Discussione generale
Data: 
Venerdì, 6 Dicembre, 2019
Nome: 
Chiara Braga

A.C. 2267

Signora, Presidente. Onorevoli colleghi, “vogliamo veramente passare alla storia come la generazione che si è comportata come lo struzzo mentre il mondo bruciava? Il mondo deve scegliere tra speranza e capitolazione”. Con queste parole il Segretario generale delle Nazioni Unite ha aperto il 2 dicembre la Conferenza sul clima, la Cop25, che si sta svolgendo proprio in questi giorni a Madrid.

Si tratta come sappiamo dell'ultima Conferenza delle parti prima dell'attuazione dell'Accordo di Parigi. All'appuntamento del prossimo anno i Paesi dovranno, infatti, aggiornare i loro contributi nazionali in chiave più ambiziosa dal momento che gli sforzi messi in campo finora per fermare i cambiamenti climatici appaiono del tutto inadeguati.

La stima è che gli obiettivi nazionali dovranno aumentare di almeno cinque volte per raggiungere gli obiettivi di contenimento dell'aumento della temperatura globale entro il grado e mezzo alla fine del secolo.

Secondo l'ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, si hanno soltanto undici anni a disposizione per evitare la catastrofe ambientale. L'organismo scientifico dell'ONU ha invitato, quindi, tutti i legislatori e i Governi ad assumere misure senza precedenti nella storia recente.

Sappiamo, tuttavia, che le condizioni del negoziato in corso non sono di particolare ottimismo: dal ritiro degli Stati Uniti dagli impegni di Parigi alle posizioni assunte dai grandi Paesi emettitori, come India e Brasile, non traspare una consapevolezza adeguata della rilevanza e dell'urgenza del tema.

Certo, ci sono anche segnali in controtendenza incoraggianti: ad esempio i milioni di giovani e studenti che riempiono le piazze di tutto il mondo, comprese quelle italiane, e, con la forza delle ragioni della scienza, chiedono più coraggio e un impegno concreto dei Governi sul contrasto ai cambiamenti climatici per non pregiudicare la sicurezza delle generazioni attuali e il diritto di quelle future a vivere in un mondo sicuro e accogliente.

L'Europa ha assunto con forza e convinzione la centralità della questione climatica: la Presidente della Commissione ha collocato le politiche per il clima al primo posto dei propri intendimenti politici. L'impegno di fare dell'Europa il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050 comporta scelte conseguenti e impegnative: ridurre le emissioni di CO2 di oltre il 50 per cento entro il 2030; una legge europea sul clima per tradurre in disposizioni giuridicamente vincolanti gli obiettivi della neutralità climatica; un piano di investimenti nel settore ambientale e la parziale trasformazione della BEI in una banca per il clima; la revisione del sistema di scambio delle quote di emissioni e l'introduzione di un'imposta sul carbonio alle frontiere. Sì, l'introduzione di un'imposta, una tassa, come vogliamo chiamarla, perché la leva fiscale è uno strumento fondamentale per cambiare un modello di sviluppo nel senso della sostenibilità ambientale. Inoltre, la creazione di un fondo di transizione, da affiancare ai fondi di coesione per garantire l'equità della transizione verso la neutralità climatica.

Il quadro europeo che si sta delineando, quindi, apre prospettive di grande interesse anche per l'Italia e la rinnovata centralità del nostro Paese unita alla presenza di Paolo Gentiloni nel ruolo di commissario europeo delegato proprio all'attuazione degli obiettivi dell'Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile sono una opportunità straordinaria per tornare ad essere protagonisti in questa fase.

Ho richiamato, ad esempio, anche l'impegno assunto dalle Nazioni Unite con l'Agenda 2030 per gli obiettivi di sviluppo sostenibile.

In questo contesto, che è fatto di emergenze e insieme di opportunità, l'Italia ha la possibilità di giocare un ruolo chiave sui temi del cambiamento climatico e della transizione ecologica, l'opportunità e anche il dovere. Ed insieme una necessità da cui è impossibile sfuggire: ce lo ricordano le immagini drammatiche di queste settimane di un Paese fragile e piegato dal dissesto idrogeologico, da Nord a Sud. Una grande opportunità anche di giocare al meglio le carte dell'innovazione tecnologica e della capacità del nostro sistema produttivo di essere già oggi all'avanguardia su molti fronti, per costruire una pagina di sviluppo nuova che sia davvero sostenibile.

