Discussione generale
Data: 
Venerdì, 16 Luglio, 2021
Nome: 
Stefania Pezzopane

A.C. 2561-A

Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi. L'Italia, come ci ricordano numerosi studi, è uno dei Paesi, purtroppo, meno fecondi al mondo; oltre a non essersi risollevata dai bassi livelli raggiunti in questi anni, ha subito anche un drastico peggioramento durante questa crisi economica, sociale e pandemica. Adesso, dopo l'uscita dagli anni più acuti della recessione, fatichiamo, però, verso il recupero, perché la denatalità passata si sta ulteriormente riducendo nelle donne che entrano in età riproduttiva più tardi; l'arrivo di un figlio ha, infatti, sempre di più un impatto sul tempo di vita delle madri, sui costi delle famiglie, mentre deve coinvolgere come benessere relazionale tutta la coppia e deve essere riconosciuto come valore sociale, che aiuta e riesce a rendere più solido un futuro comune. Quando parliamo di famiglie - famiglie e non famiglia - dobbiamo tenere presente che si interconnettono diversi aspetti: dalla natalità all'occupazione femminile, dallo sviluppo economico del Paese alla tenuta del nostro sistema pensionistico. La scarsa occupazione femminile incide fortemente e condiziona il desiderio di maternità, ma anche di paternità. La scelta di fare figli è senza dubbio una scelta privata e personale, ma è un dovere della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto questa libertà e limitano l'eguaglianza dei cittadini ed impediscono il pieno sviluppo della persona umana.

Innanzitutto, proviamo ad analizzare le ragioni per cui non si fanno figli: direi che c'è questa prospettiva di lavori esclusivamente precari e salari non adeguati alle aspettative e ai costi della vita; aggiungerei la difficoltà delle donne di accedere al mondo del lavoro e avere prospettive serie di carriera; aggiungerei anche le politiche insufficienti di sostegno alla famiglia, o per la casa. Si tratta, insomma, di elementi materiali che si incrociano però con quelli culturali, perché le donne sono ancora imprigionate in ruoli di genere, in stereotipi, purtroppo impermeabili al cambiamento, che vedono, ancora di loro esclusiva pertinenza, la cura e la crescita dei figli; mentre la vera scommessa culturale e sociale da vincere è quella di creare le condizioni affinché ci sia una reale condivisione dei tempi di vita e di lavoro tra uomini e donne. Stabilizzarsi nel mondo del lavoro, avere un reddito dignitoso, avere servizi continuativi è sempre una condizione sine qua non per poter desiderare di avere un figlio o una figlia. Ecco perché sono sempre più numerose le donne, tra i 35 e i 39 anni, che decidono di avere figli, rispetto alle donne tra i 25 e 29 anni. I genitori, insomma, aspettano una situazione economica e lavorativa più serena prima di decidere di avere figli. Questi sono alcuni dati da cui dobbiamo prendere spunto e che evidenziano l'urgenza a cui siamo chiamati, oggi, nell'esaminare questo provvedimento e nell'augurarci che ce ne siano, così come indicato nella delega, altri a breve.

Questo provvedimento è stato varato durante il Governo Conte-bis il 25 giugno 2020, dall'allora ed attuale Ministro per le Pari opportunità e la famiglia Bonetti, insieme all'allora Ministro del Lavoro e delle politiche sociali Catalfo e al Ministro dell'Economia e delle finanze Gualtieri. Si tratta, quindi, di un percorso complesso che ci porta, oggi, qui, finalmente all'approvazione. Si tratta di una legge delega volta all'adozione, e noi diciamo anche al riordino e al potenziamento - visto che molte misure erano già presenti nel nostro ordinamento - di una serie di interventi, volti a: sostenere la genitorialità, la funzione sociale ed educativa delle famiglie, intervenire sulla conciliazione e l'armonizzazione dei tempi di vita e di lavoro all'interno della famiglia, valorizzare la crescita armoniosa ed inclusiva di bambine e bambini, sostenere l'indipendenza e l'autonomia dei giovani, sostenere il lavoro femminile, promuovere la parità dei sessi, affermare il valore sociale delle attività educative e di apprendimento, prevedere contributi per la frequenza dei servizi educativi dell'infanzia o per la frequenza di corsi sportivi, linguistici, eccetera, oppure per comprare libri scolastici e universitari. Il Partito Democratico ha anticipato un pezzo importante di questa delega con la proposta, ora legge, a prima firma Graziano Delrio, dell'assegno unico per i figli. Vediamo, quindi, in questo decreto un completamento, un avanzamento delle politiche per la famiglia da noi fortemente volute.

