall'Italia. Bene, ma noi le chiediamo di proclamare qui, in quest'Aula, possibilmente nella sua replica, l'impegno solenne del Governo ad escludere qualunque nostro coinvolgimento in questo conflitto. L'Italia non è e non deve diventare territorio a disposizione di un Presidente degli Stati Uniti, che si finge pompiere mentre appicca il fuoco.
La verità è che non esiste una soluzione militare, l'unica via è la diplomazia, perché l'unica speranza e l'unico traguardo rimane la pace.
Così come non è una strada di saggezza il riarmo singolo dei 27 Paesi fuori da una strategia. E bene fa il Primo Ministro spagnolo a rivendicare un'autonomia del suo Paese nel respingere un incremento della spesa al 5 per cento del PIL.
E, infine, Presidente Meloni, anche alla luce di questa nuova pagina, noi glielo diciamo, ancora una volta, da questi banchi: non indugi più, non indugi più e condanni. Condanni senza ambiguità, Presidente Meloni, la mattanza di Gaza, unendosi ai Paesi che hanno già riconosciuto lo Stato palestinese. Esprima una parola esplicita di condanna. La lingua italiana consente di usare questa parola. Condanni l'azione criminale del Governo israeliano e quella vendetta che non compensa, certo, l'orrendo pogrom del 7 ottobre e sospenda, come da richiesta delle opposizioni, la cooperazione militare col Governo israeliano.
Presidente Meloni, il diritto a vivere, il diritto a non essere uccisi, quando ci si alza poco più di un metro da terra, al piede si calza la scarpa numero 27 o 28 e si cerca disperatamente di accaparrarsi un pugno di riso, quel diritto a vivere non può essere mai, mai, mai, mai, posto in discussione. Io sono certo, noi siamo certi che questo lei lo sa. Ma se è così, porti queste ragioni a quel tavolo, dove, oggi, lei rappresenta l'Italia e gli italiani tutti.
Non lasci a Palazzo Chigi la nostra storia, la tradizione di una grande politica estera fondata sulla cooperazione, sul dialogo e sulla pace. Se può, Presidente Meloni - glielo diciamo con rispetto da questi banchi dell'opposizione - di quella storia e di quella tradizione cerchi oggi di essere all'altezza.