Quindi lotta al cambiamento climatico, transizione ecologica della nostra economia, realizzazione di investimenti verdi sono i capisaldi dell'azione di questa maggioranza e di questo Governo. E pur sapendo con grande onestà che il cammino è appena iniziato, e che la strada da percorrere è ancora lunga, credo si possa affermare che proprio su questi fronti la discontinuità con il Governo che ci ha preceduto è particolarmente evidente. Il Green New Deal è il perno della strategia di sviluppo del Governo, e si inserisce in una legge di bilancio che ha la finalità di promuovere il benessere equo e sostenibile. Non a caso appunto la manovra di bilancio oggi in discussione - pur in un quadro di finanza pubblica non semplice e riducendo di quasi 26 miliardi la pressione fiscale, che invece sarebbe aumentata per effetto dell'eredità lasciata dal Governo precedente - introduce misure importanti proprio sul fronte della transizione ambientale: 22 miliardi di investimenti programmati per le amministrazioni centrali e gli enti locali e finalizzati al rilancio degli investimenti su economia circolare, decarbonizzazione dell'economia, misure a sostegno per l'innovazione del comparto agricolo, che è uno di quelli maggiormente colpiti dagli effetti dei cambiamenti climatici, riduzione delle emissioni, risparmio energetico, estensione degli incentivi di Industria 4.0 per le imprese che realizzano progetti ambientali nell'ambito dell'economia circolare; e ad esempio anche il Piano di rinascita urbana, finalizzato a migliorare la qualità dell'abitare e a migliorare non solo gli edifici, il tessuto edilizio, ma anche la qualità della vita delle periferie di questo Paese.

Il provvedimento quindi che oggi noi discutiamo, questo decreto-legge, rappresenta un tassello di una strategia più ampia del Governo finalizzata al Green New Deal, e che mette al centro in modo particolare l'obiettivo di ridurre l'inquinamento atmosferico. Sono molte le misure del decreto-legge dirette a quelle aree del Paese in cui sono registrati da tempo valori superiori alle soglie stabilite a livello europeo, sia per il particolato e le polveri sottili che per il biossido di azoto: per questo, sappiamo, l'Unione europea ha aperto nei confronti dell'Italia due procedure di infrazione, nel 2014 e nel 2015, relative alla qualità dell'ambiente e per un'aria più pulita in Europa. Il provvedimento ha allora in via prioritaria l'obiettivo di tutelare la salute dei cittadini e dell'ambiente, agendo sia a livello globale che locale attraverso un insieme di misure che agiscono appunto a livello di politiche centrali, ma che investono attenzione sul ruolo e responsabilità, e anche delle relative risorse, gli enti locali.

Questo è un punto qualificante del provvedimento in esame: nel campo ambientale occorre certamente agire per riformare e migliorare le politiche centrali di competenza dei Ministeri, del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ma non solo; ma nello stesso tempo occorre fornire strumenti a chi quotidianamente presidia e governa i tanti e diversi territori italiani, per produrre azioni concrete di trasformazione e di miglioramento della qualità dell'ambiente. Non solo perché c'è l'esigenza di agire subito, in tempi rapidi, vista l'urgenza di alcune questioni: penso al tema della messa in sicurezza del territorio, alla limitazione del consumo di suolo e al contrasto dell'inquinamento; ma anche perché è fondamentale produrre nei cittadini la consapevolezza che l'azione locale concorre in maniera decisiva a determinare la qualità dell'ambiente in cui vivono. “Pensare globalmente, agire localmente”, diceva qualcuno: questo è uno dei baluardi dell'azione ambientale, e occorre rafforzare tutto ciò: cosa che questo decreto-legge prova a fare, mettendo a disposizione delle città metropolitane e dei comuni diverse centinaia di migliaia di euro per politiche di adattamento ai cambiamenti climatici e per ridurre l'inquinamento ambientale.

