Discussione generale
Data: 
Giovedì, 18 Febbraio, 2021
Nome: 
Emanuele Fiano

Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, non starò qui a darle delle lezioni di economia, diciamo. Personalmente credo di aver coltivato, nel tempo lungo che ho dedicato nella mia vita alla politica, la convinzione che non esista una distinzione vera tra ragione e sentimento, quando operiamo per la res publica. Ho percepito che ella, nella giornata di ieri, rivolgendosi ai colleghi senatori della Repubblica, esplicitando la sua emozione per l'ingresso in quella sala, abbia dimostrato quanto questa umanissima congiunzione valga sempre. Sembrerà strano che io mi rivolga a lei con questo argomento, riconosciuto economista di valore mondiale, tecnico, come usa dirsi oggi nella comunicazione pubblica, e che dovrebbe dunque rappresentare l'emblema della massima razionalità applicabile alla risoluzione dei problemi, l'emblema della freddezza, anche di calcolo, considerando questa dimensione in parte desueta nella relazione politica. Lo faccio, di citare quel suo incipit, anche perché considero che le scelte, che hanno fatto i partiti ed i gruppi, che hanno scelto di appoggiare il Governo da lei presieduto, lo hanno fatto, superando storiche e persistenti differenze di impostazione politica e culturale, perché lo hanno fatto in ragione di un sentimento di necessità, di unità e di coesione nel momento dell'emergenza, che può pervenire solo da una nuova interpretazione del senso della politica. Qui serve non solo la razionale ragione di parte, ma solo e soprattutto il sentimento di appartenenza ad un medesimo destino.

È già capitato in questo Paese in altre fasi molto difficili. È successo con il compianto Carlo Azeglio Ciampi, è successo con Mario Monti. A me sembra che noi si stia inaugurando una fase diversa da quelle, una fase di definitiva sconfitta, signor Presidente, nel nostro Paese, dell'ubriacatura populista e della irrazionalità colorata di politica.

Lei ha compiuto, per quella che è la mia modesta opinione, tre apprezzabilissimi sforzi nel suo discorso programmatico, oltre a moltissime questioni di merito, di cui hanno già parlato in molti.

Uno, ha sottolineato - non era d'obbligo, essendo questo implicito - il ruolo del Parlamento come referente legislativo, non notarile, delle difficili e programmatiche scelte che dovrà prendere questo Governo.

Due, ella ha citato la politica non come sconfitta, ma come protagonista. Premesso che io penso che sconfitte politiche ci siano state, lei ha detto una cosa semplice e centrale. La politica deriva da polis, dalla comunità; non deriva da partito, la parte, senza affatto disdegnare che la politica sia anche scegliere una parte. La domanda che ci viene posta e che ci è stata posta, quando abbiamo scelto noi, come Partito Democratico, di aderire a questo progetto: le differenze tra noi possono convergere sulle priorità decisive per disegnare il futuro del Paese? Questo non è solo il quesito che si pone al suo Governo, che nasce anche grazie all'autorevole presenza in campo del Presidente Mattarella, a cui va ovviamente il nostro deferente saluto, ma il quesito che si pone alla politica: che cosa siamo disponibili a cedere della nostra sovranità di parte per un interesse superiore? La politica - lo si legge anche nelle righe del suo intervento - sarà protagonista. Tutto ciò che decideremo saranno scelte politiche; le indicazioni che lei ha già fornito inducono scelte politiche; le scelte strutturali sulla sanità pubblica, sulla transizione ambientale, su quella digitale, sul mercato del lavoro, sulla fiscalità, sulla giustizia, sul funzionamento dello Stato, tutto decide della qualità della polis. Questa sfida è per lei, come scienziato dell'economia, ma ugualmente per noi, come politici. Il suo discorso al Parlamento e al Paese è semplicemente il discorso di un altro orizzonte, nella misura in cui chiama tutti noi ad una nuova fase, nella relazione tra l'urgenza e l'idea futura di Paese, tra il rammendo di oggi e l'ideale di domani. Questo è uno di quei momenti in cui tenere insieme due fattori.

Infine, terzo e ultimo punto, Presidente, e ho finito. Lei non ha voluto citare - credo qui per un sacrosanto rispetto istituzionale e anche, forse, per una gradazione delle urgenze - le necessarie riforme istituzionali. Noi, l'Italia, proprio per quella condivisa contrarietà ai due tempi della politica, di cui lei ha parlato, ne abbiamo bisogno. Sia per le necessità derivanti dal nuovo assetto dimensionale che avrà il futuro Parlamento, sia per le necessità di ragionare sulla legge elettorale migliore che possa dare rappresentatività al popolo italiano ed efficienza contemporanea di Governo, noi non possiamo abbandonare questi temi sine die. Conosciamo le urgenze impellenti del Paese, ma sappiamo anche che una macchina, che debba cogliere obiettivi decisivi, ha necessità di essere efficiente. La democrazia deve essere giusta, trasparente, solida, rappresentativa, ma anche funzionante.

Noi, detto questo, signor Presidente, le auguriamo buon lavoro e saremo al suo fianco.