Ringrazio, quindi, il relatore, così come naturalmente il Ministro, per il contributo che è stato dato in queste settimane di lavoro importante, così come tutti i colleghi, in particolare la capogruppo Carnevali, che si sono adoperati all'interno del lavoro complesso della Commissione. Il Partito Democratico ha presentato, appunto, numerose proposte emendative, volte a migliorare il testo, che possono essere così sintetizzate. Prima di tutto incentivare e rafforzare la equa condivisione dei tempi di cura e di lavoro di ambo i genitori, con particolare attenzione a non addossare solo alla donna il compito di dover conciliare il suo lavoro con i compiti di cura ma, appunto, condividere, che è la parola forte che per noi caratterizza questo decreto. Il secondo aspetto è rafforzare la parità dei sessi all'interno della famiglia, sostenendo il lavoro di entrambi i genitori. Il testo originale del Family Act, con un'impostazione, a nostro giudizio, non condivisibile su quel punto, promuoveva la parità dei sessi favorendo l'occupazione femminile con forme di lavoro agile e flessibile; noi abbiamo tentato con gli emendamenti di superare questo aspetto e ne siamo ovviamente soddisfatti.

Un altro punto fondamentale della nostra iniziativa emendativa è stata quella di prevedere l'introduzione di strumenti fiscali per favorire il rientro della donna nel mondo del lavoro, in particolare dopo la maternità. Inoltre, abbiamo lavorato per prevedere che tutte le misure siano configurate tenendo conto dell'eventuale condizione di disabilità delle persone presenti all'interno del nucleo familiare, anche questo non era presente nel testo originale. In più, prevedere un rafforzamento dei servizi educativi e per quelli dell'infanzia, attraverso misure di sostegno alle famiglie; prevedere, quindi, attraverso appositi emendamenti che abbiamo proposto, specifici benefici fiscali aggiuntivi per forme di welfare aziendali, aventi ad oggetto misure di sostegno all'educazione e alla formazione dei figli. Un discorso a parte, però, merita la normativa sui congedi: il punto dell'articolo 4, che per noi è stato un punto importante su cui abbiamo speso numerose e concrete energie. Il testo del Family Act prevede, nella riorganizzazione delle misure sui congedi, che i criteri di delega tengano conto dei seguenti principi. Prima cosa: modalità flessibile nella gestione dei congedi parentali, compatibilmente con le esigenze del datore di lavoro; seconda cosa: permesso retribuito di 5 ore per colloqui con gli insegnanti e per la partecipazione attiva al concorso di crescita dei figli. Altra cosa: 2 mesi minimo di congedo parentale non cedibile per ciascun figlio.

Inoltre, prevede congedi parentali anche agli autonomi, un minimo di dieci giorni di congedo di paternità, l'estensione del congedo di paternità anche ai lavoratori pubblici.

La normativa sui congedi è già presente nel nostro ordinamento fin dal 2001; è, quindi, opportuno, in questo caso, parlare di un grande, importante salto di qualità e di potenziamento di tali istituti, piuttosto che di riordino.

Il PD, con la sua azione emendativa, ha inteso rafforzare molto tale istituto e le previsioni del testo base attraverso la possibilità di usufruire dei congedi fino al compimento del quattordicesimo anno di età del figlio, questo è un punto molto importante e quindi ringrazio la complessità della Commissione e il relatore, che si è molto speso per questo obiettivo.