Il relatore e molti colleghi hanno già illustrato ampiamente i contenuti di questo decreto-legge: io mi limiterò davvero a sottolinearne solo alcuni punti qualificanti, a partire dall'istituzione di un Programma strategico nazionale per il contrasto ai cambiamenti climatici e il miglioramento della qualità dell'aria, che dovrà essere coordinato con il Piano nazionale integrato per l'energia e il clima.

Il cambio di denominazione del CIPE in Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile, a partire dal 1° gennaio 2021. È già stato detto, non è una scelta solo nominalistica, di sigla: è una scelta profonda, perché scegliere di trasformare il CIPE in un Comitato che ha tra le sue funzioni fondamentali la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile è una chiara scelta di campo. È la volontà di decidere e imporre e portare le amministrazioni centrali a programmare tutti gli investimenti pubblici in una logica di sostenibilità, è un cambio di paradigma sostanziale, impegnativo (questa è anche la ragione per cui l'entrata operativa in vigore di questo nuovo assetto sarà nel 2021, per consentire anche alle strutture di adeguarsi), ma è coerente con gli impegni che l'Italia si è assunta a livello internazionale, sottoscrivendo l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, dotandosi di una Strategia nazionale per la sua attuazione.

Oggi facciamo un altro passo importante: cambiamo il modello di determinazione e di indirizzo delle politiche di investimento pubbliche; e questa è una scelta di cui siamo consapevoli, di cui siamo orgogliosi, e che crediamo raccolga anche il contributo prezioso che in questi anni è venuto da molti mondi raccolti nell'Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, che sollecitano da anni il Parlamento e il Governo di turno a compiere questa decisione. Ce l'abbiamo fatta, l'abbiamo inserito nel decreto-legge; ora la sfida è fare in modo che questo cambio di nome si traduca al più presto in un cambio di politiche.

E poi ci sono altre risorse: 2 milioni di euro per il programma “Io sono ambiente” per tre anni, campagne di informazione, formazione e sensibilizzazione sulle questioni ambientali e i cambiamenti climatici. Un programma sperimentale chiamato “buono mobilità”, che mette a disposizione 255 milioni di euro per i prossimi 7 anni per finanziare interventi di sostituzione e rottamazione degli automezzi, degli autoveicoli più inquinanti: non per immettere in circolazione nuovi mezzi privati, ma per sostenere l'acquisto di abbonamenti al trasporto pubblico, l'utilizzo di mezzi e di servizi di mobilità condivisa ad uso individuale. Quindi una direzione precisa nel sostenere, ed anche accompagnare il passaggio a forme più intelligenti di mobilità. I 20 milioni dedicati al prolungamento, l'ammodernamento e la messa in sicurezza di corsie preferenziali per il trasporto pubblico locale, i 10 milioni destinati ai progetti per la realizzazione e l'implementazione del servizio di trasporto scolastico in comuni sopra i 50 mila abitanti; sono tutte misure che agiscono proprio nella direzione di contenere e ridurre l'impatto dell'inquinamento atmosferico prodotto dalla mobilità in ambito urbano.

Poi c'è un'innovazione significativa, che raccoglie anche una sfida e una politica più globale che si sta sviluppando: il tema della riforestazione delle città metropolitane. 15 milioni di euro per i prossimi due anni destinati a progetti di riforestazione e di miglioramento e adattamento ai cambiamenti climatici. Non è una misura spot: è una misura che risponde a degli obiettivi riconosciuti di miglioramento della qualità dell'aria, anche attraverso politiche di adattamento attraverso azioni di riforestazione, e che va nella direzione di realizzare quelle misure che già oggi si pongono il problema di fronteggiare, soprattutto in ambito urbano, l'impatto che i cambiamenti climatici producono sui nostri territori.

