Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 11 Luglio, 2016
Nome: 
Donata Lenzi

 A.C. 3594-A

Grazie, Presidente. Allora, per presentare questo provvedimento, io vorrei dire che cos’è il reddito minimo di inclusione attiva che qui è previsto e che cosa invece non è. Allora, questa è una misura contro la povertà assoluta, quindi rivolta a chi è molto povero, a chi non è in grado di comprare e di far fronte a esigenze primarie, come il sottosegretario Biondelli ha ricordato nel suo intervento. Non è un reddito di cittadinanza, cioè non è una misura rivolta a tutti i cittadini, ricchi o poveri che siano, per garantire uno zoccolo di base, almeno così viene definita da chi studia questi fenomeni. Misura, il reddito di cittadinanza, che in Europa non c’è. Quello che c’è in Europa sono altri strumenti di reddito minimo che vanno incontro ai problemi della povertà assoluta e, per chi ha maggiori possibilità finanziarie, anche della povertà relativa, o misure di risposta ai problemi della disoccupazione. È una misura attiva, cioè una misura che richiede, da parte del nucleo familiare che riceve il sostegno finanziario, un impegno, che può essere quello semplicemente di mandare i figli a scuola, se non è possibile trovare un posto di lavoro, ma che comunque richiede anche un impegno a cercare il posto del lavoro. Perché questo impegno ci sia è necessario che ci siano dei servizi, servizi sociali, servizi di inserimento lavorativo, servizi collegati al sistema sanitario per chi ha problemi di disabilità, servizi che tra di loro si integrano, collaborano e lavorano insieme. Questa parte della nostra proposta, della proposta del Governo noi la consideriamo fondamentale perché la vera differenza che c’è nel nostro Paese non sta solo nei numeri della povertà, ma sta nell'assenza di una rete efficace di servizi sociali in molte parti del nostro territorio nazionale, in molte regioni del nostro territorio nazionale. Quindi, non è un semplice trasferimento monetario, è un insieme di trasferimento e servizi. È una misura rivolta alle famiglie; nella necessità di individuare prioritariamente a chi rivolgersi, si è detto in primo luogo alle famiglie. La discussione parlamentare, con la piena consapevolezza e appoggio anche dei gruppi di minoranza ha allargato, dalle famiglie con minori, anche alle famiglie che hanno al proprio interno persone in condizioni di disabilità. Che poi ci sia oggi chi annuncia ulteriori emendamenti per chiarire che ci si rivolge alle famiglie con minori, noi non possiamo che esserne lieti, però è già scritto così, quindi forse manca una fondamentale e basica lettura della proposta che è stata fatta ed è una proposta che ha al suo centro il tema della povertà minorile perché i dati dell'Istat ci dicono che questa crisi ha pesato di più sulle famiglie di età media e che hanno bambini piccoli. È una scelta, una scelta che viene compiuta nella consapevolezza che abbiamo di fronte solo un miliardo. Ma è solo un miliardo ? È la prima volta, dal 1948, che c’è un miliardo di euro, più quello che si recupererà dalle misure di riordino e possiamo immaginare si riesca ad arrivare a un miliardo e 400 milioni, messo a disposizione delle famiglie in condizioni di povertà. Non è mai successo, mai. Non basta ? Dovremmo fare di più: dovremmo arrivare a 2, a 3, a 4, a 5 e a 7. Sicuramente c’è da fare di più ma denigrare questo passaggio vuol dire non tener conto di tutte le storie che abbiamo alle spalle, che hanno visto veramente pochissime risorse dedicate alla povertà. Sono misure che nascono dalla sperimentazione in atto: è un bene che si sia fatta prima una sperimentazione. Anche per scrivere progetti di legge prima bisognerebbe andare a misurarsi con la sperimentazione e sono lieta che ci siano colleghi che, senza ricorrere al banale strumento delle interrogazioni, tuttavia si sforzano di conoscere l'andamento, cioè come è andata nei territori dove è stato sperimentato. Noi abbiamo cercato di apprendere da quelle esperienze e quello che abbiamo appreso – ci è stato detto – è che i servizi hanno bisogno di sostegno, che, senza i servizi, non si riesce ad andare avanti: lo abbiamo appreso dagli esiti di questa sperimentazione e dal grande contributo che è venuto dal basso, dalla proposta dell'Alleanza contro la povertà, una grande aggregazione di associazioni di vario genere e tipo, religiose e non religiose, laiche, sindacali, enti pubblici che da anni si dedica mettendosi in rete a offrire proposte che permettono di affrontare il grande tema della povertà. Credo che a loro, a questo movimento dal basso vada dato riconoscimento e che il ruolo della politica non sia sempre quello di pensare di avere inventato chissà cosa ma la capacità di dialogare e di mantenersi in contatto con quello che si muove nella società. C’è un rischio vero sempre quando si fanno misure per la povertà di cadere in un mero assistenzialismo che, alla fine, scoraggi la ricerca di lavoro oppure, peggio ancora, favorisca il lavoro nero: ho un'entrata di 400 euro che arriva dallo Stato, per il resto vado a lavorare in nero e mi arrangio in questo modo. Nel nostro Paese questo rischio c’è. Tenete presente – ma lo sapete tutti e i colleghi della Commissione lavoro meglio di me – che gli stipendi medi in questo Paese viaggiano intorno ai 1000 euro per molti ragazzi giovani: pertanto alla fine, lavorando molto, non si prende molto di più. Questo è un rischio e qui noi abbiamo stabilito controlli e tempi nell'assegnazione di questa misura per cui è annuale e rinnovabile sì, ma previa verifica proprio per evitare quella che viene chiamata come trappola per la povertà. Non è un disegno del tutto compiuto: ne siamo consapevoli ma l'aver scritto che è un livello essenziale di assistenza ci fa fare un grande passo avanti a chi, come noi, si occupa di politiche sociali perché è la prima volta che possiamo scriverlo e dire che finalmente almeno su un tema abbiamo un livello essenziale anche nel campo sociale e non solo in quello sanitario. Sappiamo che non si risolvono tutti i problemi della povertà con un trasferimento. Io qualche volta temo l'illusione di dire diamo a tutti 1000 euro e poi del resto chi se ne importa: c’è il problema della casa, c’è il problema del lavoro, c’è il problema di un servizio sanitario che non regge le nuove questioni della non autosufficienza. Allora, dove il sistema di welfare nel suo complesso funziona, abbiamo meno necessità di ricorrere a misure estreme come quella a cui facciamo attenzione oggi. Guardate che per le persone che hanno una propria dignità e che vorrebbero un lavoro anche una proposta come questa certo dà sollievo rispetto alle necessità anche solo di poter mangiare ma vorrebbero assai di più la dignità di un posto di lavoro, non si accontentano certo di una misura per la povertà. Questo è il punto di partenza, sul resto è necessario impegnarsi ancora (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).