Inoltre, abbiamo lavorato affinché l'utilizzo dei congedi da parte del lavoratore non dipenda dalle esigenze del datore di lavoro, ma dipenda dalle esigenze della famiglia. Abbiamo poi lavorato affinché i permessi per colloquio scolastico siano riferiti a ciascun figlio, e affinché ci sia un progressivo incremento della copertura retributiva, cosa fondamentale sempre sul congedo di paternità e che progressivamente si è aumentato fino ad arrivare a tre mesi ed oltre, su questo ci siamo molto spesi e siamo soddisfatte e soddisfatti del risultato raggiunto.

Analogo discorso vale per quanto riguarda i princìpi volti a incentivare il lavoro femminile e l'armonizzazione dei tempi di vita e di lavoro, l'articolo 5; in particolare. Gli emendamenti del Partito Democratico sono volti a prevedere: a carico dell'INPS, l'erogazione di un'indennità mensile integrativa della retribuzione a beneficio della donna lavoratrice per un periodo non superiore a tre mesi dopo la cessazione del congedo obbligatorio; prevedere l'incremento dell'indennità obbligatoria di maternità fino alla totale copertura; prevedere una disciplina del trattamento economico e previdenziale dell'astensione per malattia del figlio, al fine di favorire un'equiparazione tra dipendente privato e pubblico; prevedere che sia l'INPS direttamente al pagamento delle prestazioni di maternità alle lavoratrici di imprese con meno di o pari a 9 dipendenti; prevedere, infine, incentivi per l'emersione del lavoro sommerso in ambito domestico.

Abbiamo il dovere di uscire da questo inverno demografico e dobbiamo farlo anche molto in fretta; per riprendere l'andamento procreativo e riportarlo a livelli che ci facciano uscire dall'attuale criticità occorrono interventi strutturali duraturi, ma, a mio avviso, l'elemento reale di svolta sta proprio nella capacità di incrementare l'occupazione femminile perché, contrariamente allo stereotipo, quanto più le donne lavorano, hanno soddisfazione, ritengono la loro vita realizzata e hanno, quindi, indipendenza, tanto più hanno disponibilità a procreare; basta guardare al nostro Paese, agli ultimi dati Istat: al Nord, dove è più alta l'occupazione, si registra – paradossalmente, per alcuni, invece convintamente, per quello che ho detto poco fa - un numero maggiore di nascite. Le donne con maggiori difficoltà economiche spesso devono scegliere tra lavoro e figli; nel farlo, bisogna tenere insieme la dimensione economica con quella relazionale, la corresponsabilità del ruolo con la dignità sociale, la presenza di servizi educativi e le politiche di incremento delle relazioni dentro una comunità e dentro un territorio. La denatalità è il segno di una grande mancanza di fiducia, di uno spaesamento, di una mancanza di prospettiva, e per restituire tutto ciò servono progetti strutturati ed organici. Senza questa visione, senza questa prospettiva, il Paese purtroppo è destinato a una lenta agonia, perché un Paese dove non ci sono figli, dove non c'è una natalità, dove le famiglie rinunciano alla loro possibilità di procreazione, è un Paese che vive una crisi culturale ed economica troppo grave e profonda. La pandemia del COVID-19 ha, inoltre, amplificato timori, incertezze e preoccupazioni per il proprio futuro.

Il nostro compito, non solo come legislatori, ma soprattutto come cittadini, è quello di impegnarci per aiutare il nostro Paese a ripartire e crediamo che le politiche per le famiglie siano politiche giuste, importanti e quindi ringraziamo la Ministra per il lavoro importante fatto; confermo il ringraziamento già esplicitato, ma che voglio ribadire, per il relatore, per tutta la Commissione e per il Partito Democratico che tanto si è speso in questo decreto e che ha anche raggiunto risultati che ci inorgogliscono.