L'istituzione di una zona economica speciale, con agevolazioni di varia natura per le attività economiche insediate o che si andranno ad insediare nelle aree protette nazionali e nei centri urbani. E poi un articolo di cui forse ancora non si è parlato, ma che per chi si occupa di ambiente, anche per i legislatori come noi, ha una rilevanza particolare: l'articolo 6 di questo decreto-legge disciplina in maniera più precisa il tema della pubblicità dei dati ambientali, e istituisce un obbligo, anche per i concessionari dei servizi pubblici e i fornitori che forniscono servizi di pubblica utilità, di rendere pubblici e noti ai cittadini i dati. È una norma che richiama l'attuazione di alcune convenzioni internazionali, in particolare la Convenzione di Aarhus sull'accesso alle informazioni ambientali, la partecipazione al pubblico dei processi decisionali, l'accesso alla giustizia in materia ambientale.

Questo è un tema importante: sappiamo come la corretta informazione ambientale non solo è alla base di corrette scelte di Governo e legislative, ma anche è un prerequisito per i cittadini che vivono in territori gravati, a volte, come accade nel nostro Paese, da eredità che hanno un peso ambientale notevole, da situazioni di emergenza ambientale legate magari a presenza di siti industriali dismessi. L'accesso a una corretta e certificata informazione ambientale, che è garantita attraverso la pubblicazione di questi dati sui siti ufficiali del Ministero dell'Ambiente e attraverso l'attività appunto svolta da Ispra, è un passaggio di trasparenza e anche di responsabilizzazione, non solo nei confronti dei cittadini ma anche delle stesse istituzioni pubbliche, che sono chiamate a rendere conto del loro operato.

Di questo provvedimento, signora Presidente, mi sono limitata a sottolineare, come dicevo in premessa, i punti più significativi. Questo provvedimento avrebbe potuto essere più ambizioso? Forse sì. L'organizzazione dei lavori parlamentari ci ha di fatto impedito un elemento sufficientemente approfondito, ma sappiamo - ed è giusto renderne atto anche alla disponibilità del Governo - che nel corso dell'esame al Senato è stato significativamente rafforzato grazie al lavoro parlamentare che hanno svolto i gruppi di maggioranza e di opposizione nell'altra Camera del Parlamento. Sappiamo anche che questa non è l'ultima chiamata, non sarà l'ultima occasione in cui il Parlamento avrà la possibilità di intervenire e di dare un contributo in termini legislativi sull'attuazione di un green deal. Non a caso, nella manovra di bilancio uno dei collegati che il Governo si è impegnato a varare riguarda proprio l'attuazione del green deal, quindi noi attendiamo e siamo pronti a lavorare in un rapporto il più possibile franco e di confronto con il Governo, e anche di coinvolgimento delle opposizioni, per far diventare il collegato ambientale un altro pezzo del green deal che vogliamo realizzare. Ma sappiamo anche che questo decreto ci consente di compiere un primo, rilevante passo verso una progressiva transizione ecologica reale del nostro Paese, una prospettiva che riconosce nell'ambiente un valore permanente e condiviso che contrasta in qualche modo la tendenza, ancora troppo radicata, anche dentro queste Aule parlamentari, di contrapporre il diritto a vivere in un ambiente sano e sicuro con l'idea di uno sviluppo che sia veramente capace di produrre benessere e ricchezza per i territori.

Noi oggi abbiamo una grande opportunità, che è quella di utilizzare la scienza e l'innovazione tecnologica, la capacità delle nostre imprese, che in molti casi sono all'avanguardia su tanti fronti - penso al tema dell'economia circolare, penso alla riconversione, già in atto, di intere filiere produttive nel nostro Paese -, abbiamo la possibilità di utilizzare queste risorse, che sono una parte fondamentale del nostro essere un paese industrialmente avanzato, capace di innovare, di interpretare e a volte anche anticipare le tendenze globali, per affrontare l'emergenza climatica e per creare reali, concrete opportunità di lavoro e di benessere. Con questo provvedimento, varato dal Governo e migliorato al Parlamento, iniziamo a farlo, e ci impegniamo a proseguire su questa strada, consapevoli del fatto che questa è l'unica strada che abbiamo, l'unica in grado di consentire a noi e alle generazioni future una prospettiva di sopravvivenza - è un termine forte, ma se guardiamo alla gravità dei dati ambientali e climatici, di sopravvivenza siamo tenuti a parlare - e anche di sviluppo, fondato sulla sostenibilità e su una maggiore equità che si faccia carico delle esigenze dell'oggi e anche del domani.