Grazie, Presidente. Governo, Presidente Meloni, colleghi deputati. Il Consiglio europeo che si apre domani a Bruxelles, al quarto punto dell'agenda, si concentrerà sui temi della competitività e della doppia transizione. È di particolare urgenza, perché nell'attuale contesto globale è vitale rafforzare la competitività dell'Unione europea, oggi in difficoltà rispetto alle altre potenze economiche, ulteriormente danneggiata da una guerra commerciale che produce contrazione degli scambi, aumento dei prezzi e impatti negativi su consumatori, imprese e occupazione. Il Governo arriverà a questo appuntamento con poco di concreto e di utile da dire, poco di pragmatico - per usare un aggettivo spesso abusato dagli esponenti di maggioranza - perché c'è un vizio di fondo, un problema di approccio, testimoniato anche dal suo intervento, Presidente Meloni, che spinge questa maggioranza ad avere sempre come obiettivi polemici il Green Deal, gli obiettivi di decarbonizzazione, la transizione ecologica. A fronte di un mondo che accelera gli investimenti nelle energie rinnovabili, nella transizione ecologica e digitale, nell'intelligenza artificiale, voi continuate ad opporre una resistenza ideologica. Quale alternativa proponete per recuperare competitività di sistema, per aumentare la produttività dei fattori, per sostenere la crescita? Nessuna, e aumentate l'isolamento del nostro Paese, del nostro sistema economico e produttivo rispetto alle dinamiche economiche globali. La competitività non può più essere pensata in termini tradizionali, va integrata con la duplice transizione ecologica e digitale. Si tratta di un nuovo paradigma industriale da rendere operativo e sostenibile e la vera sfida, oggi, è ottenere che l'Europa sia conseguente a quegli obiettivi; non deroghe, ma sostegni economici mirati, per accompagnare la transizione, per rendere più competitive le imprese, per includere i lavoratori.
La vostra parola d'ordine è “rimandiamo”. È un errore tragico dal punto di vista economico: non ci servono dilazioni, ma strumenti per recuperare il gap competitivo con gli Stati Uniti e la Cina. Il problema non è metterci un po' più di tempo rispetto agli altri, ma riacciuffarli nella capacità di guidare l'innovazione nei comparti più avanzati. Nel nostro Paese, in Europa, servono investimenti nella ricerca e nell'innovazione, intelligenza artificiale, infrastrutture di ricerca, reti tra nuovi saperi e industria. Occorre promuovere filiere strategiche, che integrino digitalizzazione, sostenibilità ambientale e coesione sociale. È decisivo che le imprese, in particolar modo le piccole e medie, non vengano lasciate indietro, ma siano accompagnate attraverso incentivi selettivi.
L'altro macigno che grava sulla competitività è il costo dell'energia: l'Europa paga l'energia più di Stati Uniti e Cina; l'Italia più di tutti gli altri Paesi europei, con un forte impatto sulle imprese italiane, sulla competitività del nostro Paese. L'Europa deve, quindi, giocare un ruolo decisivo nel ridurre il costo dell'energia, promuovere le fonti rinnovabili e favorire un ecosistema stabile per gli investimenti.
Quello che manca, in buona sostanza, per garantire la competitività dell'Unione europea, è una vera e propria politica industriale europea fondata su quattro pilastri: potenziamento della capacità produttiva, costruzione di catene del valore comune, indipendenza energetica, autonomia strategica.
Dobbiamo innovare e rilanciare il nostro sistema produttivo. La dimensione e il protagonismo europeo sono essenziali e, quindi, l'Europa deve cambiare in questo senso, produrre riforme e investire risorse. È necessario proseguire con decisione e rafforzare la politica europea di investimenti comuni, avviata con Next Generation EU, rendendola strutturale. Sono necessari almeno 800 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi annui, da finanziare anche attraverso un nuovo debito comune. Per tradurre questi investimenti in risultati concreti occorre un bilancio dell'Unione europea più ambizioso e servono strumenti permanenti di investimento comune. Il passo in avanti che dobbiamo ottenere in Europa è proprio questo. Non basta più limitarsi a dettare regole e tempi, ma è necessario mettere gli strumenti di accompagnamento a disposizione; costruire una vera politica industriale comune; fare gli interessi nazionali oggi e pretendere più coesione europea, più strumenti comuni europei, più politiche comuni. Lo dimostra la vicenda dei dazi unilaterali imposti dall'Amministrazione Trump. Essere stati accondiscendenti, essersi baloccati con attestati di vicinanza politica, aver indossato il cappellino MAGA (Make America Great Again) non è servito a niente. I sovranismi nazionali di cui siete tanto orgogliosi hanno avuto la responsabilità politica di non aver fatto valere il peso di un'Europa coesa e determinata nel difendere i propri interessi. Il risultato è che i dazi colpiscono in modo rilevante le esportazioni europee italiane, incidendo sul PIL e sull'occupazione nel nostro Paese, seconda manifattura in Europa e tra i più esposti. Avete detto, a lungo, che una volta arrivati al Governo sareste andati a Bruxelles a battere i pugni sul tavolo per fare gli interessi degli italiani.
Fate una cosa utile: chiedete un piano di investimenti orientato a rafforzare la politica industriale dell'Unione europea; chiedete la creazione di una governance industriale europea rafforzata; chiedete la promozione di una strategia europea di commercio internazionale, che combini l'apertura verso nuovi mercati con la protezione delle filiere strategiche e un supporto concreto alle imprese esposte. Poi, se ci riuscite, fate anche qualcosa qui, in Italia, visto che sulle politiche industriali non avete fatto niente: automotive, chimica di base, acciaio, moda e tessile, l'elenco delle emergenze a cui non state dando una risposta diventa sempre più lungo, ma le imprese e i lavoratori italiani non possono più aspettare.